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Dopo anni di pandemia che ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare e gli obiettivi di vita dei lavoratori italiani, oggi l’Osservatorio BenEssere Felicità avvisa istituzioni, imprenditori e stakeholder di tutte le aziende italiane: i primi dati del 2023 dimostrano che la crisi nel mondo del lavoro rischia di cronicizzarsi. Per il terzo anno consecutivo l’associazione Ricerca Felicità, attraverso un sondaggio somministrato a un campione di 1106 persone, misura lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale.
Quattro le fasce di lavoratori e lavoratrici in cui sono state suddivise le persone che hanno partecipato al sondaggio. La generazione Z, a cui appartengono gli under 25, nati dopo il 1995; i millennials – o generazione Y –, ovvero coloro che sono nati dopo il 1980 e che quindi ricadono più o meno nella fascia fra i 25 e i 40/45 anni; la generazione X, cioè i nati fra il 1980 e il 1965; fino ad arrivare ai baby boomer, ovvero la fascia di lavoratori ormai in pensione o prossimi alla pensione.
«Uno dei dati più allarmanti è che oggi la generazione Z raggiunge quasi il 60% di risposte positive alla possibilità di cambiare professione nel breve, superando persino le altre generazioni che già avevano ampiamente dimostrato la voglia di trovare un’altra occupazione», afferma Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità. «Il grande campanello d’allarme dimostrato è rimasto inascoltato e ora ci troviamo in una situazione in cui tutte le generazioni si uniscono nel dimostrare che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non stia funzionando. Persino un Baby Boomer su quattro a un passo dalla pensione, dimostra di voler cambiare il proprio impiego per gli ultimi anni professionali».
«Molte persone, soprattutto sotto i quarant’anni, riassorbite dalla tradizionale routine nel periodo post-pandemia sentono che il lavoro non è più l’unica metrica con cui misurare la qualità della propria vita. Il successo professionale non è la sola bussola che ci dice dove andare e in che direzione orientare le nostre scelte, il tempo è tornato a essere un bene prezioso da condividere con le persone a cui vogliamo bene», hanno osservato le facilitatrici del team di TARA, che lavorano quotidianamente a contatto con le aziende e con chi ci lavora dentro.
Questo in cosa si traduce? Tornando ai dati del sondaggio, alla domanda “Stai pensando di cambiare lavoro a breve?” ha risposto sì il 59,9% degli intervistati under 25; la percentuale cala con l’età: vorrebbe cambiare il 52,6% dei Millennials e il 24,1% degli appartenenti alla generazione X. Questi valori sono complessivamente in forte crescita rispetto a dodici mesi fa: «È il tempo di agire: l’anno scorso eravamo ancora colpiti dagli effetti della pandemia, per questo i risultati della survey 2022 sono evidenze che in un certo senso potevamo “giustificare”, ma che non possiamo più ignorare con i nuovi dati 2023», ha commentato Elga Corricelli co-founder, dell’Associazione Ricerca Felicità.
«Da una parte i lavoratori dipendenti potrebbero essere meno disponibili a lavorare alle condizioni prevalenti, anche per ridurre il rischio di contagio in una fase di progressivo ridimensionamento del ricorso al lavoro in remoto. Dall’altra è possibile che, grazie alla ripresa della domanda di lavoro, un numero crescente di persone occupate lasci la propria occupazione stabile per un’altra», ha commentato il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che nell’ottobre del 2021 ha pubblicato un report secondo cui in quell’anno 777.000 persone hanno lasciato volontariamente il posto di lavoro, 40.000 in più rispetto agli stessi mesi del 2020.
I dati più recenti non fanno che confermare la tendenza ad abbandonare il posto fisso. Secondo un’indagine di Panorama, da aprile 2022 sono 1,6 milioni gli italiani che hanno fatto la scelta della resignation, ovvero si sono licenziati, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Perché? Le risposte potrebbero essere tantissime, interessante è quella data da TARA: «Ora è il momento di sperimentare nuovi modelli “umanisti” e strumenti capaci di alimentare l’intelligenza collettiva delle imprese».
Secondo Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità, «l’individuo vede sempre meno riconosciuti i propri meriti all’interno del contesto di lavoro, conseguentemente anche il senso di appartenenza viene a mancare. Non vedendo più riconosciuto l’impegno nel proprio lavoro si tende a non riconoscersi più all’interno del contesto aziendale. Con questo sondaggio, volta a misurare lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, vogliamo aiutare le aziende e i manager a comprendere le problematiche principali e capire dove attuare cambiamenti per migliorare la condizione dei lavoratori del nostro Paese».
Questa tendenza è confermata anche da tante storie che abbiamo raccontato su Italia Che Cambia sul tema del cambio vita e, soprattutto, del cambiare lavoro. Dalle tante persone che hanno deciso di trasferirsi in contesti rurali per dedicarsi ad attività più legate ai concetti di lentezza, naturalità e semplicità, fino a chi ha ripensato il concetto stesso di tempo da dedicare al lavoro, come Davide Fiz con il suo progetto Smart Walking. Senza dimenticare le proposte teoriche e concrete di Fabrizio Cotza, che più volte ci ha raccontato la filosofia che diffonde attraverso il suo progetto Imprenditori Sovversivi.
Il senso di tutto questo? Forse un avvicendamento al vertice della scala delle priorità di moltissimi lavoratori: che felicità, benessere interiore, qualità della vita e delle relazioni stiano lentamente scalzando gli obiettivi legati ai guadagni e alla carriera? «Bisogna ormai rendersi conto che il tema della felicità come meta-competenza e del benessere dei lavoratori italiani non può più aspettare. È fondamentale prendere coscienza di questo cambiamento in atto e concretizzare politiche per creare maggior benessere per tutti e limitare il più possibile la migrazione di talenti all’estero. Quello che rischiamo ogni giorno di più è che un lavoro in sede estera risulti più attraente sia in termini di offerta che in termini di benessere lavorativo», osserva in conclusione Elga Corricelli.
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