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È il 30 gennaio 1948, sono le 17 circa. Siamo a Nuova Delhi e Gandhi sta partecipando a una cerimonia serale nel giardino di casa Birla – oggi un museo –, dove viveva. Un uomo, Nathuram Godse, si fa largo tra la folla, si avvicina a Gandhi e si piega in segno di reverenza. Sembra un seguace come altri, invece poco dopo tira fuori la pistola e gli spara tre volte – anche se c’è chi sostiene che i colpi siano stati quattro – al petto e all’addome.
Gandhi, che era riuscito a dire solo «Hé Rām», «Mio Dio», cade subito sull’erba. Sono le 17:17. Pochi minuti dopo Gandhi muore, mentre fuori dalla casa si scatena il caos. Il movente? Godse, un integralista indù fuggito dal Pakistan, non accettava l’atteggiamento eccessivamente conciliante di Gandhi nei confronti della minoranza musulmana e lo riteneva responsabile dell’indebolimento dell’India.
LA STORIA
Gandhi nasce il 2 ottobre 1869 a Porbandar, una città di pescatori del Gujurath, nell’India occidentale, al confine con il Pakistan. La sua famiglia apparteneva al gruppo modh, una comunità dedita al commercio; il nome Gandhi infatti vuol dire “droghiere”. Dopo aver studiato a Londra alla facoltà di giurisprudenza, torna in India nel 1891 e inizia la sua esperienza nell’avvocatura nel suo paese natale. Poco dopo, l’azienda per cui lavora lo manda in Sudafrica, dove inizia a occuparsi degli indiani immigrati.
È proprio in quel periodo che Gandhi, entrando in contatto diretto con l’apartheid e sperimentando sulla propria pelle il pregiudizio razziale, comincia a utilizzare il suo metodo di protesta basato sulla resistenza passiva e sulla nonviolenza. Si attiva per portare avanti istanze e petizioni di sensibilizzazione per porre fine alle violenze che i compatrioti sono costretti a subire in Sudafrica.
Tornato in India nel 1914, adotta questa nuova forma di lotta politica sperimentata in Africa – che consiste nell’infrangere una norma per sottolinearne la sua ingiustizia – anche contro gli inglesi: è stato infatti uno dei pionieri e dei teorici del Satyagraha, la resistenza all’oppressione attraverso la disobbedienza civile di massa che ha portato l’India all’indipendenza nel 1947.
Conosciuto con l’appellativo di Mahatma, che letteralmente significa “grande anima”, con le sue azioni ha ispirato grandi personalità della storia come Nelson Mandela e Martin Luther King. In India è stato riconosciuto come padre della nazione e il giorno della sua nascita non solo è un giorno festivo in terra indiana; il 2 ottobre è stato riconosciuto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la giornata internazionale della nonviolenza.
Anteprima: https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2023/01/INMR-India-preview.mp3
Cover: https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2018/12/contadini-indiani-2_ant.jpg
Name: Capire l'India contemporanea - Io non mi rassegno +
Autore: Andrea Degl'Innocenti
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GANDHI OGGI
Se è vero che non si può parlare di Gandhi senza parlare della sua esperienza in ambito religioso, sembra allo stesso tempo chiaro che la religione di Gandhi sia, in qualche modo, una ricerca della verità: “Dio stesso è verità e la verità è Dio”, scriveva il Mahatma. “Per me Dio è verità e amore; Dio è etica e morale; Dio è coraggio. Dio è la fonte della luce e della vita e tuttavia è di sopra e di là di tutto questo. Dio è coscienza. È perfino l’ateismo dell’ateo. Trascende la parola e la ragione. È un Dio personale per coloro che hanno bisogno della sua presenza personale. È incarnato per coloro che hanno bisogno del suo contatto. È la più pura essenza. È, semplicemente, per coloro che hanno fede. È tutte le cose per tutti” .
Colpisce, pensando al presente, un passo di uno dei testi religiosi indiani, l’Upanishad: “Tutto ciò che si muove nell’Universo è intriso dello Spirito. Perciò godi con moderazione: non bramare ciò che non è tuo”. Un invito alla sobrietà, a rispettare il luogo dove viviamo noi e gli altri esseri viventi.
In chiave contemporanea, la frugalità praticata da Gandhi nei pensieri, nel vestiario e nelle azioni politiche fa pensare a una necessità concreta, reale, di prendere posizione nei confronti del futuro e di guardare avanti, senza tirarsi indietro: “La non-violenza è fatta di materia solida, è l’arma dei cuori più forti. È la Satyagraha”. Di quanta materia solida abbiamo bisogno per toglierci i veli dagli occhi? La forza di un singolo è la forza di un popolo intero e Gandhi l’ha dimostrato.
D’altronde sono sue le celebri frasi “Se potessimo cancellare l’Io e il Mio dalla religione, dalla politica, dall’economia, saremmo presto liberi” e “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Il mio invito è di cogliere l’occasione di questo settantacinquesimo anniversario come spunto, quello di scegliere uno degli insegnamenti di Gandhi e provare a farlo proprio.
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