Confini, aree interne e imprenditoria femminile: dalla Val Pennavaire ecco la storia di Oriana
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Savona - Impercettibile agli occhi, ma con conseguenze amministrative, culinarie, dialettali: i confini esistono solo sulle mappe geografiche o hanno ricadute anche sul vissuto e l’identità di chi abita il territorio? Mi trovo ad approfondire in queste settimane storie e vissuti di chi vive la “mia” valle, la Val Pennavaire, che è composta da quattro Comuni: Castelbianco, Nasino, Alto e Caprauna. Mentre i primi due sono liguri, gli altri due risultano per uno strano caso storico piemontesi.
Per capire meglio cosa ciò voglia dire, ho iniziato la mia indagine da una donna, madre, imprenditrice, ex barista e cuoca: lei si chiama Oriana Bertuletti e da dieci anni gestisce il b&b Le Sporting a Nasino, ultimo Comune ligure della Val Pennavaire, al confine con il Piemonte. Ho deciso di farle visita per farmi raccontare da lei cosa vuol dire vivere e lavorare qui.
Oriana, raccontaci un po’ di te.
Sono nata da una famiglia di Bergamo molto semplice: ultima di tre fratelli, i miei genitori sono sempre stati molto severi con noi. Avrei voluto studiare al liceo artistico e poi proseguire con la laurea in infermieristica, ma mia mamma aveva altri piani per me: siccome mio padre aveva un’azienda di metalmeccanica, voleva che diventassi ragioniera per supportare l’attività. Mi opposi, anche se all’epoca avevo solo 13 anni. Per punirmi mi ha costretta a lavorare in officina, sperando che così facendo cambiassi idea.
E così è avvenuto?
No, ho lavorato lì per otto anni, facendo i lavori più diversi e disparati. A vent’anni ho poi deciso di proporre a un bar gelateria di lavorare gratuitamente per loro per poter imparare il mestiere e dopo un anno sono riuscita ad aprire il mio bar e tavola calda, che ho gestito per 16 anni con quello che è poi diventato mio marito. Il lavoro era faticoso e non avevamo mai un giorno di riposo e arrivata a 35 anni desideravo molto diventare madre.
Dopo tre aborti spontanei sono finalmente riuscita a portare a termine la gravidanza, ma i ritmi di lavoro che un’attività in proprio come quella richiedeva erano davvero duri, tanto che ho lavorato cucinando e servendo ai tavoli e al bancone fino a due giorni prima di partorire. Da lì qualcosa è cambiato e mi sono impuntata per vendere l’attività perché sentivo di dover offrire una vita migliore a me e a mio figlio. Ci abbiamo messo due anni in tutto, ma ce l’abbiamo fatta.
E così il sogno di crescere tuo figlio con tempi lenti era finalmente vicino, ma perché la Liguria?
La Liguria piaceva moltissimo sia a me che a mio marito e così abbiamo deciso di cercare qui una casa che potesse ospitare sia la nostra abitazione che qualche camera da poter affittare: siamo partiti da levante, ma abbiamo avuto solo offerte non andate a buon fine. Sembrava che tutti i segnali fossero contrari al nostro trasferimento, quando un’amica di Albenga ci invita a vedere anche questa zona.
E così passeggiando e guardando gli annunci fuori dalle vetrine delle agenzie immobiliari la mia attenzione è stata assorbita da una grande casa rosa: chiedo informazioni, ma vengo dissuasa dal vederla dall’agente, che mi spiega “lì non c’è mai il sole, nevica ed è proprio un paese bruttissimo”. Decido allora di andare a cercarla io e grazie a due signori che avevano le chiavi: riusciamo a entrare e capiamo al volo che era lei!
Come vi siete trovati a vivere qui?
Io ero pronta a vivere in un luogo “fuori dal mondo”, dopo tanti anni a contatto costante con la gente, ne sentivo il bisogno. Le persone del posto sono state fin da subito molto gentili e aperte con noi, cosa per nulla scontata, e ciò ha portato anche me a rendermi disponibile e contraccambiare con ciò che potevo fare io per loro: in questi anni sono diventata volontaria del 118 per il servizio in valle e per supportare le persone anziane che ho vicine.
In generale comunque vivo molto serenamente la vita qui, i ritmi sono totalmente diversi e di conseguenza si assapora di più tutto. La critica che spesso ricevo riguarda la lontananza da Albenga: sono 18 chilometri, è vero, ma sono scorrevoli. A Bergamo per percorrere la stessa distanza ci impiegherei il doppio del tempo con il triplo dello stress tra semafori, clacson e confusione.
Nasino è l’ultimo comune della valle ligure: quali sono le problematiche e i punti di forza di questa zona di confine?
A livello turistico è un valore aggiunto essere in una zona che a livello naturalistico e anche amministrativo offre mondi nuovi: le opportunità sono molte ed essendo a metà strada tra montagne e mare è un bellissimo luogo da esplorare. Manca secondo me l’impegno da parte di tutti, riabitanti e non, di far vivere questi luoghi attraverso proposte culturali e turistiche. L’identità di chi è cresciuto e vive qui non è regionale e neanche comunale, piuttosto di frazione.
Nasino è suddivisa in dieci frazioni e ha in tutto 200 abitanti e le loro radici sono legate proprio alle singole frazioni, mentre per chi rivive questi luoghi ma è cresciuto altrove – come me o i più giovani – l’identità si espande, per abbracciare l’intera valle. Il confine in entrambi i casi, per ciò che ho vissuto, non viene percepito. L’unico caso in cui mi capita di parlarne è quando do indicazioni ai turisti che sono qui per la prima volta, per evitare che si spaventino nel vedere i cartelli di cambio regione.
Quali sono i tuoi desideri futuri per questo luogo?
In questi ultimi anni sono rimasta a vivere qui sola con mio figlio e le spese per tenere aperta l’attività di affittacamere anche nel periodo invernale erano troppo alte. Ho quindi deciso di aprire solo da aprile a ottobre e il resto dell’anno ho trovato lavoretti vari. Mi piacerebbe che questa valle venisse valorizzata di più, affinché anche le attività già presenti e quelle che apriranno possano garantire i servizi per l’intero anno. Iniziando anche da piccole cose: percorsi di trekking per famiglie segnalate, piccoli parchi avventura naturali, pulire i laghetti naturali che abbiamo in valle.
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