Tagikistan: storia di una delle dittature più arretrate e corrotte, contesa fra Russia, Cina e Islam
Seguici su:
Giovane Stato dalla storia breve e turbolenta e strategica regione di controllo, il Tagikistan – paese dell’Asia centrale di poco meno di 10 milioni di abitanti – vive oggi una fase controversa, di ambita transizione dalle violenze del passato e del presente alle speranze di un futuro di pace e di rilancio economico. Dall’alto dei suoi 3.186 metri di altitudine media – la vetta nazionale è il Picco Ismail Samani che raggiunge i 7.495 metri di altezza –, il Tagikistan suggerisce una identità eremitica e meditativa.
Le sue vette severe e i suoi potenti ghiacciai che degradano verso le morbide vallate lacustri delle regioni sud orientali, l’isolamento che sembra obbligare alla contemplazione, distraggono l’osservatore dall’irrequieto passato di questa ex Repubblica sovietica con insospettabili nostalgie sovietiche. Già, perché in un referendum del 1991 più del 90% dei tagiki si dichiarò favorevole al mantenimento dell’Unione delle repubbliche Socialiste.
Pur essendo la sue storia nobile e profonda – dal periodo del Califfato alla soggiogazione mongola, dall’Impero Timuride alle suggestioni persiane – le vicende tagiche hanno un ineludibile legame con lo sconfinato e potente vicino russo: già vassallo dell’imperialismo zarista al principio dell’età contemporanea, il Tagikistan, dopo una breve rivolta anti coscrizione compresa fra il 1917 e il 1924 – attenzione perchè questa circostanza si ripeterà nella storia del Paese, anche in tempi recentissimi – viene assorbito da parte dell’Unione Sovietica, di cui entra formalmente a far parte nello stesso 1924.
In effetti, l’epoca sovietica fu piuttosto travagliata: all’interno delle Repubbliche, parte dell’identità locale viene meno con l’inserimento nel territorio uzbeko di diverse città tagiche. In una regione a vocazione prevalentemente agricola, la collettivizzazione promossa e imposta da Mosca penalizza la già vacillante economia autoctona, agganciandola alla coltivazione del cotone e alla produzione di alluminio; questa caratterizzazione permane tutt’oggi e le difficoltà di diversificazione produttiva costituiscono uno dei più grossi limiti dell’economia tagica.
Verso la conclusione dell’epoca sovietica, il Tagikistan si riscopre la più povera Repubblica del sistema di Mosca e dell’Asia Centrale e l’indipendenza, dichiarata nel settembre del 1991, restituisce al mondo un Paese debole e compromesso. Il suo esordio come Stato indipendente è quanto mai traumatico e le contraddizioni controllate per decenni dal pugno di ferro sovietico riemergono lacerando il Paese.
L’inerzia del potere è naturalmente in mano al partito comunista locale e alla sua leadrship, ma il fervore della fazione islamica, per lungo tempo represso dall’impostazione fortemente secolare imposta dal Governo centrale sovietico, consegna dunque alla lotta politica una nuova fazione, ardentemente sostenuta dal un convincente consenso popolare.
Nel 1992 scoppia dunque una lunga e cruenta guerra civile, violenta e drammaticamente equilibrata. A complicare le cose interviene un terzo, decisivo fattore: favorito da una geografia che predispone all’isolamento, si sviluppa nel territorio un complesso sistema clanistico, con potentati locali armati in grado di intervenire nel dibattito politico e militare e condizionarne pesantemente gli esiti. Egemonizzato il potere, il violento partito del Fronte popolare pone al Governo il suo rappresentante, Emomali Rahmon, finora unico capo di stato nella storia del Tagikistan indipendente in quella che sembra più una monarchia dinastica che una repubblica popolare.
La persecuzione dell’opposizione islamica – a sua volta consolidata dagli stretti rapporti con i vicini mujaheddin afghani – indica l’apice di violenza di una guerra civile che terminerà solo con l’accordo di pace siglato a Mosca il 27 giugno del 1997. Superati i primi, travagliati, anni di vita, la Repubblica del Tagikistan si trova dunque a fare i conti con un’economia fortemente arretrata e un Governo instabile e corrotto. La dipendenza dal sostegno economico russo diventa determinante, attraverso finanziamenti diretti così come attraverso le rimesse che gli espatriati tagichi dirigono in patria.
Questa forma di dipendenza rimane tutt’oggi una circostanza estremamente controversa, con gli expat che ambiscono al vantaggio della cittadinanza russa e Mosca che ricatta i cittadini tagiki offrendo il suddetto vantaggioso status in cambio del servizio presso il proprio esercito, per altro severamente punito dalla legge tagica. Questa forma nemmeno troppo celata di ricatto ha suscitato, negli ultimi mesi, roventi polemiche in una delle tante circostanze marginali al conflitto in Ucraina.
Ma l’occasione di affrancamento dalla tutela russa è stata offerta dal grande progetto di collaborazione economica portato avanti negli ultimi vent’anni dal Governo cinese che, desideroso di stabilire proficue e strategiche relazioni con gli stati dell’Asia centrale, ha costituito un organismo intergovernativo dedicato – l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai – e inaugurato una stagione di forti investimenti nella regione, senza esclusione naturalmente del Tagikistan.
Estremamente interessata al controllo del territorio, Pechino ha inoltre stabilito una partnership militare di interessante rilievo con Dusanbe, che concede l’installazione di avamposti armati in zone di strategica importanza – il drammatico ritorno dei Talebani ha reso il Corridoio del Wakhan pericolosissimo potenziale punto di contatto fra il governo estremista afghano e la perniciosa fazione dei Uiguri cinesi.
Le condizioni per rilanciare l’economia e il territorio dunque ci sarebbero. L’Economist, attraverso la produzione del suo prestigioso Democracy Index, classifica però il Tagikistan come una delle più arretrate e corrotte fra le dittature mondiali – basti pensare che buona parte del reddito sommerso del Paese si alimenta della posizione privilegiata sul grande canale di distribuzione che porta la droga dall’Afghanistan fino alla Russia e da qui, attraverso i Paesi dell’Est, in tutta l’Europa occidentale.
Tuttavia è proprio il territorio tagico l’elemento determinante per il riscatto del Paese, con le sue ingenti risorse minerarie e naturali e la sua potenzialità di produttore leader di energia rinnovabile – la diga idroelettrica più alta del mondo, in costruzione sul fiume Vakhsh, è il grido di emancipazione che il Tagikistan lancia verso il futuro.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento