Il mandillo dei semi, l’incontro-scambio dove l’agricoltura si unisce con la cultura
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Genova - Immaginate una giornata di festa: da ogni parte si vedono persone che si riabbracciano dopo tanto tempo, sconosciuti che si raccontano segreti e tradizioni del proprio modo di coltivare e che poi, pieni di gratitudine per le informazioni condivise e per i semi messi in circolo, si salutano e vanno oltre, a conoscere altri coltivatori. In sottofondo un gran vociare, allegria e un’atmosfera di calore.
E ci si sorride come quando si cammina in montagna. Magari le stesse persone, se le incroci in città lungo il marciapiede, in un negozio o ancora peggio in ascensore, le ignori e invece su un sentiero o durante giornate come queste cerchi il loro sguardo per salutarle. Perché? Forse perché, se sono lì, significa che hanno qualcosa in comune con noi, non sono così “foreste”, come si dice qui. E poco importa se vengono da Milano, dalla Valle d’Aosta, dal Piemonte, dalla Lunigiana o dal Trentino. Sono lì perché, proprio come noi, hanno a cuore la biodiversità.
IL MANDILLO DEI SEMI
Domenica scorsa sono stata invitata a Montebruno (GE), in val Trebbia, al Mandillo dei semi, la storica festa del libero scambio dei semi autoriprodotti (ve ne abbiamo parlato qui): un appuntamento che non è semplicemente un “mercato” di cereali, lieviti di casa, frutti antichi e semenze autoctone – che non vengono venduti, ma donati o scambiati –, ma un’occasione dove incontrare una preziosa umanità.
Lo testimoniano le circa duemila presenze registrate, nonostante le temperature gelide fuori dal salone della Pro Loco. Sì, perché dietro a questa manifestazione arrivata alla sua ventesima edizione c’è un movimento culturale deciso a fare la propria parte per conservare la biodiversità. E per farlo in modo libero e indipendente bisogna partire dalla terra, dall’origine di tutto. Da uno scambio di semi.
Mandillo in genovese significa fazzoletto, ma se associato ai semi nell’immaginario collettivo è quel fazzolettone di cotone a quadretti anticamente usato come “contenitore” per gli ortaggi. Passeggiando tra i numerosi banchi espositivi ho visto strofinacci pieni di semi, ma anche volantini colorati divisi in rettangoli e pinzati riadattati a bustine, barattoli e bottiglini dei succhi di frutta riadattati a contenitori e prontamente etichettati. In un’aria di invexendo generale [quella condizione di euforia e allegria miste ad agitazione, ndr], realizzo che coltivare significa coltivarsi, perché annaffiando le piante nutriamo noi stessi, il che ci fa anche scoprire la nostra immensa ricchezza, la meraviglia di tutte le nostre diversità.
Un mix eterogeneo di persone: ho chiacchierato con agricoltori, ma anche con un ragazzo genovese appassionato di giardinaggio, con una coppia di coltivatori urbani provenienti dal centro di Milano, con due signore valdostane a cui ho chiesto consigli su come nutrire il terreno argilloso dell’orto di papà. «La giornata, organizzata dal Consorzio della Quarantina, che recupera antiche varietà di patate dell’entroterra, è da sempre aperta a tutti, sia aziende agricole che privati cittadini appassionati di agricoltura», mi spiega Fabio Maggiolo, vicepresidente del Consorzio.
«Siamo stati i primi in Italia a curare un evento del genere, quando ancora lo scambio era proibito – nel 1998 una direttiva della Comunità europea riservava la commercializzazione delle sementi esclusivamente alle ditte sementiere, vietandone lo scambio ai coltivatori – e dal 2000 è sempre stato molto partecipato. In questi anni si è creata una rete di persone con cui sono nate amicizie sincere e oggi, dopo lo stop degli scorsi due anni, rivedersi è stata una gioia».
Il bello è che chi non aveva semi da scambiare ha portato in cambio arance, marmellate, formaggi, una fetta di torta, oleoliti, saponi artigianali, cestini intrecciati a mano. Lo spirito della giornata è stato quello di promuovere l’idea che proprio tutti possono produrre qualcosa nel proprio orto o sul balcone, proprio grazie a questi semi ricevuti in dono, invitando implicitamente le persone a conservarli, invece di acquistarli ogni anno nei negozi. In questo modo si conserva la propria varietà, la quale può essere poi messa in circolo.
Sono tornata a casa con un bel bottino di semi e piantine: qualche seme l’ho già donato per l’orto didattico della scuola di mia figlia, affinché tutti gli atti di gentilezza di cui sono stata pervasa si espandano ulteriormente e si allarghino anche al quotidiano dei più piccoli. E in tanti mi hanno dato appuntamento a un nuovo evento del Consorzio, organizzato insieme all’associazione Amici dell’Oliveto, questa volta in riviera, a Pieve Ligure. Qui, oltre allo scambio dei semi, ci sarà anche un mercatino delle aziende agricole locali, con dimostrazioni e workshop. Appuntamento al 23 febbraio: inutile dire che ci sarò!
Leggi anche: Massimo Angelini, il filosofo della terra che ha reso libero lo scambio dei semi.
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