Officine Culturali: un antico monastero diventa un bene comune e polo di aggregazione – Io Faccio Così #372
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Catania - Catania è la città dove sono nata. Sebbene per parecchi anni abbia seguito a distanza le sue sorti, ne riconosco immediatamente l’allegria, i colori e la decadenza. Una città vivace, dinamica, ricca (in passato), qualità per le quali è stata definita impropriamente da molti la Milano del Sud. Conoscendole entrambe non ho ancora ben capito quali siano le similitudini tra le due città. Catania è la città del popolo, dei cortili, delle “vanedde” e lo testimonia la sua storia e quella dei personaggi che l’hanno resa celebre. Una città vulcanica e passionale, molto distante da una certa “raffinatezza” milanese.
A distanza di anni ritorno a viverla e a conoscerla con occhi nuovi, diversi, con gli occhi affascinati e curiosi, aperti e disponibili di chi la guarda per la prima volta, per scoprire e conoscere tutti quei mondi che ogni giorno si impegnano per darle un volto nuovo. E per farlo sono andata in uno dei luoghi storici e simbolici di Catania, il Monastero dei Benedettini, patrimonio mondiale dell’Unesco, che ne rappresenta appieno l’anima, resistente e vitale nonostante le ricostruzioni i cui segni sono testimoni stratigrafici di questa grande ricchezza ed eterogeneità.
Qui ho incontrato Francesco Mannino, presidente e project manager di Officine Culturali, un’associazione che si occupa di cultura, comunicazione e fruizione all’interno del Monastero dal 2009. Oggi di proprietà dell’Università di Catania, sede del dipartimento di Scienze Umanistiche, al suo interno è possibile fare un viaggio tra diverse epoche storiche, dalla città romana alla città medievale distrutta dal terremoto del 1693, passando per chiostri e refettori.
Come molti edifici monastici ha vissuto più vite: scuola, rifugio, osservatorio astronomico e caserma militare, fino alla moderna sede universitaria grazie al lavoro dell’architetto Giancarlo De Carlo. Un luogo di grande bellezza che meritava di essere raccontato, vissuto e conosciuto meglio non solo dai turisti, ma soprattutto dalla stessa città per promuovere un diverso approccio alla cultura e alla rigenerazione dei suoi spazi.
OFFICINE CULTURALI, INIZIA L’AVVENTURA
Ci ha pensato Officine Culturali, inizialmente costituita da un gruppo di studenti e ricercatori desiderosi di ispirare una maggiore considerazione dell’edificio affascinati dal suo immenso valore. Il loro obiettivo? Occuparsi della fruizione del luogo studiando i linguaggi migliori da proporre e le barriere da ridurre e/o abbattere. Grazie a una convenzione poi trasformata in un accordo di partenariato con l’Università, Officine Culturali si è proposta a un pubblico variegato – studenti, scuole, visitatori locali, turisti – con progetti altrettanto variegati: visite guidate, percorsi ludico-didattici, workshop per adolescenti e spettacoli teatrali.
«Prima di Officine Culturali si svolgevano già delle visite guidate all’interno del Monastero. Si contavano all’incirca 500-1000 persone l’anno. Con Officine Culturali siamo arrivati a 8000 persone nel 2010, poi 15.000, 20.000 fino ad attestarci nel 2018 a circa 40.000 persone l’anno. Il confronto con altre città non regge, ma per Catania sono numeri importanti anche perché il Monastero è a ingresso libero, si pagano solo le attività e i servizi aggiuntivi da noi proposti. Oltre ai 40.000 paganti bisogna contarne altrettanti che entrano liberamente a fare un giro», racconta Francesco.
Pensare che un luogo come questo sia frequentato da circa 80.000 persone per motivi di interesse storico e culturale dà l’idea del cambiamento promosso rispetto alla fruizione di un luogo in passato poco considerato. Le vicissitudini vissute dal Monastero infatti hanno fatto sì che perdesse di rilevanza agli occhi della città, determinandone un distacco vero e proprio. Il contatto con la comunità di riferimento, la cittadinanza, il passaparola hanno permesso una crescita esponenziale della partecipazione alle attività proposte da Officine Culturali. Non solo turisti, ma anche residenti, scuole, studenti, utilizzatori temporanei.
«Oggi il Monastero è uno dei luoghi più permeabili e porosi della città. Quando siamo partiti non c’era un mercato di riferimento, grazie a un lavoro costante sulla comunità locale, sulla comunicazione, l’uso dei social e il passaparola abbiamo potuto ribaltare la percezione di questo luogo. Ci siamo guardati molto intorno per comprendere meglio quanto stava accadendo», spiega Francesco.
«Come noi molte associazioni hanno cominciato ad avere un ruolo importante nella fruizione del patrimonio culturale più piccolo e diffuso, anche in contesti molto diversi. Ad esempio, a Palermo l’Ecomuseo del mare memoria viva, a Favara Farm Cultural Park. Oltre lo stretto l’esperienza della cooperativa sociale La Paranza, che a Napoli gestisce le catacombe di San Gennaro al rione Sanità, ci è stata molto utile. Un contesto sociale molto simile al nostro, fragile e precario», continua Francesco.
CATANIA OGGI…
Antico Corso, il quartiere dove sorge il Monastero, è una zona della città molto complessa, popolare, fragilissima e piena di contraddizioni. La presenza dell’Università e in seguito il turismo hanno contribuito molto alla gentrificazione del luogo cambiando completamente le condizioni di vita di molte persone. Di contro, una città in forte affanno e dalla debolezza sociale che risente della mancanza di politiche pubbliche. Catania, con diverse aree urbane lasciate all’abbandono e tante periferie nei centri storici, occupa gli ultimi posti di molte classifiche per ciò che riguarda il lavoro, i servizi, la qualità di vita, gli aspetti ambientali.
Officine Culturali, in un contesto così precario, oggi conta 22 collaboratori, 9 lavoratori a tempo indeterminato e 3 collaboratori con contratto a tempo determinato. Dal 2017, sempre nello stesso quartiere, ha in gestione un rifugio antiaereo sottoroccia che è stato riaperto al pubblico. Nel corso del 2023 dovrebbero partire le attività di fruizione anche all’orto botanico della città, mentre a Vizzini, in provincia di Catania, è impegnata con un progetto di economia sociale e agroalimentare a partire dalla valorizzazione dell’ex carcere castello.
QUAL È IL SENSO DELLA CULTURA?
«La pandemia ci ha messo di fronte alla fallibilità dei nostri progetti. Stiamo già lavorando per creare una struttura con competenze organizzative più elevate in grado di affrontare anche questo prossimo periodo che inevitabilmente sarà di crisi e colpirà le vite delle persone, a partire da consumi e abitudini culturali. La cultura può servire a creare occasioni di socializzazione e collaborazione tra le persone, allenando alla coesione e alla capacità di agire insieme di fronte a certe avversità. Non è un caso il proliferare di comitati civici, collettivi, cooperative. È un lavoro molto difficile, non può essere l’unico, ma è un contributo».
Il mercato dei beni culturali è uno dei più deboli del settore culturale e creativo, lo dimostrano dati Istat e report annuali come quello della Fondazione Symbola. Più vicini al settore sociale ed educativo che al turismo, le attività culturali, soprattutto in alcuni contesti, sono spesso attività sociali, di contrasto alle povertà educative, in cui, non essendoci grossi margini di guadagno, le grandi imprese non investono. Officine Culturali è l’esempio di come, nonostante le tante difficoltà e le poche risorse economiche iniziali – quote associative e qualche donazione –, sia possibile coniugare beni culturali a spazi di integrazione e aggregazione per la collettività.
Per Francesco infatti l’Italia che cambia è «un’Italia che abbandona le logiche liberiste fallite per costruire uno stato sociale con un welfare inclusivo. Con la solidarietà si possono affrontare in maniera più efficace anche le crisi, e la storia lo dimostra». Officine Culturali non è un ossimoro, è un nome che mette insieme i luoghi del lavoro e della fatica fisica con la cultura che, nonostante tutto, grazie al cuore e all’impegno di persone come Francesco è ancora possibile.
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