“Abbiamo dato vita a un forno comunale per riscoprire l’antica arte della panificazione”
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Torino - Ci sono forni la cui fiamma rimane sempre accesa e riscalda lo spazio circostante, riportando a tempi lontani in cui le antiche tradizioni partivano da ciò che si mangiava intorno alla tavola. Forni come quelli che ancora oggi si trovano nelle borgate alpine o nei piccoli paesi di montagna. Ma ci sono anche forni che dopo molto tempo si riaccendono e riprendono vita. È il caso del forno collettivo Il Casot, ad Almese (TO): è bastata una scintilla per rendere nuovamente vivo questo luogo un tempo dismesso, intorno al quale si è stretta una comunità di persone che crede nel potere del “fare insieme” e che riscopre l’antica arte della panificazione.
UN FORNO CHE RIPRENDE VITA TRA USANZE E VECCHI RICORDI
L’idea di creare un forno collettivo nasce da Ombretta Bertolo, Sindaca di Almese, che si è ispirata ai forni di alcune località alpine italiane e d’oltralpe e alle feste del pane che in molti paesi ancora si organizzano. Come ci racconta, «l’idea mi frullava nella testa già da tempo. L’ispirazione l’ho avuta a Condove, da mia suocera che andava sempre a farsi il pane a legna al forno nelle Borgate sopra il paese e si portava dietro Piero, suo figlio e mio marito, quando era piccolo. Lui mi raccontava di quanto era bello per loro quel momento».
Nella zona di Almese però non esistevano forni comunali, neanche in disuso, così si è dovuto partire da zero, ristrutturando un rudere abbandonato da anni, situato nella Frazione almesina di Rivera, che gli abitanti del posto chiamano “il casot”. A finanziarne la ristrutturazione è stata l’amministrazione comunale di Almese, che ha permesso anche la realizzazione del forno a legna, collocato all’interno del locale.
UNA COMUNITÀ CHE SI STRINGE INTORNO AL FORNO
In poco tempo il Forno del Casot è diventato un punto accogliente e funzionale, pieno di vita e buoni propositi. I cittadini si sono occupati di arredare lo spazio interno con mobili e accessori di recupero: come ci racconta Wanda, che fa parte del gruppo promotore, «ognuno ha portato qualcosa, come il tavolo della nonna con il piano in marmo, la vecchia credenza in legno, i pensili che ospitano la piccola Biblioteca del Pane, le sedie recuperate in cantina, il tavolino con la macchinetta del caffè e il bollitore per le tisane».
Intorno all’edificio c’è un terreno alberato che in parte è stato ripulito e ospiterà a breve dei tavoli con panchine, mentre sul lato sud verranno collocate piante aromatiche. «Le pareti esterne del forno sono decorate dai murales dell’artista Francesco Perotto, in arte Frank, nostro associato». Così già in lontananza si possono scorgere sulla facciata l’immagine di una pagnotta appoggiata su un tagliere e quella di un agricoltore intento a tagliare il grano con la sua falce. Immagini evocative che ricordano usanze e tradizioni del passato, trasmesse di generazione in generazione.
«Per molti di noi era la prima volta che ci si trovava ad accendere e gestire un forno a legna, ma grazie alle consulenze locali e a varie ricerche sul web abbiamo ottenuto buoni risultati da subito». Per dare vita a un forno comunale in fondo non c’è bisogno di essere esperti. Spesso il segreto sta nella collaborazione e nella condivisione dei preziosi saperi di ogni partecipante. «Il primo carico di legna è stato regalato da amici. Anche le fascine utili per l’accensione sono state donate e capita che chi arriva per accendere il forno porti altra legna o fascine per l’utilizzo successivo».
LIEVITO MADRE E CEREALI AUTOCTONI: IMPASTARE NON È MAI STATO COSÌ NATURALE
Dopo le prime accensioni effettuate per il “collaudo” del forno, sono partite le prime infornate. In poco tempo al gruppo di cittadini “promotori” si sono aggregate molte altre persone, entusiaste di condividere lo spirito collettivo del forno. Così è nata l’associazione Amici del Forno il Casot, che conta oggi una quarantina di iscritti e molte richieste continuano ad arrivare. L’adesione è aperta ai cittadini almesini e dei paesi limitrofi che ha aderito a un regolamento di utilizzo del forno, stilato e condiviso in maniera partecipata.
«La maggior parte degli associati è composta da panificatori casalinghi: chi usa lievito madre, chi lievito di birra con pre-impasto, chi sperimenta farine senza glutine e chi farine forti. C’è poi chi è principiante e chi ha molta esperienza ed è felice di condividerla». Al forno la parola d’ordine è condividere non solo un progetto, ma anche l’idea di un’alimentazione sana e naturale: così l’associazione sceglie l’utilizzo di farine locali e artigianali e lo fa attraverso gli acquisti collettivi delle Farine del Mulino Valsusa che, come vi abbiamo raccontato in un precedente articolo, macina a pietra cereali autoctoni.
L’associazione ha inoltre effettuato un acquisto collettivo di tofeje, la tradizionale pentola in terracotta realizzata a Castellamonte, per la cottura lenta di zuppe a base di legumi. «La tofeja viene introdotta nel forno la sera, dopo la cottura del pane, lasciata tutta la notte a cuocere lentamente e prelevata il mattino seguente. In questo modo si sfrutta il calore residuo del forno e nulla viene sprecato».
Le accensioni del Forno vengono effettuate su proposta dei singoli, con qualche giorno di anticipo, in modo da permettere agli iscritti di partecipare. «Cerchiamo innanzi tutto di “sfruttare” il Forno e organizzare le varie cotture ravvicinate, in modo da usare poca legna per ottenere numerose cotture. Solitamente i giorni sono il venerdì e il sabato seguente, ogni quindici giorni».
Durante i giorni di apertura del Forno le pizze e le farinate sfornate in precedenza vengono gustate nell’attesa della cottura del Pane, sempre accompagnate da buon vino locale e birra artigianale. Questa degustazione collettiva è diventata consuetudine e le Giornate di Panificazione al Casot sono sempre bellissimi momenti di festa.
Oggi sono molte le attività che l’associazione ha in programma di organizzare al Forno: corsi di panificazione, progetti educativi con le scuole del territorio, feste del pane con il coinvolgimento dei panificatori artigianali o attività commerciali locali. Come ci spiega Wanda, «fare il pane insieme è socialità, è condividere esperienze e ricette e lieviti, è donare il proprio sapere ma anche imparare dall’altro, è scoprire ed accettare le diversità, è sperimentare, è partecipazione attiva».
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