30 Gen 2023

Baskin, il basket più bello e più inclusivo in cui atleti disabili e non giocano insieme

Scritto da: Elena Rasia

Uno sport accessibile, anzi, un vero modo di vivere la vita, abbattere le barriere e creare gioia e inclusività. Il baskin è una forma di particolare di basket in cui maschi e femmine, persone senza disabilità e persone con disabilità, giocano insieme, ciascuno col proprio ruolo. Ce ne ha parlato Claudia Cortese, fondatrice del Petrarca Baskin Padova.

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Padova, Veneto - «Ho conosciuto il baskin per caso, vedendo allenarsi una squadra di fuori Padova mentre aspettavo che mio figlio più piccolo iniziasse una partita di basket e me ne sono innamorata subito». Claudia Cortese è un’ avvocatessa, si occupa di minori, famiglie e disabilità da più di vent’anni e gioca e dirige la squadra Petrarca Baskin di Padova, che ha contribuito a far nascere. In una chiacchierata mi racconta in che modo si è avvicinata a questo mondo fino a quel momento per lei sconosciuto e di come questo sport sia diventato parte integrante della sua quotidianità e dei suoi momenti più belli.

Ma facciamo un passo indietro: sapete che cos’è il baskin? Ve lo racconto subito, perché di sport accessibili che non lasciano indietro nessuno, non si parla mai abbastanza. Il baskin è un’attività sportiva che si ispira al basket ma ha caratteristiche innovative colme di dinamicità e imprevedibilità regolate da dieci criteri da seguire. È uno sport che è stato pensato per consentire a giovani con e senza disabilità di giocare nella stessa squadra; infatti permette la partecipazione attiva di giocatori con qualsiasi tipo di disabilità che ne consenta il tiro in un canestro.

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Claudia durante una partita (foto di Eleonora Pavan)

In questo modo a essere messa in discussione è la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta, effettuata a partire dall’ambiente scolastico, diventa sempre di più un laboratorio di società e di inclusione concreta. «Il giorno dopo aver visto la prima partita di baskin ho iniziato a “rompere” ai dirigenti del Petrarca per creare una squadra nostra. A settembre 2019 abbiamo iniziato. Eravamo in pochi: Nicoló, Pietro, Francesco, Pippo e io. Con Marco, il nostro allenatore, che aveva portato due ragazzini del minibasket per “far numero”», racconta Claudia.

Sono passati quattro anni da quell’inizio intimo e un po’ confuso su cui avevano scommesso e ora sono in ventisei e dall’anno scorso hanno iniziato anche giocare nel campionato nazionale organizzato dall’EISI -Ente Italiano Sport Inclusivi. Il baskin è magico: si gioca insieme maschi e femmine, persone senza disabilità e persone con disabilità, ciascuno col proprio ruolo, ma insieme. Il baskin non è solo uno sport: è un “mondo”, è un modo di vivere.

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«Il baskin è quella cosa che… non ti passa neanche per l’anticamera del cervello di saltare un allenamento, perché anche se sei stanca morta e avresti mille altre cose da fare, sai che uscirai di lì carica come una molla, con un bagaglio di risate, di abbracci, di affetto che ti farà dimenticare tutte le schifezze che possono esserti capitate», racconta Claudia.

«Il baskin è quella cosa che ti dà superpoteri, perché per portare palla al tuo pivot dimentichi di essere alta 168 centimetri e di pesare 45 chili e ti butti contro un marcantonio di 30 centimetri e 40 chili più di te, che magari gioca anche a basket e si allena quattro volte la settimana. Il baskin è agonismo, ma è anche il palazzetto che esplode quando fa canestro un ruolo 1, anche se è dell’altra squadra. Il baskin è quella cosa che ti trovi al campetto il 2 di gennaio, con la nebbia, perché la palestra è ancora chiusa. Il baskin è come il basket, ma più bello e a volte anche più spettacolare».

A settembre scorso Claudia ha anche vinto la sesta edizione dell’Oscar del basket padovano per il suo impegno nell’insegnarlo: «Quando ho ricevuto la mail di invito, ho segnato la data in agenda senza farci caso, pensavo venisse dato a qualcuno della nostra società, il Petrarca Basket, e di essere stata invitata come dirigente. È stato quando hanno cominciato ad arrivarmi messaggi dal presidente della società e dagli allenatori del basket che mi è venuto il dubbio. Tutti quei “brava, te lo sei meritato!” a cosa si riferivano? Così, ho riletto l’invito e ho visto che sarei stata premiata io, “per l’impegno ad insegnare il baskin a Padova”. Mi sono commossa, mi è venuto un groppo in gola».

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«Vedi – prosegue Claudia – ho voluto creare la squadra di baskin perché anche ragazzi con disabilità potessero provare le emozioni che i miei figli e i loro compagni di squadra provano giocando a basket e che potessero farlo con amici senza disabilità. All’inizio è vero, l’ho fatto per dare qualcosa, ma già dal primo allenamento ho iniziato a ricevere molto più di quanto dessi. Se ti facessi vedere i video che mi hanno mandato i ragazzi durante il lock down o mentre facevo la chemioterapia…».

Insomma, per Claudia era già un premio l’aver creato la squadra, vederla crescere, vedere i suoi compagni che facevano progressi e che creavano legami, l’arrivo di nuovi giocatori. «Il baskin è qualcosa che faccio per me, non so se riesco a spiegarmi: vedere che qualcuno riteneva quello che stiamo facendo così importante da premiarlo è stata un’emozione grande! Ho portato la targa ad allenamento lo stesso giorno della premiazione e abbiamo festeggiato tutti, perché anche se l’ho ricevuto io è un premio di tutta la squadra».

A essere messa in discussione è la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta diventa sempre di più un laboratorio di società e di inclusione concreta

Quando sento questi racconti penso allo sport e a come negli anni sia diventato veramente una risposta di inclusione tangibile per le persone. Sulla disabilità si sta facendo un grandissimo lavoro a tutto tondo e grazie a questo percorso intersezionale i cambiamenti in positivo sono stati notevoli. Ancora oggi tuttavia, quando si pensa allo sport è difficile affiancarci la parola disabilità, perché si tende a pensare che sia qualcosa che una persona con determinate difficoltà fisiche o psichiche non riesca a gestire, non riesco a godersi.

Parlando proprio del baskin, esistono degli sport che realmente avvicinano le persone dando la possibilità di confrontarsi e conoscersi. Il racconto di Claudia mi ha regalato tantissima speranza sul fatto che lo sport possa essere sempre di più uno strumento potentissimo per parlare di inclusione e conseguentemente attuarla nella quotidianità con mezzi concreti, perché ancora oggi ne abbiamo molto bisogno. Facciamo rimbalzare tra di noi, come una vera propria palla da basket, la cultura dell’essere uniti e dell’essere squadra e non precludendoci mai l’opportunità di poter fare un tiro a canestro.

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