Elisa Costantino e il Collettivo Mai Ultimə: “Lottiamo contro l’abilismo all’interno dell’Università”
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Torino - Elisa Costantino ha 23 anni e frequenta il secondo anno della laurea magistrale in Politiche e servizi sociali all’Università degli Studi di Torino. È una ragazza che ha una disabilità e ci tiene a sottolinearlo perché, ci dice, crede nel disability pride e ritiene la disabilità parte integrante della sua vita. Elisa fa attivismo sui suoi profili social e a livello territoriale e fa parte del collettivo Mai ultimə, una realtà che combatte l’abilismo – ovvero la discriminazione delle persone disabili – nata all’interno dell’Università di Torino.
Ciao Elisa, per prima cosa vorrei domandarti: cos’è il collettivo Mai ultimə? Com’è nata l’idea e perché avete deciso di creare questo gruppo?
Il collettivo Mai Ultimə è l’unico – e oserei dire anche il primo – collettivo di studenti disabili e neurodivergenti di UniTo. L’idea è nata da una battuta che mi ha fatto Riccardo Savino, mio caro amico e studente con disabilità di UniTo, che mi ha detto: «Eli, secondo me dovremmo tirare su un collettivo di persone disabili».
Dai nostri discorsi emergeva di continuo la discriminazione subita da ogni studente disabile e neurodivergente all’interno del contesto accademico. Col tempo, abbiamo deciso di coinvolgere anche studenti neurodivergenti – ad esempio le persone DSA oltre che autistiche, ADHD e così via – nel nostro collettivo, poiché anche loro sono vittime di abilismo. Ci teniamo a precisare che il collettivo nasce prima di tutto come spazio sicuro in cui raccontare le discriminazioni vissute senza essere silenziati e in cui sentirsi riconosciuti e compresi.
La narrazione della disabilità è nella maggior parte dei casi creata da persone non disabili e per questo motivo difficilmente corrisponde alla realtà. La disabilità viene essenzialmente raccontata attraverso lo sguardo della normalità, che spesso è uno sguardo abilista. Che conseguenze ha questo approccio sulla vita delle persone disabili?
Seguo molte persone disabili che fanno attivismo sui social e vedo sempre un’enorme differenza tra chi parla per sé e chi invece porta avanti una narrazione mediatica. In Italia noto che le persone disabili faticano parecchio a prendere parola. Credo che il linguaggio formi il pensiero e viceversa e se il linguaggio continua a rimanere abilista vivremo sempre in un mondo abilista colmo di svalutazione, paternalismo e pietismo.
Solitamente porto l’esempio del modo di dire “costretta in sedia a rotelle”, ancora assai diffuso nel discorso mediatico. Io non sono “costretta”, la carrozzina è uno strumento di libertà che mi permette di uscire di casa e senza la quale io sarei sdraiata perennemente sul letto. Perché le persone con gli occhiali non sono “costrette a portare gli occhiali” ma io sono “costretta in carrozzina”? Entrambi sono ausili che ci aiutano a vivere meglio, ma la carrozzina è vista come una tragedia.
Può sembrare una sottigliezza, ma il “costretta sulla sedia a rotelle” alimenta una visione pietistica della disabilità. In generale l’abilismo insito nei discorsi impatta fortemente sui diritti che ci sono “concessi”. Motivo per il quale io nel 2023 non ho ancora il diritto di scegliere dove vivere e come condurre le mie giornate, poiché non vengono stanziati sufficienti fondi per l’assistenza personale.
Cosa fa in concreto il collettivo Mai ultimə per contrastare questa narrazione e dare alla persona disabile il diritto di autorappresentarsi e autodeterminarsi?
In primis abbiamo l’obiettivo di prenderci i nostri spazi all’interno dell’Università, poiché attualmente o non si parla di disabilità o se ne parla attraverso lo sguardo “abile”. Le persone disabili e neurodivergenti non sono mai state chiamate in università ad autorappresentarsi. Non esagero quando dico che in alcuni corsi le persone disabili sono ancora definite “handicappate”, “diversamente abili”, che disabile significa meno abile ed è una parola stigmatizzante.
Il collettivo è nato anche per contrastare queste narrazioni e per dire: “Noi esistiamo, fate parlare noi”. Seguiamo il motto dei disability studies che recita: “Nulla di noi senza di noi” [nothing about us without us, nell’originale inglese, ndr]. Abbiamo quindi istituito un ciclo di seminari in cui le persone del collettivo raccontano di quanto l’abilismo impatti sulla propria pelle e piano piano iniziamo a essere presenti nei tavoli di lavoro su disabilità e neurodivergenza.
Mai ultimə è formato da studenti dell’università di Torino. Abilismo e università, accessibilità, parità di opportunità non solo nell’accesso allo studio, ma anche nello sviluppo della carriera accademica. Quanto incide l’abilismo sistemico nella nostra società sull’accessibilità e sulla parità di opportunità allo studio? Puoi farci qualche esempio?
Dalle esperienze che ho ascoltato in questi mesi nel collettivo so che incide moltissimo. Io ho il privilegio di avere una disabilità riconosciuta all’interno dell’università, ma so benissimo che non è sempre così. In sintesi, avere una disabilità o una neurodivergenza riconosciuta all’interno dell’università significa poter avere del tempo aggiuntivo a un esame, svolgere prove parziali, la conversione delle modalità d’esame o presa degli appunti durante i corsi (non tutti).
Pensiamo ad esempio all’ADHD [disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ndr], che al momento non è riconosciuta all’interno della nostra università. Queste persone sono costrette a prolungare non di poco la propria carriera accademica perché non rispondono al tempo normativo.
Un altro esempio che mi sembra importante fare è quello delle barriere architettoniche. Siamo a Torino, ma anche le sedi costruite più recentemente hanno tantissime barriere architettoniche che impediscono la fruizione di tutte le lezioni. Se io non posso recarmi in sede e seguire le lezioni, sono costretta a dare gli esami da non frequentante, a perdermi la vita sociale in università e a essere segregata in casa. Inoltre è stata tolta la DAD, che per alcune disabilità – ad esempio quelle invisibili o quelle più gravi – era fondamentale per garantire il diritto allo studio. Al di là dei servizi che mancano.
Quanto è forte il legame vostro con il territorio e che progetti in concreto state portando avanti per contrastare l’abilismo a Torino?
Per quanto il nostro collettivo sia relativamente recente – ha meno di un anno di vita –, stiamo cercando di essere presenti in tutte le sedi che ci riguardano. Come dicevo prima, vogliamo prenderci sempre di più i nostri spazi. L’obiettivo è sensibilizzare la comunità accademica sull’abilismo e per questo abbiamo organizzato un ciclo di nove seminari in cui si parlerà di tantissimi argomenti tra cui disabilità invisibili, autismo, ADHD, metodologie della ricerca sulla disabilità, salute mentale, sordità, DSA e avremo anche come ospite Fabrizio Acanfora che presenterà il suo ultimo libro sull’inclusione lavorativa.
Siamo davvero molto contenti e contente perché finalmente avremo uno spazio nostro senza dover chiedere ospitalità a nessuno. Questo ci consente di raccontare anche quanto l’abilismo faccia male e quanto sia importante contrastarlo. Ora cominciamo a farci conoscere e stiamo ricevendo inviti a lezione da parte di docenti che hanno a cuore l’accessibilità e il diritto allo studio.
Stiamo pensando di organizzare un maxi evento il 3 dicembre, in occasione della giornata internazionale delle persone disabili, momento che in università passa ancora inosservato. Vogliamo che ogni studente esca dall’università conoscendo qual è la propria responsabilità sociale nel creare barriere e nel discriminare. La disabilità non deve più essere considerata una patologia o qualcosa da prevenire e curare.
Le persone disabili e neurodivergenti vanno bene così come sono ed è giusto che la società comprenda quanto peso abbia una narrazione abilista nel “disabilitarci”, e quanto si possa fare per invertire questa tendenza e garantire parità di opportunità a tutte le persone, a prescindere dalle proprie caratteristiche.
Potete seguire Elisa Costantino visitando il suo sito o i suoi canali Facebook e Instagram.
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.
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