16 Gen 2023

Giulio Xhaët: “Non esiste l’età giusta per scegliere la propria strada, l’importante è essere consapevoli”

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Non è mai troppo tardi per trovare il giusto modo di vivere e soprattutto non ne esiste uno che è migliore degli altri: dipende dalla fase della vita che stiamo attraversando e dalle passioni che ci animano in quel momento. È questo il pensiero di Giulio Xhaët, musicista, scrittore, romanziere e formatore, secondo cui ci sono però due elementi che devono sempre essere presenti: la consapevolezza e la convinzione delle proprie scelte.

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Milano, Lombardia - Ai ragazzi che sono terrorizzati dal fallimento, temono di deludere le aspettative, Giulio Xhaët racconta la propria storia, di essersi laureato all’età di 29 anni con un voto mediocre in scienze della comunicazione – che lui chiama in tono canzonatorio “scienze delle merendine”. Eppure oggi, a 42 anni, ha trovato la sua strada.

Musicista, scrittore, romanziere e saggista, formatore, docente, gli piace mischiare tutti questi ambiti creando progetti multipotenziali e reciprocamente contaminati. «Dal punto di vista professionale – mi racconta – sono partito dal mondo della comunicazione digitale per poi approdare alle tematiche dello sviluppo personale, dalle soft skills a, soprattutto, il tema delle vocazioni, delle passioni e dei talenti».

È qui che entriamo nel vivo dei “suoi” temi attraverso domande fondamentali: come posso contaminare i talenti con le passioni? Qual è la vocazione che mi spinge? «Spesso queste cose vengono banalizzate ed è per questo che negli ultimi anno ho cercato di creare percorsi anche pratici per valorizzarle», spiega Giulio.

giulio xahet
GIOVANI E NON

Quando si parla di sogni da realizzare e strade da seguire, inevitabilmente si pensa ai giovani, anche se secondo Giulio Xhaët l’età anagrafica ha un’importanza relativa. «Il talento si può scoprire a vent’anni come a settanta. Ci tengo a sottolinearlo: “da grande” è da intendersi alla Walt Whitman, secondo cui “diventiamo grandi quando diventiamo le nostre moltitudini nascoste”. Mia nonna si è iscritta a 92 anni a un corso di cinema francese con l’obiettivo di formarsi e tenere delle lezioni».

«Poi ogni generazione ha talenti e capre», osserva Giulio. «Io tendo più a dire che i ragazzi di oggi hanno una vita più facile e comoda per gli aspetti materiali, ma al tempo stesso molto sfidante e ostica perché c’è più competizione manifesta e molta pressione psicologica». La vita è sempre più complessa e infatti i talenti della generazione Z, secondo Giulio, «hanno una capacità pratica ma anche strategica nell’affrontarla, sono molto rapidi ma non superficiali. I talenti di oggi forse hanno una marcia in più rispetto a quelli del passato».

Da grande è anche il titolo di uno dei libri scritti da Giulio, che uscirà nelle librerie proprio domani, 17 gennaio. «All’inizio del libro cerco di individuare un contesto in base alla mia esperienza che va dai manager cinquantenni ai ragazzi del liceo ed è quindi intergenerazionale e interclassista. Questo mi consente di vedere cose interessanti, fra cui un paradosso: l’ansia fa rumore».

Non siamo mai stati così ansiosi e stressati come oggi, i social amplificano tutto e vengono spesso usati come mezzo di paragone: «Sartre diceva che “l’inferno sono gli altri” e i social alimentano questo inferno», osserva Giulio. «Ma i social possono anche darci una mano, metterci in contatto con gli spiriti affini. Sono uno strumento neutro, ma molto molto potente rispetto ai media del passato».

QUINDI, COSA DEVO FARE DELLA MIA VITA?

Nella parte centrale del libro Giulio si chiede e chiede a chi legge: “Quali sono le cose giuste da fare?”. Molto spesso infatti, soprattutto nel caso dei giovani ma non solo, non capiamo se le nostre motivazioni sono nostre oppure etero-indotte. Lo vogliamo davvero o è la società, la scuola, la famiglia che vuole che lo vogliamo? «Dietro ogni buona scelta c’è una buona motivazione e dietro a essa ci sono buone domande», risponde Giulio. «Il libro è un percorso di domande generative e alla fine propongo un esercizio chiamato “canva della vocazione”: ci si pone delle domande per declinare le proprie vocazioni nel momento della vita in cui ci si trova».

Ci sono due cose che spaventano i ragazzi: non sapere ancora cosa voler fare e la paura di cambiare e perdere tutto. «Non sapere cosa fare a volte è un vantaggio – osserva Giulio –, perché spesso crediamo di saperlo ma non siamo noi a volerlo. È quello che gli psicologi chiamano “preclusione dell’identità”: non sapere cosa fare della vita può essere sano, soprattutto oggi che ci sono miliardi di possibilità».

Spesso poi accade che le persone sicure di sé e di successo abbiano alle spalle un percorso turbolento, frutto di molti cambiamenti, fallimenti e ripartenze. Giulio spiega che dei ricercatori hanno condotto uno studio chiamato “dark horse”, ispirato a quei cavalli che nelle corse rimangono indietro per tutta la gara per poi rimontare alla fine. «Le persone che raccontavano ai ricercatori di aver trovato la propria strada solo dopo tanti anni e tanti tentativi alla fine moltissime ed erano anche quelle che facevano le cose più interessanti».

Mia nonna si è iscritta a 92 anni a un corso di cinema francese con l’obiettivo di formarsi e tenere delle lezioni

LA MUSICA E LE SUE SCELTE

Per Giulio fare il musicista oggi è un hobby, anche se fino a 29 anni voleva che diventasse un lavoro ed è arrivato a un passo dal realizzare il suo obiettivo. «Sono arrivato a tanto così dal successo in campo musicale, ma poi per una serie di motivi ho dovuto mollare, eppure oggi mi rendo conto che è stata una delle mie più grandi fortune perché ero diventato arrogante e non volevo più imparare».

La discussione vira sul piano sociale e culturale: «Non è semplice in Italia scegliere di fare una carriera artistica», osserva. «Non è più facile rispetto al passato ma è più fattibile, grazie alla tecnologia. In generale, credo che quando metti a fuoco una tua vocazione che si mette a sistema con talenti e passioni tu non debba mollarla solo perché sei ingegnere o avvocato, insomma sei “arrivato”. Io ho visto gente che ha inseguito e conquistato una carriera sicura ma dopo vent’anni ha cambiato tutto perché non si sentiva realizzata».

SAPER FALLIRE

Secondo Giulio la vita è fatta di periodi e se vogliamo possiamo cambiare in qualsiasi momento: «Io ho imparato sulla mia pelle l’importanza del fallimento, che oggi è una buzzword ma contiene tanta verità. Dovremmo redigere un almanacco dei fallimenti e soprattutto di cosa abbiamo imparato da essi, questo ci darebbe un grande insegnamento, ci farebbe soffrire ma sarebbe utilissimo».

giulio xahet2

Oggi i ragazzi hanno una gran paura del fallimento, anche se Giulio Xhaët ritiene sbagliato cancellare tout-court la competizione: «Parlavo con un mio amico del tema della competitività. Eliminare del tutto la competizione sarebbe una falsità, ogni tanto ci sta, ma ci vuole sempre rispetto di base. Io la chiamo coopetizione: un challenge rispettoso, continuo, sano. Chi vuole solo cooperare può essere che abbia paura di perdere».

Nell’ultimo capitolo, intitolato “Un segno nel mondo”, Giulio parla del problema dell’occidente: «Anche se si parla di diversità, inclusione e leadership gentile, oggi abbiamo un grosso problema da un lato di individualismo, dall’altro di felicità. Può sembrare paradossale, ma quando essa diventa ghettizzazione della tristezza rischia di essere una distorsione, frutto della psicologia positiva. “Volere è potere” a volte è una grande cazzata, abbiamo il diritto di essere tristi!».

Il pensiero di Giulio Xhaët lascia molta libertà. Non c’è giudizio nelle sue osservazioni, ma solo il caloroso invito a essere consapevoli. Perché oggi, nel momento del risveglio delle coscienze, del Big Quit e della IOLU economy – I Only Live One, ovvero “vivo una volta sola” – anche chi sceglie il posto fisso, la casa e la famiglia può essere felice, se compie la sua scelta in maniera convinta, senza cadere vittima di un pensiero indotto ed esercitando la propria consapevolezza.

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