“Ci siamo trasferiti in montagna e ora cerchiamo persone per costituire una cooperativa di comunità”
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Alessandria - Siamo nell’alessandrino, nella comunità montana dell’alta Val Lemme e Alto Ovadese. Nel comune di Franconalto, da un terreno abbandonato da oltre sessant’anni, nel 2016 prende vita un’azienda agricola biologica, Cascina Montesciutto, dove Andrea Bonanni ed Erika Bisio, dopo un immenso lavoro di pulizia e ripristino, riescono a valorizzare un terreno di circa venti ettari appartenente alla famiglia del ragazzo.
Andrea, che nel 2006 aveva sentito il bisogno di dare una nuova direzione alla sua vita, si è rimboccato le maniche per tornare al luogo della sua infanzia e restituirgli nuova vita. Dove non c’era più nulla, se non rovi e abbandono, è stata ricostruita la strada, è stata portata la corrente elettrica ed è stata recuperata l’acqua della sorgente, unica risorsa idrica dell’azienda. Ho fatto due chiacchiere con Erika Bisio, architetto paesaggista, titolare dell’azienda agricola e ora casara, che ha seguito il compagno nel suo cambio vita.
Com’è nata l’idea di cambiare vita?
Per scappare da tutto quello che c’era fuori da qui. Io prima lavoravo all’università, dove facevo ricerca per scrivere articoli e pubblicazioni. Quando per un periodo ho abbinato il lavoro agricolo a quello universitario ho fatto molta fatica a seguire entrambe le cose, soprattutto sul piano dell’attenzione, perché questa è una vita che ti assorbe a 360°. E poi ho scelto l’agricoltura.
Il motivo per cui siamo proprio qui è che i terreni di quest’azienda agricola erano dei nonni e degli zii del mio compagno, Andrea, ma erano abbandonati da anni. Lui è genovese e prima di stabilirsi qui si occupava di commercio, faceva altre cose e lavori completamente diversi, ma si era riproposto di riprendere le fila di questa terra, a cui è molto legato.
Così nel fine settimana veniva qui a pulire e lavorare con la motosega, delegando anche ad altri vista l’ampiezza dei terreni. Nel tempo ha comprato una pala cingolata, un escavatore e tante altre attrezzature. Ha sempre visto la via dell’agricoltura come una possibile alternativa a un lavoro più “normale” e così ha scelto di lasciare la città per venire qui. Io sono arrivata dopo, nel 2008, e mi sono trasferita qui nel 2010.
Com’è ora la vostra nuova quotidianità?
Decisamente stancante [sorride, ndr], ma non tornerei indietro nonostante tutte le difficoltà.
Parlateci della vostra azienda.
Oltre alla produzione di ortaggi, ci dedichiamo alle sei vacche montagnine di razza tortonese e alle nostre settanta capre. Produciamo formaggi di altissima qualità, seguendo la procedura della preparazione a latte crudo e da poco tempo abbiamo anche introdotto la produzione di formaggio di vacca. Abbiamo un caseificio attrezzato, una sala di mungitura di circa 200 metri quadri e cinque celle frigo.
Perché ora state cercando collaboratori?
Qui lo spazio non manca e neanche le idee, per questo vorremmo costituire un gruppo di lavoro più numeroso con cui condividere l’area e avviare bene l’azienda. Bisognerebbe essere in cento per riuscire a portare a termine tutti i lavori che ci sono dietro a ogni singolo prodotto, anche perché siamo in montagna, dove è tutto più difficoltoso; nonostante le numerose attrezzature che abbiamo, buona parte del lavoro si fa comunque a mano. Il valore aggiunto è che abbiamo tanto spazio intorno e vivere in montagna mi fa sentire piuttosto libera, qui posso fare tutto quello che voglio: abbiamo la nostra autonomia.
C’è un altro motivo per cui cerchiamo collaboratori ed è legato al tema della socialità per nostro figlio. Accogliamo ogni anno tanti wwoofer con cui lui gioca volentieri, interagisce e si diverte molto, ma i bambini hanno bisogno di stare con altri bambini. Per un periodo abbiamo anche cercato altre famiglie con figli piccoli: lo scorso anno abbiamo avuto una marea di richieste, probabilmente legate al Covid e al bisogno di fuga da tutte le limitazioni correlate. Molte persone in quel periodo si sono avvicinate a noi: erano amanti della natura, delle passeggiate in montagna e degli animali, ma non erano pronti a quello che vuol dire vivere qui e sono scappati.
Quale formula di collaborazione proponete?
L’ideale per noi sarebbe formare una cooperativa di comunità che gestisca l’azienda agricola. Non cerchiamo soci di capitale, ma “soci d’opera”: io e Andrea siamo i primi due, ora abbiamo bisogno degli altri. L’intento è quello di condividere il lavoro con più persone, per questo quella della cooperativa ci sembra la formula più adatta sia a noi che a questo posto. Abbiamo preso la cooperativa Valli Unite, vicina a noi, come modello da replicare.
Rispetto a quando siamo partiti abbiamo fatto tanto e abbiamo il potenziale per riuscire a mantenere diverse persone interessate e motivate a far partire e a far funzionare questo progetto insieme a noi. Servono persone serie, però. Negli anni, da collaboratori o dipendenti ci siamo sentiti dire: “Oggi piove, non vengo” oppure “Ha nevicato? Togli tu la neve dalla serra” e molto altro. È un lavoro particolare, certo, e impegnativo, ti cambia la vita, ti coinvolge, ma come in tutte le cose ci vuole serietà. Se ho altre persone con cui lavoro, sono serena perché se io ho la febbre posso permettermi di stare a casa a riposare.
Cosa bolle in pentola per i prossimi mesi?
Avvieremo presto l’attività dell’agriturismo, con spaccio aziendale, e attiveremo il laboratorio di cucina, dove trasformeremo i nostri prodotti come conserve e torte di verdura, per esempio, per dare nuova forma agli ortaggi invenduti. E poi daremo il via alla nostra produzione di pasta fresca.
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