Istruzione familiare: cosa vuol dire “andare a scuola” in giro per il mondo?
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Era un giorno d’inverno in Portogallo e due donne sembravano disturbare il panorama. Distratte, attraversavano quell’aria gelida con indosso abiti dai colori vivaci, assolutamente spaiati, evocando il ricordo di terre che mai avevano conosciuto il freddo; stonavano in quel contesto, tanto da far pensare che all’improvviso potesse apparire una brillante primavera.
La prima donna era alta, anzi altissima, tanto quanto una poesia che termina con tre puntini… cosicché non termina mai davvero, ma lascia un’eco. Ecco: quella donna echeggiava. La sua pelle aveva il colore della notte d’estate senza luna e forse per questo portava il velo, il che la rendeva ancor più notturna e misteriosa. Strana donna e donna straniera. La seconda donna era bassa, bassa quanto una citazione finita con un punto. Quando lei cominciava, era già conclusa. Era tutta lì, cosicché stava dentro un unico sguardo. La sua pelle aveva il colore del pane crudo, quello prima della cottura: troppo pallida per essere nata nei tropici, proprio dov’era nata.
Donna straniera e strana donna. Ma quelle donne avevano un segreto comune: a loro era toccato “il Mistero”. Erano mamme. La prima donna, quella alta, aveva una figlia femmina, di tre anni, una piccola splendida creatura, così magnetica e magica, che qui chiameremo Nix, che significa Notte. La seconda donna, quella bassa, aveva un figlio maschio, di sei anni, un piccolo essere carico d’entusiasmo, così lucente e vitale, che qui chiameremo Helios, che significa Sole. Al veder quei due bambini, mano nella mano, pareva di guardare il giorno e la notte. E in quel giorno d’inverno madri e figli erano giunti a un parco giochi pubblico, dove molte altre madri portavano i propri figli a giocare.
Per descrivere il loro arrivo in quel parco giochi d’una città portoghese useremo una metafora che potrà apparire discutibile, ma perdonerete se è la migliore che suggerisce la nostra limitata fantasia. Chi non conosce il film Star Wars, dove vi sono i guerrieri Jedi, capaci di spostare le cose con il pensiero? Bene: quelle due strane donne erano entrambe Jedi. Ovunque si muovessero all’interno di quel piccolo parco giochi, tutte le altre persone attorno si spostavano più lontano, come spinte da una forza invisibile e, forse senza neppure accorgersi, s’allontanavano dalle due straniere. Erano proprio due Jedi.
Ma i bambini, qualcuno lo ammette, nascono liberi e in libertà sanno giocare al di sopra d’ogni cosa. Per questo in un batter d’occhio Nix e Helios s’erano intrufolati nella mischia con altri bambini. E quanto si divertivano ridendo e saltando! Giocavano. Nix era attorniata da suoi piccoli coetanei, tutti insieme intenti in un gioco astratto, quando accadde che, in un batter d’un altro occhio, tutte le madri presenti, nello stesso esatto momento, si ricordarono di dover rispettare a un’immancabile gravoso impegno.
E così, con aria greve e preoccupata, fuggirono portando con sé, naturalmente, i propri figli. Però, quest’ultimi protestarono, volevano giocare. E volevano giocare con Nix e Helios! Ma la “Mater Potestà” era irremovibile: via di qui tutti e via subito! In qualche battito d’occhi il parco giochi s’era miseramente svuotato.
Vabbè, lo confesso: la seconda donna, quella bassa, ero io. Sono passati otto anni da quel giorno d’inverno, ma ricordo molto bene ogni istante di quel freddo pomeriggio. I profondi e immensi occhi di Nix guardavano il vuoto appena formatosi attorno a lei. Non avrebbe capito perché i suoi compagni di giochi fossero improvvisamente scomparsi. Ad Helios invece i suoi gioiosi occhi verdi mostrarono d’avere finalmente tutti i giochi del parco per sé.
Nix, anche se molto piccola, vedeva bene la differenza del colore della sua pelle con quella del suo amico Helios, ma non poteva affatto immaginare ciò che questo significasse per molti e cosa potesse comportare. Per tutti i giorni che sarò in questa Vita, auguro a Nix, con tutto il mio cuore, di riuscire ad andare oltre le definizioni di lei stessa che per molte volte le vorranno imporre e prego affinché sempre abbia la forza sufficiente per farlo.
La naturalezza vissuta nei brevi momenti di gioco da tutti quei bambini, in quel freddo parco giochi portoghese, è rimasta integra in me e posso usarla come rimedio alla malinconia. Era la celebrazione della Vita. A quei bambini non avrebbe importato nulla delle differenze di abiti, di genere, di diversa origine di provenienza, tantomeno delle scelte religiose o del nascere più o meno colorati, anzi. Loro non avrebbero scelto i compagni di gioco in base a un futile criterio, ma erano giunti al mondo curiosi, di tutto e di tutti, con una sana propensione alla collaborazione e un naturale senso dell’umanità.
Per quei bambini forse era ancora così, fino al momento in cui le loro madri li portarono via da quel luogo di scoperta, di incontro, di conoscenza dell’altro, per riporli all’interno di una comoda e sicura scatola. E onestamente ci appare folle, realmente una follia, avere l’universo intero a disposizione e preferire una scatola e farne l’unica realtà possibile.
Ovviamente questa storia non riguarda un solo parco giochi portoghese. Succede e può succedere ogni giorno in ogni luogo del mondo. Significa che tutti i bambini del mondo sono costretti a questo baratto? Scambiare l’universo per una scatola? Non risponderei con un sì o con un no, evitando la “verità assoluta”, ma affermo senza esitazione alcuna che a mio figlio la libertà di istruzione ha regalato bellissimi frutti. La mia è una famiglia composta da naviganti e nostro figlio ha sempre avuto a disposizione come scuola nientedimenoche il mondo intero, comprendendo i maestri come il Mare, ogni signor Tramonto, tutti gli Alberi incontrati ed ogni Lumaca riportata nell’erba.
Si è relazionato con esseri umani di ogni età, cultura e contesto sociale. Ha appreso la pazienza di ascoltare gli anziani e ad accudire i bimbi più piccoli di lui. Il suo entusiasmo è da sempre così contagioso che tutti non si spiegano il perché non soffra come gli altri. “Sarà mica rinchiuso in una gabbia di cristallo con questa istruzione familiare?“, domandano. Tranquilli: ha sofferto e soffrirà come tutti, ha avuto soltanto un maggiore spazio interiore che gli ha permesso di elaborare ogni esperienza con un grande senso dell’umorismo, come in quell’occasione vissuta in Italia in cui gli voltarono le spalle e tolsero il saluto per non essere “completamente italiano”.
Quante risate quando lui elencava le sue parti “italiane”: il naso, il piede destro e un orecchio. E sconvolgeva ogni calcolo matematico e geografico quando doveva spiegare di dove fosse originario: “Sono metà italiano, metà spagnolo, metà brasiliano, metà siciliano, metà valenciano…” ed erano talmente tante le metà da farlo sentire così prospero da poter donare qualcosa a chi ne avesse bisogno. Come quella volta all’ufficio anagrafe di Lisboa, quando chiese al funzionario se si potesse tagliare a metà la sua carta d’identità europea per dare l’altra metà alla propria mamma, che di carta d’identità europea non ne aveva nessuna. Il funzionario non sorrise nemmeno.
Chissà se si ascoltassero i bimbi, in quale mondo potremmo finalmente vivere. L’esperienza di dieci anni di istruzione familiare ha concesso a mio figlio una doppia cittadinanza, quella che permette di vivere sia in una scatola sia di esplorare l’universo intero. Se lo avesse reso più o meno colto non saprei, ciò che importa è che effettivamente è stato un bimbo felice. Molto felice.
Questa infanzia così vissuta, così intensa, gli ha permesso oggi di potersi riconoscere come un adolescente solidale, libero ed amorevole. Credo che l’educazione e l’istruzione dei bimbi siano di fondamentale importanza per intravedere un mondo diverso. Amo stare con i bambini, perché vicino a loro l’umanità è visibile. Amo ascoltare i bambini, perché in loro ci sono tutte le possibilità.
Sono Catarina, nata in Brasile e considerata da sempre “non completamente brasiliana” a causa della mia rumorosa famiglia materna, di origine emiliana. Un giorno un bimbo mi disse che se avessi voluto diventare un uomo sarebbe stato molto semplice: sarebbe bastato cambiare nome, ad esempio chiamarmi Gianfranco. Preferisco però diventare donna, anche perché sono irrimediabilmente innamorata del mio compagno di viaggio e di Vita, papà del nostro amato figlio, bello come il Sole.
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