Eleonora Voltolina: il giornalismo per cambiare in meglio la società
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Milano, Lombardia - Moderne Persefone va incontro a una giornalista che ha scelto di usare l’informazione come forma di attivismo e di cambiamento sociale. È Eleonora Voltolina, giornalista non tradizionale con un percorso tutto suo, imprenditrice e innovatrice sociale, dal 2017 Ashoka Fellow.
Certo, ha meno certezze ed è più precaria di una giornalista assunta in un giornale “tradizionale”, ma può camminare nella direzione che sceglie e ha la libertà dal valore immenso di dire ciò che pensa, di fare il giornalismo in cui crede, di prendere posizioni anche scomode e di focalizzarsi su temi che l’appassionano.
Chi eri, che cosa facevi? Raccontaci in breve il tuo percorso.
Sono una giornalista. Dopo la laurea in scienze della comunicazione e la scuola di giornalismo IFG di Milano, qualche esperienza sparsa come ufficio stampa e come collaboratrice freelance di giornali e settimanali, ho capito che la mia passione era quella di intrecciare il giornalismo con l’impegno sociale e l’attivismo. Così ho scoperto che la mia strada era raccontare il mondo del lavoro.
Cosa succede che ti cambia la vita?
Sicuramente la nascita dei miei due grandi progetti: la Repubblica degli Stagisti e The Why Wait Agenda. Il primo nasce ormai quindici anni fa, nel 2009, come una scommessa: un progetto completamente mio, indipendente, e uno spazio di informazione e proposta creato per colmare un enorme vuoto informativo, quello del momento di transizione dalla formazione al lavoro, con tutte le sue peculiari difficoltà.
Anche The Why Wait Agenda, che ho lanciato proprio alla fine del 2022, è pensato colmare un vuoto di informazione: si parla spesso dei dati sul crollo delle nascite e sulla “crisi delle culle vuote”, ma molto poco di quanti invece vorrebbero figli e per varie ragioni non riescono ad averne. Sono entrambi spazi di approfondimento, proposta e una battaglia politica. Luoghi virtuali di condivisione di informazioni ed esperienze, di elaborazione di proposte, entrambi nati da una sensibilità che ho sviluppato per esperienze anche personali.
Puoi fare un bilancio dei quindi anni di Repubblica degli Stagisti?
Ho fondato RdS nell’ultimo giorno del mio ultimo stage: era il quinto tra curriculari ed extracurricolari e avevo vissuto sulla mia pelle lo snaturamento dello stage, che da strumento per favorire l’acquisizione di competenze da parte di persone inesperte si trasformava, spesso e volentieri, in un modo per poter avere manodopera o “cervellodopera” a basso costo, o addirittura gratuitamente.
In questi anni mi sono posta due obiettivi principali obiettivi: ottenere finalmente una nuova legge sui tirocini curricolari e ottenere un monitoraggio accurato, dettagliato e puntuale dei tirocini, sia extracurricolari sia curricolari. Un rapporto annuale dedicato a questo argomento; non le poche pagine che ogni anno il ministero del lavoro dedica ai tirocini nel Rapporto sulle comunicazioni obbligatorie ma una pubblicazione ad hoc che possa far luce su come, quanto, a quali condizioni e con quali esiti viene usato lo strumento dello stage in Italia.
Il secondo progetto invece è profondamente legato alla tua storia personale di maternità…
The Why Wait Agenda nasce naturalmente con l’orologio biologico, la nascita delle mia prima figlia e la voglia di una seconda gravidanza. Ho approfondito, cercato i dati e capito che il tema della fertilità era un enorme iceberg di cui sui media si vede soltanto la punta. Il tema è gigantesco, tocca una percentuale altissima di persone ed io ho deciso di occuparmene per colmare questo immenso, ingiusto vuoto.
Per me la maternità è una scelta mista a una casualità: la maternità non è un “destino” biologico, dev’essere sempre una libera scelta. D’altro canto però a volte non basta nemmeno la più convinta delle scelte: non si rimane incinte con la sola volontà. La maternità per me è stata una immensa opportunità di crescita personale, mi ha insegnato a mettere le priorità in prospettiva, a cambiare programmi, mi ha fatto riscoprire il senso della meraviglia della vita.
Dopo l’inizio del tuo percorso professionale e dei tuoi progetti, quali scelte hai compiuto e quale impatto hanno avuto su di te?
In entrambi i casi, l’impatto più grande su di me è stato la felicità di poter avere un impatto, appunto. Di poter contribuire attraverso i miei progetti ad aiutare le persone, a creare più consapevolezza, a smuovere le acque dell’opinione pubblica, a portare temi scomodi sotto i riflettori, a costringere anche la politica a discutere, a portare avanti proposte concrete per eliminare gli ostacoli che, nel caso degli stagisti sfruttati così come in quello completamente diverso degli aspiranti genitori mancati, si frappongono tra le persone e la meta.
C’è qualche collegamento tra i due progetti?
Certo, quello di usare il giornalismo come leva per il cambiamento: affrontare un problema che riguarda molte persone, trovare dati, contestualizzare il tema nelle sue sfaccettature e affrontarlo cercando di trovare una rosa di soluzioni, coinvolgendo il più possibile i cittadini, i politici, la società nel suo intero.
Che impatto ha sulle persone ciò che fai e quale effetto hanno su di te?
Il mio obiettivo è offrire alle persone le informazioni più buone e dettagliate, voglio mettere a loro disposizione le voci più autorevoli e fare in modo che la Repubblica degli Stagisti e The Why Wait Agenda siano due spazi sicuri dove trovare informazioni e riflessioni in modo da poter “conoscere per deliberare”, avere il quadro della situazione per poter scegliere poi in completa autonomia cosa fare.
Di più, voglio pungolare tutti i decision maker perché non ignorino questi temi come per molti anni hanno fatto e spesso ancora fanno. Ogni persona che mi racconta la sua storia – che la racconta a tutti noi, a beneficio di altri che potrebbero trovarsi nella sua situazione – è preziosa. Ogni persona che trova utile un nostro articolo e che magari usa quelle informazioni per prendere una decisione che migliora la sua vita dà senso al mio lavoro. Ogni legge o pezzettino di legge che viene modificato in un senso che va a migliorare la vita degli stagisti o delle persone che desiderano avere figli, è per me motivo di orgoglio e felicità. Ogni volta che un manager, un politico, un sindacalista, un giornalista decidono di affrontare questi temi, per me quello è il momento in cui vedo l’impatto vero prendere forma.
Cosa consiglieresti alle Moderne Persefone, soprattutto a quelle che si danno da fare su tematiche di prioritaria importanza per la società ?
Di non smettere di crederci, di non farsi scoraggiare dai tanti che dicono “è impossibile, non ce la farai”. Ma anche di non dimenticare loro stesse, di non abnegarsi alla causa al punto da trascurare il proprio benessere e la propria vita privata. L’equilibrio tra vita e lavoro è un tema molto difficile, specie per gli imprenditori sociali, per tante ragioni.
Il mio messaggio è che si può dare il massimo alla propria causa quando si hanno momenti di felicità eterogenei e si coltivano anche altre passioni. I nostri interessi e le attività che scegliamo di affiancare al nostro lavoro ci rendono persone più complesse, più ricche e più fertili per far nascere nuove idee, progetti, soluzioni innovative. E no, non ho usato quell’aggettivo a caso: perché la fertilità non sta (solo) nei bambini che facciamo, ma in tutto quello che creiamo con uno scopo più grande di noi.
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