Viaggio nel cuore dell’Appennino delle Quattro Province: l’esperienza del Rifugio delle Capanne di Cosola
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Alessandria - Oggi vi portiamo nel cuore delle Quattro Province, dal versante alessandrino, in alta val Borbera. Siamo a Capanne di Cosola, un luogo che si raggiunge piano piano, per gradi. Risalendo in auto la valle, una volta superata Cabella Ligure, il paesaggio si fa sempre più incontaminato. “In un attimo ti trovi dalla pianura alla montagna, da una regione all’altra, da una clima all’altra. Le montagne cadono a strapiombo sulla strada, che continua a salire fiancheggiando sul lato opposto il torrente, fino al paese di Cosola, incastonato tra le pendici dei monti Ebro e Cavalmurone”, si legge sul sito del Rifugio delle 4 Province, che è anche centro di educazione ambientale dell’Appennino.
Ho fatto due chiacchiere proprio con Giovanni Brocca, un architetto genovese trasferitosi venticinque anni fa a Borghetto Borbera e attuale gestore del rifugio. Abbiamo parlato della val Borbera, di cosa c’è, di cosa manca, di cosa c’era e non c’è più, dei suoi sentieri e del fascino dei paesi abbandonati che mi suggerisce di andare a visitare.
Gianni, raccontaci del tuo rifugio, nel cuore dell’area della Quattro Province.
Il rifugio è aperto in estate e in occasione di eventi. Un tempo era una colonia dei salesiani, che l’hanno poi totalmente ristrutturato e dato in gestione a noi. Il motivo per cui non è aperto tutto l’anno è che vogliamo dare supporto al turismo – ci troviamo sull’antica via del Sale che da Varzi (PV) arriva sulla riviera ligure, passando da Torriglia e Uscio, quindi apriamo solo quando c’è molta richiesta –, per non danneggiare le strutture a gestione familiare nei dintorni che ci sono già e che hanno bisogno di lavorare tutto l’anno. Noi siamo un’associazione, ognuno di noi ha altri lavori e non abbiamo nessuna intenzione di intaccare questo equilibrio.
Anche perché qui, nelle terre alte, è difficile lavorare e vivere. Specialmente in inverno non è tutto rosa e fiori: certo, è bello quando c’è il sole, è un piacere salire in quota e godersi l’aria buona, ma nella stagione fredda le difficoltà triplicano e il guadagno è risicato. Il nostro punto di forza sono gli eventi, tra cui gli incontri di Forest Bathing che suscitano sempre molto interesse e altri due che sono ormai piuttosto rodati.
Quali?
Uno è Natura d’Appennino: giunto alla sua terza edizione, è una giornata di divulgazione che ospita ricercatori, biologi, naturalisti e referenti del parco; attraverso dei tavoli lavoro si discute insieme della natura del nostro Appennino, in particolare suolo, flora, fauna e acque. E poi Musiche e sapori della tradizione, un festival legato alla cultura e alla vita nell’area delle Quattro Province, tra antiche ricette rispolverate e la musica tradizionale di questo territorio. Si tratta di eventi molto sentiti, a cui partecipano sempre persone che sono la forma documentaria di questi luoghi. La musica, poi, è stata un importante veicolo di conoscenza perché negli anni è bastato un piffero per tenere in vita questi confini.
Visto che è quasi ora di pranzo, dimmi la prima ricetta d’altri tempi che ti viene in mente…
La polenta con lo stoccafisso. Lo stoccafisso, che era un pesce povero e si poteva conservare facilmente, arrivava dalla via del Sale e si cucinava proprio insieme alla polenta. Il bello è che queste ricette antiche, di piatti che oggi non si preparano più, vengono cercate, riscoperte e sperimentate da noi, il tutto con in sottofondo la musica tradizionale delle Quattro Province.
In una delle scorse edizioni abbiamo realizzato un intero menu a base di castagne. Ed è appassionante perché dietro ogni piatto c’è un intenso lavoro di ricerca, con antropologi di quest’area geografica che vanno a scovare queste ricette desuete. La prossima edizione, che sarà a marzo, la vorrei dedicare a zuppe e minestre invernali.
Come ti percepisci rispetto al territorio in cui vivi?
Essendo genovese, mi sento, in realtà, molto partecipe di questi confini; essendo diventato anche alessandrino alla fine mi sento facente parte a tutti gli effetti di questo territorio. Quelli delle Quattro Province sono confini culturali, dialettali e culinari. Ci sono ricette che si ritrovano, con qualche piccola variante, ma anche il dialetto è imbastardito, d’altronde si va dal piacentino al ligure e si sentono anche alcune inflessioni genovesi, anche se Genova è la provincia che rimane fisicamente un po’ più fuori confine rispetto alle altre. Per me l’area si snoda nella parte alta dell’Appennino che va da Torriglia a Varzi, da Cosola a Rovegno.
Quali sono le difficoltà che riscontri in quest’area?
La vita è dura. Gli antenati qui coltivavano per la sussistenza della propria famiglia: in Appennino non c’era un gran commercio, cosa che invece accadeva e accade sulle Alpi, dove ci sono le malghe che vendono formaggio e una forma di introito comunque c’è. Quello che voglio dire è che vivere qui può essere meraviglioso, ma allo stesso tempo può essere un inferno.
Durante il lockdown mi è capitato di esserci: era pieno inverno ed è stato come essere catapultati nell’Ottocento. Era tutto fermo, nelle case vicine non c’era nessuno e bisognava aspettare lo spartineve per muoversi da casa. Nonostante tutto, però in questi ultimi anni le strutture ricettive stanno resistendo e sono passate da padre in figlio. Il viavai di persone che c’è qui soprattutto in estate è anche frutto della bellezza dell’antica via del Sale: è affascinate partire in quota e arrivare al mare a farsi il bagno, in Liguria.
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