Il valore sociale dell’utopia, la zuppa calda che ci permette di osare
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Dall’oblò del nostro camper, che da sempre noi consideriamo una vera e propria barca, osserviamo un mondo dipinto con colori pigri, tra i quali il giallognolo d’occhio di pesce, l’ocra di carota zitta, il marrone d’orso dormiglione, il rosso fuoco spento, tutti velati da uno spesso strato di nebbia infinita. È pressappoco così che il paesaggio dell’autunno ora si presenta a noi naviganti, anime erranti.
ZUPPA CALDA E ZUPPA FREDDA
Siamo in tre e viviamo senza mura intorno, all’aperto, e il freddo è quindi il quarto componente del nostro equipaggio, un compagno di viaggio intimo, costante e insistente nella sua presenza in ogni momento del giorno e ancor di più nella notte. A ogni ora, minuto e secondo ci accompagna. A volte, il freddo si diverte e scherza, come quando ci sente conversare e ci congela le parole in aria, e le frasi restano lassù sospese. Al freddo piace il silenzio.
Tuttavia non sono le basse temperature a creare maggior malinconia, ma l’assenza del Sole che ha deciso d’andarsene, lasciando solo un biglietto con su scritto a matita “torno a primavera”. A questo punto non resta che cercare quella luce altrove, nell’unico luogo dove mai cessa di brillare: dentro di noi. I nostri paesaggi interiori cambiano continuamente, ma esiste un rifugio accogliente che rimane tale nel tempo e lì troviamo sempre una buona zuppa calda, capace di nutrirci per diversi anni.
QUESTA ZUPPA CALDA SI CHIAMA UTOPIA
Generalmente l’utopia viene definita come fantasticheria, una visione positiva di ciò che non potrà mai essere realizzato. Invece il valore sociale dell’utopia è inestimabile, perché risiede nella capacità di immaginare un mondo migliore di quello che c’è. L’utopia è l’amica fedele della lungimiranza, della diversità, della pluralità. Dona quella sensazione di vigore dinanzi a una realtà che, apparentemente, è insormontabile. Partorisce visionari che creativamente propongono soluzioni e cambiamenti, senza minimamente badare all’impossibilità, proprio perché “l’impossibile” è una percezione limitata, limitante e molto variabile della “realtà”.
L’impossibile è considerato tale solo fino a che diviene possibile. Fino al giorno in cui si inventò l’aereo, era inconcepibile che l’uomo potesse volare e così è stato per ogni invenzione, idea, arte e visione del mondo. Anche per noi, 19 anni or sono, l’idea d’essere volontari perpetui ci appariva folle, in assoluto contrasto con le nostre ben radicate credenze sulla sopravvivenza fondata sul lavoro retribuito, e ora magicamente non è più così.
Questo non significa che il nostro percorso sia privo di sfide, tutt’altro, ma dopo ogni sfida affrontata ci rifocilliamo con una buona e vecchia zuppa calda d’utopia e ci permettiamo di osare, di creare, di condividere. Ci tuffiamo innanzi senza voltarci, per la fede e la volontà di realizzare i nostri sogni che chiamiamo progetti, siano minuscoli o siano enormi.
Con OIA’ abbiamo piantato alberi e piante, ripulito da rifiuti spiagge, fiumi e boschi, accudito animali e umani, entrambi di ogni età, raccontiamo storie per guarire, ascoltiamo storie per ricordare, raccogliamo storie per unire. Facciamo ciò che il nostro cuore dice, diamo il nostro meglio per l’esperienza dello stare al mondo e lo facciamo volontariamente gratuitamente.
E non è affatto impossibile, tutto ciò. Spesso la domanda che ci rivolgono è: “Ma voi, come fate a vivere?”. Confessiamo che anche noi, a un certo momento, ce lo siamo chiesti. Dunque abbiamo esaminato con una certa attenzione questa specifica domanda e al suo interno abbiamo intravisto una sala buia, dove servivano una zuppa fredda.
QUESTA ZUPPA FREDDA SI CHIAMA DISTOPIA
La distopia è l’esatto opposto dell’utopia e possiede un valore sociale inestimabile, perché risiede nell’incapacità d’immaginare un mondo migliore di quello che c’è. La distopia è l’amica fedele della conformità, della omologazione, dell’unilateralità. Dona quella sensazione d’impotenza dinanzi a una realtà che, apparentemente, è insormontabile. La distopia ci consiglia di restare immobili, perché è inutile far qualcosa all’interno di un disegno predefinito, o ci dimostra e convince che nessuna azione è possibile. Pertanto il senso di impossibilità si adatta maggiormente alla distopia piuttosto che all’utopia.
Abbiamo appreso che trasformare un pensiero distopico è questione di poco. Ad esempio, per noi è stato sufficiente cambiare la domanda “Ma voi, come fate a vivere?” con ”Ma è davvero possibile vivere così?” . Questa semplice modifica ha stimolato una rivoluzione nel nostro sistema di pensiero e di conseguenza, illuminato le nostre azioni. Nonostante nessuno, o quasi, sia stato educato o incoraggiato al valore sociale dell’utopia, il mondo è comunque e inspiegabilmente costellato di splendidi visionari.
Durante il nostro navigare ne abbiamo incontrati molti e tutti diversi tra loro, come quelli che hanno scelto di vivere una diversa relazione con la terra e così con la propria agricoltura o coloro che hanno riformulato la scelta di un modello educativo, familiare, relazionale o ancora altri che hanno inventato nuovi e originali modalità per vivere in comunità, in comunione con gli altri.
Abbiamo incontrato chi ha creato progetti per nuove abitazioni, altri che vivono all’aria aperta E molti che dedicano il proprio tempo all’ambiente, agli animali, alla Natura. C’è chi ha deciso di prendersi cura della città e dei cittadini attraverso la creatività e chi ha voluto creare una realtà d’informazione diversa, di sentimento libero, e permette agli altri di fare altrettanto.
Non staremo qui ad elencarli: sono un’infinità di stelle e non ha la minima importanza se noi siamo d’accordo o meno con i visionari perché, fondamentalmente, il loro è un dono, è la meravigliosa e netta conferma che “tutto è possibile”. E se qualcuno volesse ancora chiederci “ma voi, come fate a vivere?”, la nostra risposta sarebbe la medesima che ci ha suggerito una certa Alice: “Crediamo di poter fare sei cose impossibili, prima di colazione.”
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