“Coltiviamo la terra per abbattere ghetti sociali e capitalistici”. Ecco il modello degli orti di Spes
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Imperia - “Ma credete veramente di essere pazzi? Davvero? Invece no, voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io!”
Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo
Sento sempre più spesso parlare di normalità. Ma chi di noi, guardandosi bene dentro, può davvero definirsi “normale”? E soprattutto chi davvero lo vuole essere? Ci hanno venduto una definizione di umano normale che equivale allo stare nella media, né un poco sopra, né tanto meno sotto. Essere normali significa essere omologati: apparire ma mai eccedere, comportarsi secondo etichette sociali decise da qualcun altro, parlare, vestirsi, esprimere emozioni secondo regole e canoni non nostri. Siamo abituati a giudicare noi stessi e gli altri a seconda di quanto ci incastriamo nella scatola consumistica e arrivista che vorrebbe contenerci tutti. E chi non ci riesce viene considerato svantaggiato e tagliato fuori.
In questa lucente e appariscente economia, profitto e lavoro sono in antitesi a solidarietà, empatia e felicità. Eppure basterebbe poco, basterebbe provare a uscire dalle regole del gioco per costruire nuovi modi di unire il fare a una dimensione dell’essere. E un esempio arriva proprio da Ventimiglia, dove Spes Auser, un’associazione che da una ventina d’anni si occupa di sostegno alla disabilità, è andata oltre alla cura applicando a un’attività di produzione ortofrutticola una struttura orizzontale in cui operatori e utenti sono alla pari e, ognuno con le proprie competenze, mezzi e tempistiche, lavora quotidianamente fianco a fianco per garantire il raggiungimento degli obiettivi comuni.
UNA GUIDA SPECIALE: VI PRESENTO GIANNI
Arrivismo e competizione in questo luogo sono stati sostituiti da cooperazione e sostegno reciproco. Ad accompagnarmi a visitare parte della struttura è Gianni Cappelletti, tra i primi operatori a farne parte e oggi coordinatore generale, il quale rappresenta in sintesi l’anima dell’intero progetto: anti-stereotipo, competente ma umile. Unisce la testa al cuore in maniera naturale e non forzata. Gianni infatti ha gli occhi profondi di chi sa viaggiare dentro ai meandri della psiche umana, ma possiede al tempo stesso i segni nelle sue mani di chi quotidianamente agisce, lavora per cambiare la realtà attraverso le azioni più che con le parole.
Dopo aver lasciato un impiego fisso nell’ufficio tecnico del Comune di Roma, si trasferisce a Ventimiglia e decide di laurearsi in psicologia. All’epoca trentacinquenne, affianca il suo ritorno allo studio all’accudimento della figlia che nel frattempo nasce, diventando un “mammo” a tempo pieno. Appassionato di agricoltura entra a far parte di Orti insieme sin da subito. Quando gli viene proposto di collaborare alla nascita del progetto di orti di Spes non gli sembra vero: «Non ci potevo credere, mi è sembrata la realizzazione di un sogno. Dopo anni passati dentro a un ufficio, poter mettere in pratica competenze di studio, insieme alla passione per l’agricoltura, mi è parso qualcosa troppo bello per essere vero».
GLI INIZI DI SPES
L’associazione Spes nasce nel 1996 da un gruppo di genitori, parenti e amici di persone diversamente abili. «All’epoca – mi racconta Gianni – la condizione più frequente era che, una volta terminato il percorso di studi, la maggior parte di loro rimaneva a casa con i genitori». L’idea alla base è quindi quella di creare a livello privato una serie di servizi di sostegno che fino a quel momento erano mancati. Ma come? Il gruppo venutosi a creare si rivolge a Luciano Codarri, figura carismatica e molto conosciuta di Ventimiglia, ex “prete operaio”, che una volta uscito dal clero diviene sindacalista della CGIL, per poi dedicarsi all’associazionismo in supporto ai meno fortunati.
Grazie a contatti e reti di conoscenze, in pochi anni riescono ad aprire prima un centro diurno a Roverino, sede centrale ancora oggi dell’associazione, e successivamente un centro più piccolo a Bordighera. Negli anni a seguire si aprono le porte anche di una nuova casa famiglia a Ventimiglia in frazione Varase, nata come struttura per accogliere chi è rimasto senza famigliari. «Ancora oggi, nonostante siano passati diversi anni, la situazione non è cambiata. I servizi rivolti alle persone diversamente abili sono aumentati, ma nonostante questo la base è pur sempre l’assistenzialismo».
Gianni mi spiega che la legge italiana prevede che le aziende con un certo numero di dipendenti siano incentivate ad assumere persone con disabilità, ma a Ventimiglia la maggior parte delle realtà imprenditoriali sono di medio piccole e non sono comunque sufficienti per assorbire tutti, che rimangono così a carico delle sole famiglie. Nel 2010, grazie all’iniziativa del proprietario dei terreni in cui mi trovo, che diverranno poi la parte centrale intorno a cui ruota l’intero progetto, nasce l’idea di coniugare l’esigenza di queste famiglie con un’impresa agricola.
«Il titolare prese in stage alcuni degli utenti delle strutture diurne di Spes e resosi conto di quanto fossero bravi di lavorare al di sopra di ogni sua aspettativa e del loro benessere che ne conseguiva, propose all’associazione di costruire qualcosa a livello lavorativo di più continuativo». Oggi lavorano in questi terreni una trentina di persone, di cui circa la metà sono operatori e l’altra metà utenti.
«I terreni che coltiviamo erano tra i più importanti della zona nel settore floristico, ma passato il periodo vennero scartati dall’industria agricola della globalizzazione, in quanto non più conveniente da utilizzare, perché meno produttivi di altri. Abbiamo quindi preso spazi esclusi dal sistema economico e ci abbiamo messo a lavorare persone anche loro escluse da quel sistema, cercando di creare economia. E funziona! Sin dall’inizio l’idea è stata quella di un progetto orizzontale in cui tutti lavorano: ognuno qui fa quello che è in grado fare nel rispetto di capacità, tempistiche e passioni di tutti, rispettando gli obiettivi che decidiamo insieme».
LA PARTE AGRICOLA
Guardandole, le strutture coltivate appaiono ben curate: ognuno è preso dalla propria attività e me la mostra con grande orgoglio. Gli spazi sono ampi e abbondanti le cassette con il raccolto della giornata, che viene pesato accuratamente e suddivisa. Gianni mi racconta, probabilmente vedendo la mia espressione stupita da tanta abbondanza, che nei primi anni hanno sperimentato molto e commesso anche alcuni errori, ma successivamente hanno trovato il metodo e il ritmo giusti e selezionato i semi più resistenti e adatti al clima.
«Non abbiamo mai spruzzato pesticidi, usiamo concimi sia organici che minerali, con sempre più rari trattamenti biologici. Inoltre collaboriamo con Torri Superiore, che qui ha parte dei propri orti, e con i Giardini Hanbury, che ci donano gli aranci e mandarini raccolti dai loro alberi, con cui produciamo marmellate da vendere». I prodotti ortofrutticoli vengono poi venduti in parte tramite un negozio a Ventimiglia, che propone anche alcuni trasformati, realizzati grazie ai due laboratori già attivi, ma non solo. «Abbiamo cercato di mettere in piedi un’economia virtuosa per cui i prodotti che vengono coltivati sono serviti anche all’interno delle mense interne dell’associazione nei centri diurni».
Spes insegna quanto la bellezza e la gioia risiedano sempre più spesso nell’essere splendidamente anormali, rifiutando scatole contenitive e limitate: non lasciamo che altri ci etichettino per le nostre debolezze o incapacità, siamo tutti esseri unici in grado di esprimere noi stessi, valorizzando le nostre capacità e peculiarità. E premiamo le persone intorno a noi, che quotidianamente lavorano per abbattere ghetti creati da pregiudizi e differenze che separano e limitano.
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