«Il mio giardino è un serbatoio di biodiversità»: la storia di Annalisa e della sua “casa delle rondini”
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Alessandria - Ho conosciuto Annalisa Romagnano un sabato mattina nel centro storico di Genova, in piazza del Carmine, durante uno degli eventi di SeminAGenova, una rassegna di incontri dedicati alla biodiversità. Tra visite guidate alla scoperta del quartiere del Carmine, presentazioni di libri, laboratori per bambini e bancarelle, mi capita spesso di fermarmi a fare due chiacchiere con i produttori presenti. Questa volta, attirata dalla schiera di barattoli di “oro rosso”, contenenti stimmi di zafferano, mi avvicino al banco di Annalisa e iniziamo a parlare.
Lei è una garden designer, laureata in progettazione del verde. Vive e lavora a Gavi, dove tira le fila di un mini zafferaneto, un giardino di rose e tre piccoli vigneti. Si chiama Ca De Rundaneine. Quando le chiedo la storia dei suoi prodotti, mi spiega in dettaglio come produce i vini, come coltiva, in quali modi rispetta l’ambiente, il lavoro degli insetti impollinatori e il suolo. E mentre impacchetta i tanti pensierini che ho scelto tra i suoi prodotti, mi racconta la sua storia e la sua scelta di proseguire il cammino della sua famiglia.
Annalisa, com’è nata l’idea di prendere in mano l’azienda agricola della mamma?
Più che un’idea è stata la prosecuzione di qualcosa che è iniziato diversi anni fa, quando i miei genitori hanno deciso di trasferire in campagna tutta la famiglia. Hanno sempre avuto l’orto e il vecchissimo vigneto di mio nonno, che coltivavano per produrre vino e avere verdure per consumo familiare. Fin da piccola ho mostrato interesse per la natura, le piante e gli animali, così ho scelto di frequentare prima un istituto tecnico agrario e poi, all’università, la facoltà di architettura del paesaggio. Adesso sono coltivatrice diretta e garden designer e porto avanti entrambe le attività, con l’intento di riunirle insieme in futuro.
Perché hai scelto di concentrarti su uva e zafferano?
L’uva c’è sempre stata, anche perché l’appezzamento che i miei genitori hanno comprato per poi costruirci la casa aveva già una parte di vigneto. La zona del Gavi in cui viviamo è a vocazione vitivinicola, infatti siamo circondati da vigneti di Cortese. Lo zafferano è arrivato dopo: volevamo diversificare e cercavamo una coltura ad alto reddito che necessitasse di poco spazio e per la quale non servissero particolari attrezzature. In più, mi piace moltissimo lavorare con i fiori, è per questo che ho pensato di introdurre anche la coltivazione delle rose da sciroppo, un’altra tradizione della mia zona.
Perché avete optato per la lotta biologica?
La nostra piccolissima azienda agricola è biologica da sempre, perché crediamo che produrre impattando il meno possibile sull’ambiente sia molto importante per il nostro futuro. I vigneti sono inerbiti con specie autoctone e mellifere e utilizziamo prodotti ammessi in agricoltura biologica, preferendo dove possibile quelli che ci permettono di fare lotta biologica e cioè di introdurre antagonisti naturali che tengano sotto controllo gli agenti patogeni che colpiscono le nostre coltivazioni.
Per lo zafferano abbiamo ideato un sistema innovativo che si basa sull’osservazione dell’ambiente circostante, in cui le erbe spontanee convivono in equilibrio tra loro. I bulbi sono coltivati in file ravvicinate e questo ci permette di tenere sotto controllo l’esuberanza delle erbe spontanee, mantenendo un equilibrio in cui erbe e zafferano convivano insieme senza entrare in competizione per la luce e il nutrimento.
L’obiettivo è non lasciare mai il terreno scoperto e lo facciamo con l’aiuto dell’erba; quando questa non è presente, teniamo coperto con la pacciamatura. In questo modo lo preserviamo dall’erosione, dagli sbalzi di temperatura, dal gelo invernale e dall’eccessivo calore estivo, mantenendo il più possibile l’umidità al suo interno. Tutto questo va a vantaggio del mantenimento della fertilità naturale del suolo.
Raccontaci del tuo giardino, il tuo “serbatoio di biodiversità”…
Il mio giardino è un “serbatoio di biodiversità” perché dove ci sono distese di monocolture per gli insetti e la fauna selvatica è difficile trovare riparo e nutrimento. Offrire tutto questo all’interno dei nostri giardini secondo me è importante perché possono diventare delle piccole oasi lontane dall’agricoltura intensiva e dai pesticidi che vengono utilizzati in agricoltura convenzionale. Inoltre mi diverto ad attirare api, farfalle, uccellini e piccoli mammiferi per poterli osservare e identificare, scoprire qual è il loro ruolo in natura e magari raccontarlo a chi viene a trovarmi e a degustare i miei prodotti.
Mi piace molto l’idea di aver dedicato il nome della tua azienda agricola alle rondini: le hai sempre amate?
Ca De Rundaneine nel mio dialetto significa “casa delle rondini”. Vent’anni fa, quando la casa era in costruzione, eravamo letteralmente invasi; con il tempo purtroppo il numero di rondini si è ridotto, ma rimangono comunque molto affezionate e ritornano a nidificare qui, generazione dopo generazione. Ho installato qualche nido artificiale per incoraggiarle e spero che il numero di coppie aumenti. Per il momento abbiamo cinque coppie che utilizzano regolarmente altrettanti nidi, tra naturali e artificiali.
Ho scelto loro perché sono tra le specie più minacciate dalle attività dell’uomo e dal cambiamento climatico e perché trovo che siano uccelli molto eleganti. In questo nome ho voluto condensare il mio amore per la natura e il mio interesse per il passato, per questo ho scelto il dialetto: amo ricercare nelle vecchie tradizioni qualcosa da proporre ai miei clienti, cioè prodotti dai sapori, profumi e tradizioni dimenticate, ottenuti ad esempio grazie al recupero di antiche varietà di frutti che innesto io stessa.
Mi piace pescare nel passato per riproporre in chiave moderna quello che può ancora essere apprezzato. I vini naturali, per esempio, si stanno prendendo una fetta di mercato, si potrebbe pensare che siano una cosa moderna, ma in realtà non hanno inventato nulla: sono vini fatti come li avrebbero fatti i nostri nonni e bisnonni, in più ci sono solo moderne tecnologie e attrezzature e una maggior consapevolezza di tutti quei processi che avvengono in cantina.
Come si colloca il vostro lavoro all’interno del territorio dell’alessandrino: avete imbastito reti e collaborazioni, intrecciato relazioni?
Purtroppo in questo territorio ho trovato parecchie difficoltà nello stringere collaborazioni, questo un po’ mi dispiace perché penso che il detto “l’unione fa la forza” sia sempre valido e credo che se anche in questo imitassimo ciò che ci circonda, sarebbe un vantaggio per tutti.
Si tratta di una strategia di sopravvivenza ben collaudata in natura ed è stata per secoli fondamentale anche in agricoltura, quando ci si aiutava tra vicini nello svolgimento dei lavori. Oggi anche l’agricoltura è diventato un mestiere da svolgere in autonomia, forse anche a causa della meccanizzazione, ma almeno per le piccole realtà come la mia dovrebbe essere ancora un’esigenza molto attuale. Nonostante questo sono comunque riuscita ad avviare qualche collaborazione e spero di riuscire a stringerne altre in futuro.
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