Claudia e l’autismo: “Ho scoperto di essere autistica e voglio che tutti lo sappiano”
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Genova - Claudia Ferretti è una donna frizzante – ve l’abbiamo presentata qui – che di lavoro fa la comunicatrice, col pallino per l’ambiente. Porta avanti quella che per lei più che una professione è una missione con slancio e passione, lo fa con il sorriso, sperimentando sempre nuovi linguaggi e mossa dalla voglia di fare la differenza per il pianeta. Di recente ha pubblicato un libro per consapevolizzare le nuove generazioni sull’importanza dell’autoproduzione che porta nelle scuole facendo sperimentare a bambini e ragazzi una didattica esperienziale. E ancora più recentemente è riuscita a dare una risposta a tutti i suoi perché: ha scoperto di essere autistica e ha deciso di fare divulgazione sul tema sui social, Neurospicy.
Claudia, raccontaci la tua storia.
Pochi mesi fa ho scoperto di essere autistica. Prima pensavo di essere molto strana, mi sentivo anche sbagliata in alcune situazioni. Ora ho capito il motivo: il mio cervello funziona in modo diverso da quello degli altri. Eppure ho vissuto metà della mia vita pensando di essere una persona “normale”, ho un lavoro normale e due bambini.
Ho sempre pensato che essere autistici fosse come avere una disabilità, invece una delle principali caratteristiche dell’autismo è la grande capacità di approfondimento. L’autismo è una peculiarità della nostra mente: c’è chi ha un cervello più simile alla maggioranza delle persone – i neurotipici – e chi come me ce l’ha funzionante in modo diverso, come diverso può essere un sistema operativo. Il mio è quello che ha la minoranza, ma non è né un difetto né un pregio, semplicemente è così.
Ci fai qualche esempio di situazione in cui ti sei sentita sbagliata?
Alle persone autistiche non piace cambiare un programma all’improvviso, perché siamo molto schematici, non amiamo gli imprevisti. Alcuni visualizzano perfettamente le sensazioni tattili, olfattive o uditive, io invece visualizzo benissimo le parole, le frasi, interi discorsi e dibattiti. Per questo quando mi capita di discutere lo faccio con una precisione invidiabile, riesco a rispondere alle domande più difficili. Se però mi rendo conto che la persona è disonesta nella discussione, non mi piace più.
Un altro esempio: per me le parole hanno un unico significato, di cui colgo però solo il senso letterale. Quando qualcuno mi dice “Ti sento dentro” e io non comprendo cosa voglia dirmi. Negli anni ho imparato cosa vuol dire, significa che questa persona ti vuole molto bene o ti sente vicina. Se però qualcuno usa con me questo tipo di espressioni, io non capisco e mi sento presa in giro.
Cosa stai notando in questi mesi, da quando hai questa consapevolezza di te?
Mi sono resa conto che si dà per scontato che tutti percepiscano le sensazioni uditive, visive, olfattive e tattili allo stesso modo, invece non è così. Io spesso sono stata tacciata di essere eccessiva nelle mie reazioni, ma quant’è difficile far capire a una persona che non prova queste sensazioni che queste sono semplicemente una manifestazione dei nostri sensi?
Un lato positivo di questa ipersensibilità è che riesco a sentire le cose e le persone che mi piacciono in un modo bellissimo, più intenso: il mio senso più sviluppato credo sia l’olfatto. Faccio un esempio: ho l’impressione che i miei figli abbiano un profumo che sa di buono, mi tranquillizza, mi dà pace e mi pervade anche quando gli altri non lo sentono.
Quali sono le difficoltà che riscontri nel tuo quotidiano?
Ogni volta che parlo con qualcuno mi arrivano tanti dettagli piccolissimi, che mi rimangono impressi nella mente. Immagazzino una lunga lista di dati e informazioni, non solo le parole che mi vengono dette, ma anche il contesto in cui siamo, tutto quello che vedo, i rumori che sento. Per questo quando incontro qualcuno lo esamino da cima a fondo e mentre mi parla mi capita di distrarmi a notare quei dettagli comunemente impercettibili.
In questi 42 anni di vita nessuno ha mai pensato che io sia una persona a cui dà fastidio guardare gli altri negli occhi, invece è molto faticoso sostenere lo sguardo. Negli anni ho imparato a farlo, così come ho imparato a vestirmi e a parlare come si conviene, a comportarmi come ci si deve comportare. È stata una fatica immensa per me, perché non ero mai come gli altri, cercavo di esserlo, ma era qualcosa di artefatto. Spesso pensiamo che le peculiarità che ci distinguono siano un male, invece non è così.
Cos’è cambiato ora?
Non mi sforzo più di essere diversa da come sono. Per prima cosa ho cambiato modo di vestire: prima portavo sempre i tacchi, indossavo abiti scomodi e non so neanche dire se mi piacesse o meno. Pensate com’è difficile non sapere nemmeno quello che davvero ti piace e come realmente sei.
Cosa consiglieresti a chi sta leggendo?
Di ascoltare sempre le persone che ci sono vicine, io nella vita mi sono sentita spesso non ascoltata. Ci sono, per esempio, dei momenti in cui cerco la solitudine. La mia voglia di stare sola però non è un capriccio o antipatia nei confronti degli altri, ma un bisogno fisiologico, un momento per elaborare le mille sensazioni diverse che mi arrivano. Diciamo che mi serve più tempo di decompressione degli altri per poter star bene. Purtroppo questa cosa non è mai stata compresa. Per questo il mio suggerimento è quello di fermarsi ad ascoltare ciò di cui hanno bisogno le persone che ci sono accanto, di non ignorare ciò che chiedono.
Questo è anche uno dei motivi per cui ho pochissimi amici. Certo, col tempo ho imparato che è meglio averne pochi, che però si conoscono bene, rispetto a tanti sconosciuti. Se però vi capita che volte un vostro amico voglia stare un po’ da solo, è possibile che stia elaborando gli odori, le sensazioni e tutte le cose che ha visto: non offendetevi, ascoltatelo.
Ora cosa farai?
Sento il bisogno di dirlo, di raccontarlo alle persone. E continuerò a dire tutto quello che penso, come ho fatto finora. Quando mi sono trattenuta e mi sono imposta di non farlo, ho sofferto moltissimo e non voglio che succeda più. Ora sto chiedendo alle persone che mi conoscono di dirmi che cosa, secondo loro, so fare veramente bene.
Essere chi non sei ti fa consumare un mare di energie. Mi hanno detto che ho un quoziente intellettivo altissimo, ma per tutta la vita ho consumato tutto il mio intelletto a cercare di adattarmi a ogni situazione. Ero sempre adatta, ma mai giusta: parliamo di moda, io parlo di moda; parliamo di cibo, io ti parlo di cibo; passiamo alla politica, io parlo di politica. Ma nulla di tutto ciò è reale. Questo, soprattutto quando si è giovani, crea tantissimi traumi.
Ritieni sia importante divulgare consapevolezza sull’autismo?
Sì, in questo periodo mi sono resa conto che la disabilità viene vista in modo negativo e l’autismo viene spesso associato alla disabilità, mentre in realtà è solo una neurodiversità, che oltretutto ha delle sue caratteristiche positive. Non c’è quindi solo l’errore nello stimgatizzare la disabilità, ma anche e soprattutto l’abbinare una neurodivergenza a una disabilità. Questo porta a voler ‘curare’ l’autismo, una cosa impossibile e poi assurda, poiché non c’è nulla da curare: come se io volessi curare la neurotipicità per rendere tutti come me.
Consapevolizzare le persone però è essenziale affinché tutti sappiano come comportarsi con i neurodivergenti. Le persone autistiche con deficit cognitivi, ad esempio, trasmettono le proprie emozioni agli altri attraverso lo stimming, quell’insieme di movimenti fisici, suoni e parole ripetuti. Sono importanti perché è il loro modo di esprimersi, di comunicare senza parole. Spesso, però, in contesti dove gli psicologi, il personale docente o le educatrici non sono aggiornati, ho notato che tutte le stereotipie vengono censurate e lo stimming viene bloccato, il che annulla il loro modo di parlare. E in questo modo il bambino perde tantissime occasioni di comunicare.
Siamo consapevoli che l’autismo abbia forme differenti e siamo altrettanto consci di tutte le difficoltà che debbano affrontare ogni giorno tante famiglie, ma siamo felici di poter divulgare la testimonianza di una persona che ha deciso di raccontarci la sua personale esperienza. Claudia ha un disturbo dello spettro autistico di livello 1.
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