A Ventimiglia si fa scuola pratica di pace attraverso la solidarietà
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Imperia - “Assenza di guerra”. È così che il vocabolario definisce la parola pace. Ma è davvero solo questo? É sufficiente la nonviolenza fisica per poter definire “pacifica” una situazione, un momento, una persona o un’intera città? Da circa cinque anni un’associazione apolitica e non religiosa a Ventimiglia porta avanti un progetto comune di creazione e sostegno di pratiche concrete, basate sul “fare” per insegnare cosa voglia dire essere e diffondere la pace.
Particolarmente significativo e forse non casuale il fatto che sia nata e operi proprio all’interno di una città che rappresenta una porta, un passaggio, dove degrado e bellezza si incontrano da tempo e dove il disagio di chi da lì passa sognando una vita migliore cade su una contradizione – da una parte accoglienza e aiuto e dall’altra paura e repulsione. Ho incontrato l’attuale presidente di Scuola di Pace Mauro Lazzaretti per farmi raccontare cosa sta avvenendo a Ventimiglia in questi mesi e come questa associazione riesce a creare un tessuto di pace e solidarietà, laddove parrebbe più che mai complesso, se non impossibile.
Ti puoi presentare?
Sono Mauro Lazzaretti, di formazione architetto. Dopo la laurea ho deciso di approfondire la situazione dei paesi in via di sviluppo attraverso una specializzazione a Torino prima e un dottorato a Napoli dopo, per la parte di valutazione dei progetti. Ho fatto una prima esperienza in Costa d’Avorio, dopodiché per questioni famigliari sono rientrato in Italia per lavorare su progetti nell’ambito dell’economia civile e più in generale per provare a mettere in pratica tutto ciò che avevo studiato. Le prime esperienze sono state a Sanremo, ma dopo poco tempo i flussi migratori a Ventimiglia hanno iniziato ad aumentare sempre più: era il 2013 quando ho deciso di dedicarmi interamente al luogo in cui vivo per poter dare il mio contributo in maniera significativa.
Come nasce Scuola di Pace?
Esistevano già molte associazioni e progetti che operavano ognuno in ambiti specifici. Scuola di pace vuole unire e creare un ponte tra tutte queste realtà, ponendo come base comune l’agire, ovvero azioni con cui veicolare la pace in maniera concreta. Tra i progetti interculturali che ne fanno parte ci sono Caritas, Spes, Libera, la chiesa Valdese, la comunità islamica, l’associazione Penelope per la parità di genere e molti altri.
E così impariamo molto tutti insieme quotidianamente: quando andiamo a servire i pasti alle persone migranti, impariamo cosa vuol dire affrontare viaggi, sofferenza e incertezza. Passare del tempo con le persone anziane ci permette di comprendere cosa vuol dire sentirsi soli. Con i bambini e ragazzi con disabilità apprendiamo invece, tramite i laboratori che organizziamo, il valore delle diversità.
So che tra le azioni concrete da voi messe in atto in questi anni c’è stata la creazione di un campo di transito.
Tra le prime azioni messe in campo c’è stato uno dei primi campi di transito in Italia, ovvero un luogo che permettesse ai migranti di fermarsi a dormire tre o quattro giorni, con accesso a informazioni giuridiche. Alle elezioni vinse il partito della Lega, che all’interno del suo programma elettorale aveva inserito lo smantellamento del campo, e non poterono fare altro che rispettare le promesse fatte una volta eletti.
Ad oggi, a quasi quattro anni dalla chiusura, la popolazione di Ventimiglia inizia a lamentarsi della situazione di degrado vissuta, comprendendo quanto il campo fosse un aiuto concreto sia per i migranti – che lì trovavano un luogo dove poter dormire, lavarsi e chiedere aiuto – che per l’intera città, che si trova ad oggi a ricevere persone che necessitano di aiuto, sporche e affamate. Oltre al fatto che l’insicurezza percepita è in costante aumento, mentre il livello di igiene in peggioramento; le richieste di aiuto sono aumentate e il giro di affari delle attività commerciali diminuisce. La situazione ad oggi è molto critica e delicata.
Perchè una scuola basata sulla solidarietà? Che ruolo ha l’aiuto verso i meno fortunati con la pace?
Crediamo che si debba imparare cosa voglia dire essere e vivere nella pace e il primo passo è saper dare per riuscire ad avere altrettanto: le emozioni positive che tornano sono tante, oltre a nutrire un senso profondo di ciò che siamo e facciamo qui. La persona a cui facciamo riferimento come esempio concreto è Luciano Codari, un ex prete che dopo essere stato sindacalista della CGL ha fondato anni fa l’associazione Spes, portandola avanti con diversi altri progetti. É da lui, insieme ad altre persone di Ventimiglia, che è nata l’idea di una scuola che portasse avanti azioni concrete di pace.
Come reagisce il contesto sociale ai problemi odierni della vostra città?
Politicamente c’è il vuoto, sono tematiche che non sono di interesse, se non per sollevare problematiche senza cercare soluzioni sistemiche. A ciò si aggiunge anche una sensibilità diffusa ai messaggi veicolati dai mass media e ogni volta che viene descritta un’invasione da parte dei flussi migratori, anche se ciò non si vede, viene comunque percepita con allarmismo e panico.
Nonostante questo noi periodicamente organizziamo un mercatino nelle vie del centro storico di Ventimiglia per sostenere economicamente l’associazione: creiamo dei pacchetti regalo con libri usati o con buoni per colazioni e pranzi ad estrazione. Ciò è possibile grazie ad alcune attività commerciali che ci supportano. Sono segnali che non diamo per scontati e che ci fanno ben sperare!
Organizziamo anche alcune cene a tema di raccolta fondi, in cui spesso cucinano le persone della comunità islamica marocchina che vive qui e a cui partecipano solitamente diverse decine di persone. Durante questi e altri momenti comuni partecipano ragazzi, bambini, persone con disabilità del centro di Spes. Cerchiamo di abbattere le barriere invisibili – oltre che dei luoghi non-luoghi della città – anche delle “categorie” di persone, perché il rischio di creare nuovi ghetti e di definire gli esseri umani con l’etichetta del tipo di disagio che portano è alta.
Rispetto alla solidarietà della cittadinanza invece abbiamo notato in questi anni come spesso in proporzione sono le persone meno abbienti quelle disposte a donare di più, rispetto ad altre più benestanti. L’aver vissuto in prima persona il disagio, l’emarginazione, la povertà e più in generale la sofferenza aiuta a sviluppare empatia verso i meno fortunati e si è più aperti, solidali e disponibili e comprensivi. Forse è la vita stessa a farci da scuola e a farci ripetere le lezioni, nel caso non avessimo compreso.
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