Appennino festival: quando musiche e danze tradizionali risvegliano le aree marginali
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Piacenza, Emilia-Romagna - Un tempo tra i paesi dell’appennino – in particolare in quell’area che oggi chiamiamo “delle Quattro Province” – si spostavano giovani musicisti per raggiungere piccoli e lontani centri abitati. Muniti di piffero e fisarmonica, facevano risvegliare dal torpore questi luoghi dimenticati. In fondo lo sappiamo, dove ci sono musica e cibo c’è allegria: così bastava intonare qualche nota per veder presto riempita una piazza dagli abitanti, che non perdevano l’occasione di lanciarsi in una polka o una mazurka e ritrovarsi a notte fonda con i piedi dolenti e l’anima gioiosa. Proprio in quelle occasioni si riscopriva la bellezza dello stare insieme e della condivisione, al ritmo di una danza che apparteneva al popolo.
Tra questi giovani musicisti c’erano i Suonatori delle Quattro Province, un gruppo storico del territorio che, come diversi giovani negli anni ’80, aveva recuperato strumenti e melodie dell’epoca dei propri nonni che erano stati rifiutati dalla generazione dei loro padri. Avevano la passione per certe sonorità etniche e tradizionali, come quelle che apprezziamo ancora oggi in Crêuza de mä di Fabrizio De André o come il canto a tenore, un genere corale sardo che è conosciuto in tutto il mondo.
LA MUSICA CHE RISVEGLIA L’APPENNINO
Possiamo considerare a tutti gli effetti l’area delle Quattro Province come un territorio di frontiera: sorge nell’appennino del nord-ovest, dove cade il confine amministrativo tra Piacenza (Emilia- Romagna), Genova (Liguria), Alessandria (Piemonte) e Pavia (Lombardia). Qui estese valli, boschi, piccoli paesi che si trovano a più di 1000 metri di altitudine e sentieri storici ne fanno uno dei territori più marginali del nostro paese. Ed è proprio grazie a questa marginalità che si è conservato un repertorio musicale originale che rende vive queste valli al suono di danze, stili di canto e strumenti musicali della tradizione.
Oggi quelle musiche e quei canti che fanno parte del folklore locale sono mantenuti in vita da Appennino Festival, una rassegna che da 23 anni sta valorizzando questo prezioso patrimonio culturale al suono di cornamuse, fisarmoniche, violini e ghironde, suonate abilmente da esperti musicisti. A parlarcene è Maddalena Scagnelli, anima e cuore di questo festival, capace di ricucire un territorio ampio e frammentato e diffondere tra le nuove generazioni la conoscenza e la pratica dei repertori tradizionali.
Come ci racconta, «fin da ragazza ho passato i mesi estivi in Val Trebbia, poiché la mia famiglia è originaria di queste zone. Un evento centrale nella mia vita è stato l’incontro con mio marito: lui viveva in val Perino, nell’alto appennino, e da vent’anni portava avanti la sua militanza nella musica popolare. Io invece avevo una formazione “polverosamente” accademica e arrivavo da studi universitari e dal conservatorio». Ciò che accomuna Maddalena e Franco è una passione viscerale per la musica antica e per l’affascinante mondo legato alle tradizioni musicali popolari. Dal loro incontro è iniziata un’avventura, oggi ventennale, che li ha portati a fondare il gruppo Enerbia e a ridare vita al patrimonio etnomusicali di queste valli.
GLI STRUMENTI TRADIZIONALI DELL’APPENNINO
«Una delle cose più incredibili è stato incontrare questo mondo così vitale, ovvero quello della musica popolare. In questo mondo la musica è collegata alla vita, alla danza, alla ritualità, alla festa. Sono rimasta colpita e affascinata dal tipo di proposta e fruizione, dalla gioia del pubblico, dalla possibilità di fare musica in una maniera diversa».
La conoscenza di Maddalena in campo musicale è sconfinata. E non posso che rimanere ad ascoltarla mentre mi parla degli strumenti musicali della tradizione che rendono così unico questo territorio. «Tra gli strumenti “ad ancia doppia” c’è il piffero, che da noi è un oboe popolare che ricorda il suono di un altro strumento del centro Italia, ovvero la ciaramella, strumento pastorale per eccellenza. Fino all’avvento della fisarmonica, che alla fine dell’800 diventa lo strumento del popolo in tutta Europa, l’oboe veniva accompagnato da una cornamusa che si chiamava müsa. Questa coppia di strumenti interpretava soprattutto un repertorio di danza. Vi è poi la piva, maggiormente presente nel territorio emiliano».
Lo strumentario antico è poi completato da strumenti più recenti come la fisarmonica, il violino e la ghironda. In questi territori appenninici il repertorio medievale è legato alla presenza dei trovatori provenzali nelle corti della famiglia Malaspina in Oltrepo’ pavese e nelle valli vicine, oltre che al patrimonio del Monastero di San Colombano in Val Trebbia, tra i maggiori centri culturali europei del Medioevo. Insomma, in questi territori è la musica a raccontare la storia.
Accanto agli strumenti tradizionali non mancano poi le danze: danze antiche e di gruppo come l’alessandrina, la monferrina, la giga e la piana. Durante le feste di paese gli abitanti le eseguono in cerchio con passo saltato e con coreografie che prevedono lo scambio delle coppie durante il ballo. A queste si affiancano le danze più moderne come il valzer, la mazurka e la polka.
Il repertorio è completato da un ricchissimo corpus di canti, sia solistici che corali: nelle Quattro Province è fortissima la pratica vocale di gruppo come nel caso del Cantamaggio, l’antica usanza secondo cui nelle valli piacentine si annuncia l’arrivo di maggio cantando nelle frazioni del territorio in cambio di vino e cibarie da parte degli abitanti. Così il rituale della musica si mescola con il calendario dell’anno agrario, facendone una tradizione per eccellenza.
APPENNINO FESTIVAL, DA VENT’ANNI UN MOMENTO DI FESTA PER I PAESI DELL’APPENNINO
«Appennino Festival è un’esperienza molto importante che compie 23 anni e che ha ottenuto il sostegno dei Beni Culturali. Possiamo dire che nasce come documentazione dell’esistente, valorizzando il repertorio originale nei luoghi più belli dell’area delle 4 Province». Il Festival è iniziato nel 2002 con un cartellone di eventi musicali in corrispondenza del crinale dove convergono la Val Boreca (PC), la Val Borbera (AL) e la Val Staffora (PV). Nel tempo si è evoluto, supportando lo sviluppo turistico di un territorio marginale ma ricco di saperi, in primis quelli di giovani musicisti e artisti.
Accanto agli eventi musicali l’organizzazione di Appennino Festival si è impegnata a promuovere un turismo “slow”, che si è declinato in eventi culturali immersi nella natura: «Organizziamo happening direttamente in natura come nei pascoli o nei boschi, rispettosi dell’ambiente e interessati a riscoprire sapori, suoni e situazioni non ancora omologati. Da qualche anno il festival è stato virtuosamente imitato da altre iniziative in Italia: da questo punto di vista siamo stati pionieri e ne siamo orgogliosi».
La direzione artistica del festival, condotta da Maddalena, si è impegnata a coinvolgere prima di tutto gli attori locali: nel corso delle precedenti edizioni ha reso protagonisti i musicisti del territorio che portavano la tradizione musicale delle Quattro Province, ospitando anche i maggiori gruppi italiani attivi nella ricerca sulle tradizioni popolari. Il cartellone è molto ampio: il cuore sono gli eventi diffusi che quest’anno saranno organizzati tra il 4 agosto e il 24 settembre tra il piacentino e il pavese, oltre a eventi sparsi che si connettono al cartellone principale.
LA MUSICA TRADIZIONALE CHE SOPRAVVIVE IN UN TERRITORIO DI CONFINE
Possiamo considerare quest’area dell’Appennino un territorio di estremo margine. Qui da sempre c’è un confine perenne: il confine tra i bizantini e i longobardi, tra il mondo romano e quello ligure. Le grandi estensioni e le vaste aree montuose contano una popolazione molto residuale. Eppure, Maddalena mi spiega che è proprio grazie a questa marginalità che si è potuta conservare viva la memoria del passato.
Nella pratica, strumenti, canti e danze antiche si sono conservate intatte nel corso dei secoli proprio perché la modernità e la velocità del repertorio moderno in questi territori sono arrivate in ritardo. Dobbiamo dire “per colpa” o in questo caso “grazie” a una povertà e a una marginalità diffusa.
Anche di questo tema parla il gruppo Enerbia nelle sue musiche. «Il nostro primo disco si chiama “Così lontano l’azzurro” ed è un omaggio a Giorgio Caproni, grande poeta e musicista, livornese di nascita ma genovese per formazione. Non tanti sanno che da giovane visse in altissima Val Trebbia e dedicò molte poesie alla valle. Quando lui parla di queste valli le definisce “i luoghi non giurisdizionali”. Territori, quindi, dove le divisioni amministrative ci sono ma sono superate dalla realtà».
Così la musica è diventata un ponte tra confini amministrativi diversi: nel corso degli anni i musicisti hanno portato danze e canti popolari percorrendo chilometri da un paese all’altro dell’appennino, mescolando conoscenze e usanze popolari e facendo sì che, ad esempio, danze come l’alessandrina e la monferrina diventassero un patrimonio condiviso e non solo localizzato.
Mi colpiscono le parole di Maddalena, secondo la quale i musicisti sono dei veri e propri mediatori culturali: «La musica è un collante fondamentale. Uno dei simboli dell’unità di questi territori che sono frantumati dalle divisioni amministrative. Nei paesi attraverso la musica si mantenevano rapporti, amicizie e legami. La tradizione popolare ha fatto il miracolo di mantenere vita e gioia tra questi paesi sperduti e dimenticati».
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Rebecca Gugger, Simon Röthlisberger |