Destinazione Umana: dall’ispirazione ai viaggi lenti, ecco come cambia (in meglio) il turismo – Dove eravamo rimasti #10
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Catanzaro - «Lavoravo in una grande azienda, mi sembrava una bella opportunità, ma in realtà dopo quattro anni passati dietro alla scrivania il mio cervello aveva cominciato a spegnersi. Per questo motivo, quando hanno ridotto il mio orario di lavoro, ne ho approfittato per licenziarmi e seguire le mie passioni». Si era raccontata così la prima volta che l’abbiamo incontrata Silvia Salmeri, co-fondatrice di Destinazione Umana e di Inspirational Travel Company.
Era il 2015 e oggi, a otto anni di distanza, l’abbiamo risentita per farci aggiornare su come è cambiata la sua vita professionale – e non solo –, sempre però senza abbandonare la grande passione del viaggio, interpretato secondo canoni innovativi, che mettono al centro le persone e le esperienze cercando di costruire modalità di scoperta del territorio consapevoli ed ecologiche.
La tua vita professionale è passata attraverso tantissimi cambiamenti, dall’embrionale ViviSostenibile alla rivoluzione concettuale di Destinazione Umana, fino alla Scuola di Turismo Ispirazionale. Qual è il filo rosso che lega tutte queste esperienze?
Il filo rosso lo riassumerei in questo concetto: rivoluzione umana. Tutte le attività che abbiamo portato avanti in questi anni sono state sempre accomunate dall’intenzione di apportare benefici su tre livelli: a noi stessi, alle persone che vengono in contatto con noi e alle comunità in cui viviamo. Crediamo profondamente nel potenziale dell’essere umano e nel fatto che se cambiamo noi, cambia anche l’ambiente circostante. Quindi tutto quello che facciamo ha l’obiettivo di portare questa ispirazione nella vita delle persone. E il viaggio resta, senza dubbio, lo strumento più potente per accendere queste scintille e portarle nella quotidianità.
Parliamo di Inspirational Travel Company: quando è nata (in questa forma) e con quali obiettivi?
Inspirational Travel Company è il nome della nostra società, nata nel 2015. L’obiettivo che da sempre porta avanti è quello di diffondere il concept di turismo ispirazionale, che abbiamo ideato nel 2014 e che sposta il focus dalla meta alle persone che andremo a incontrare e all’ispirazione che stiamo cercando. Per farlo, lavoriamo su due ambiti: da un lato organizziamo viaggi a piedi col brand Destinazione Umana, dall’altro facciamo formazione attraverso la Scuola di turismo ispirazionale.
Quali sono le persone che oggi lavorano a questo progetto e quali le realtà con cui collaborate sul territorio o in tutta Italia?
Siamo un team di 9 persone. Oltre a me, c’è la collega che abbiamo definito “psicologa ispirazionale” e che si occupa dell’aspetto psicologico dei nostri viaggi a piedi, attraverso due call – una prima di partire e una al rientro – che facciamo con le partecipanti alle nostre esperienze. E poi ci sono le Inspirational Travel Designer, che mi supportano nell’ideazione e organizzazione di nuove proposte di viaggio, e i colleghi e le colleghe della comunicazione. Oltre a noi del team “interno”, collaboriamo con guide ambientali escursionistiche su tutto il territorio e con host che sposano la nostra filosofia di viaggio lento e ispirazionale. E nascono collaborazioni anche con ex studenti e studentesse della scuola.
Puoi citare un paio di progetti o iniziative realizzati in questi ultimi anni che ben rappresentano la vostra visione?
Dal punto di vista dei viaggi, sicuramente la Via delle Dee. Nel 2019 abbiamo deciso, quasi per gioco, di rendere lo storico Cammino degli dei (da Bologna a Firenze) un’esperienza per sole donne. Il successo che ebbe quel lancio ci fece capire che quella era la strada giusta – o forse sarebbe meglio dire il cammino giusto! – da prendere. Qualche mese dopo decidemmo così di focalizzarci su viaggi ispirazionali a piedi per donne. In un mondo che, soprattutto a noi donne, chiede di essere multitasking, crediamo che rallentare – regalandoci, ad esempio, un’esperienza di questo tipo – sia un gesto rivoluzionario.
Dal punto di vista della formazione invece voglio citare il lancio della Scuola di turismo ispirazionale. Per tanti anni abbiamo fatto corsi per i singoli operatori. Poi però mi sono resa conto che se il singolo non è inserito all’interno di una rete territoriale collaborativa che lavora in armonia verso un unico obiettivo, le cose cambiano molto più lentamente. L’obiettivo della scuola è proprio questo: rivolgerci sempre più alle comunità per trasformarle in destinazioni ispirazionali.
Facciamo un bilancio del settore turistico in questo momento storico: cos’è cambiato rispetto a quando hai iniziato e cosa dovrebbe ancora cambiare in un percorso verso un turismo sostenibile e consapevole?
Quando abbiamo iniziato noi, ormai dieci anni fa, a parlare di turismo trasformazionale, esperienziale e di comunità eravamo davvero in pochi. Oggi, anche grazie alla pandemia, sappiamo tutti che sono la direzione verso la quale bisogna andare. Mi sento di dire però che il grosso del settore rimane ancorato a una vecchia mentalità. Serve ancora tanto lavoro culturale, sia sugli operatori sia su chi viaggia, per prendere davvero consapevolezza di quanto anche il turismo sia un fenomeno ambivalente. Perché se da un lato porta arricchimento personale ed economico, dall’altro è ancora generatore di forti squilibri sociali e ambientali.
Oggi il turismo sta cominciando e legarsi sempre di più con le aree interne: quali sono secondo te i rischi e le potenzialità di questo binomio?
Le potenzialità sono sotto gli occhi di tutti, anche se troppo spesso vengono raccontate con un tono romanzato. Io per prima, anni fa, ci sono cascata, presa dall’entusiasmo di questo cambio di direzione in cui credo realmente. Ci credo talmente tanto che due anni fa mi sono trasferita da Bologna a Soverato, in provincia di Catanzaro. Non è un’area interna perché siamo sul mare, ma è comunque un paesino del sud con tutte le difficoltà che ben conosciamo di questa regione.
La prima scelta quando decidemmo di compiere questo trasferimento a sud era ricaduta su un altro paesino della collina ionica, dove il mio compagno ha una casa di famiglia inutilizzata. Quando però ci siamo trovati a fare i conti con i servizi dell’area, pensando soprattutto a nostro figlio piccolo, non ce la siamo sentiti di intraprendere un cambio così radicale.
Io credo che il turismo – se impostato in un certo modo – possa davvero attrarre nuove energie in questi territori e quindi rianimare comunità e di conseguenza riattivare servizi. Ma non dobbiamo correre il rischio che diventi una moda e che i nostri borghi vengano presi d’assalto senza un “piano regolatore”. Servono visione, strategia, cura e tempo. Facciamoci insegnare da chi già lo sta facendo fa tanti anni con successo, Biccari per esempio.
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