24 Feb 2023

Patrizia, da Milano alla val Borbera: “Qui creo a contatto con la natura”

Scritto da: Valentina D'Amora

Nel cuore del parco naturale dell'Alta Val Borbera sorge un posto magico, uno spazio artistico immerso nella natura selvaggia. A curarlo Patrizia Fabris, valborberina d'adozione, che ha deciso di portare avanti il suo lavoro come artista e arteterapeuta in un territorio remoto, ma di straordinaria bellezza. Ci ha raccontato le difficoltà quotidiane e le sue idee per migliorare le cose.

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Alessandria - Torniamo a parlare di confini, questa volta nel versante alessandrino dell’area delle Quattro Province. Abbiamo fatto una chiacchierata con Patrizia Fabris, artista e arteterapeuta originaria di Milano, passata dalla Lomellina prima e dalle colline di Tortona poi, per approdare nel 2010 alla val Borbera.

Ci ha raccontato della sua nuova vita e di com’è la quotidianità in un’area remota come quella che ha scelto, tra le difficoltà e le limitazioni che questo comporta, riflettendo sulle possibili opzioni di miglioramento.

Patrizia, parlaci di te.

Sono nata a Milano, città da cui mi sono allontanata nel ‘92. Sono arrivata qui semplicemente come escursionista e ci sono rimasta: sulle prime come villeggiante, fino a che non ho incontrato il mio attuale compagno, con il quale abbiamo deciso di trasferirci in pianta stabile qui. Croso è una località montana che ho scelto perché, essendo nata a Milano, il mio obiettivo è sempre stato quello di vivere non solo fuori città, ma in un contesto a contatto diretto con la natura. Ed è proprio la bellezza che mi circonda ciò che mi ripaga continuamente. Anche se il prezzo da pagare è alto.

patrizia artinvalle
Patrizia Fabris
Come ti trovi?

La vita in Appennino non è semplice, questa poi è una zona molto selvaggia e d’inverno è abbastanza difficile. Quando però la mia strada si è intrecciata con quello del mio compagno, che invece è nato qui, le cose si sono evolute in maniera naturale. E il mio sogno si è accompagnato con il suo, che era quello di tornare nel suo luogo natale.

Com’è la vita in val Borbera?

Dopo tutto questo viaggiare, che ha richiesto una continua ridefinizione di me, del mio lavoro e delle mie relazioni, mi sono fermata qui da ormai dodici anni. Sono riuscita a ricostruire per l’ennesima volta la mia identità in questo luogo e ho aperto uno studio artistico lo scorso anno, dove svolgo laboratori artistici e arte-terapeutici. Se da una parte è difficile per la collocazione molto remota, allo stesso tempo è bellissimo.

La valle dove risiedo è quella dei Campassi, che è la valle parallela a quella di Carrega, che dista una quarantina di minuti da qui. Per arrivare da noi si procede da Cabella in direzione di Carrega, ma a un certo punto la strada si biforca, c’è un bivio che porta a una valle laterale. Io vivo dove la strada finisce e inizia il sentiero per il monte Antola.

Qui intorno ci sono solo sentieri, viviamo proprio nel bosco, che peraltro si cerca di controllare, anche se con scarsi risultati, visto che siamo solo in due. Proprio per la bellezza che mi circonda non sono affatto pentita di aver compiuto questo passo, nonostante tutte le difficoltà di vario genere che dobbiamo affrontare ogni giorno.

case artinvalle
Croso
Quali, per esempio?

I principali disagi hanno soprattutto a che fare con l’isolamento e i trasporti, ma anche con il clima. Il paese in cui viviamo è un piccolo borgo abbandonato, in cui io e il mio compagno siamo gli unici residenti. Il mio studio subisce le stesse problematiche relative alla lontananza della nostra abitazione – per andare ad Arquata impieghiamo circa un’ora –, anche perché la cattiva qualità della strada mette timore a molte persone.

Come ti organizzi con il lavoro?

Durante l’inverno mi occupo della mia produzione artistica e propongo le mie creazioni in alcuni mercati, principalmente al mercato biologico di Volpedo, dove c’è un pubblico molto interessato a questo tipo di produzioni; d’estate invece cerco di organizzare eventi artistici e arteterapeutici.

Lo scorso anno, ad agosto, ho organizzato diversi corsi e incontri in studio, quest’anno spero di riuscire a fare qualcosa di più. Ho in piedi una collaborazione con Appennino Futuro Remoto, il festival di musiche, cultura e tradizioni che si tiene ogni anno a Carrega, e proporrò una serie di appuntamenti artistici, sia esperienziali che tecnici, in giro per il territorio.

Se da una parte è difficile vivere qui per la collocazione molto remota, allo stesso tempo è bellissimo

Che cosa comporta vivere in un territorio di confine?

Ora come ora mi vengono in mente soprattutto le limitazioni. Innanzitutto c’è questa non appartenenza a nessun luogo che si percepisce in modo netto in chi vive qui. Per la provincia di Alessandria siamo molto remoti, altrettanto vale per la regione Piemonte, per cui siamo praticamente inesistenti. Questo, a maggior ragione, è vero per le altre province di quest’area, non essendoci nemmeno un’appartenenza formale.

Io personalmente ho una percezione positiva della non appartenenza, perché lascia più margine di spostamento e di azione. La non appartenenza che intendo, in realtà, è quella di chi si sente un po’ trascurato dalle amministrazioni e credo che questo sia un sentire comune a tutte le aree di confine. Non siamo di qui e non siamo nemmeno di là. Questo se da una parte porta con sé libertà, se vogliamo, dall’altra trasmette anche solitudine, amministrativamente parlando. Questi territori sono abbandonati a loro stessi e alle iniziative private, senza aiuti.

Cosa intendi?

Si parla spesso di sostenere i luoghi di confine, ma si tratta di pura teoria che i fatti poi contraddicono. Con una mano viene dato (poco) e con l’altra viene tolto (molto). La realtà è che vengono imposte tasse che le piccole economie di confine non possono permettersi di pagare, le strade non vengono né mantenute né aperte, le filiali delle banche vengono inesorabilmente chiuse, gli uffici postali aprono a malapena a orari alternati e via così, in un mulinello di provvedimenti o non-provvedimenti.

campane tibetane
Una delle produzioni di Patrizia

Le spese di gestione amministrative, a causa della natura del territorio e degli insediamenti umani, sono più alte che in una città, la cui economia invece è ben più ricca, e ricadono completamente sulle spalle di piccole comunità che vivono in modo decisamente più modesto. Ci sono situazioni in cui per degli immobili dal valore di mercato ridicoli le IMU versate sono solo lievemente inferiori o pari a quelle delle grandi città, dove i valori di mercato non sono nemmeno paragonabili a quelli di queste piccole realtà di confine. Gli aiuti purtroppo sono solo una goccia nel deserto. E potrei continuare con esempi simili all’infinito.

Quale potrebbe essere, secondo te, una possibile soluzione?

Servirebbe senza dubbio una maggiore differenziazione delle azioni di finanziamento e degli aiuti orientati ai progetti nelle aree interne. Il punto è che non si può paragonare il lavoro nella bassa valle a quello che si svolge qui, dove ci sono dei coefficienti di difficoltà decisamente maggiori. I regolamenti dei bandi quindi dovrebbero essere più mirati ai differenti contesti geografici. Quello che rilevo è la scarsissima conoscenza del territorio che emerge chiaramente nel momento in cui non vengono conteggiate tutte le effettive criticità correlate. Determinati parametri e indici di valutazione dovrebbero, a mio parere, essere pesati in modo diverso.

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