La ristorazione può essere davvero sostenibile? Ecco il modello creato da Ossi di Seppia a Sanremo
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Imperia - Lo ammetto: sono un’amante della sana, ricercata e buona cucina. Mi piace preparare e scegliere alimenti di stagione coltivati vicino a me, selezionare con cura i produttori di cibo e bevande che utilizzano una serie di criteri da me considerati necessari. Ma periodicamente mi piace anche mangiare fuori, sperimentare sapori nuovi e piatti che per pigrizia, incapacità e mancanza di tempo a casa non preparerei. Eppure in questi ultimi mesi mi sono resa conto che mentre per la cucina casalinga la mia attenzione a ciò che mangio è molto alta, così non è quando mi affido alla ristorazione.
Piatti ben presentati, colorati e buoni soddisfano la mia golosità, facendo sì che la mia mente si metta in pausa, non domandandosi la provenienza di tali prodotti, la loro qualità energetica e nutrizionale. Apparentemente rilassante e delegante, tale sospensione del senso critico ha però per me e per tutti una conseguenza: ponendo poche domande a chi è dall’altra parte, non incentiviamo un certo tipo di attenzione neanche in chi lavori in tali settori.
E dunque? Forse meglio selezionare con maggior attenzione i luoghi e le persone a cui affidiamo la nostra salute, il nostro piacere e i nostri soldi. E da una volontà di ricerca su nuovi luoghi da conoscere più da vicino ho scoperto, tramite la segnalazione della collega Valentina, il ristorante Ossi di Seppia – cucina sostenibile.
A raccontarmi della storia di questo luogo è Cosimo Corsa, che insieme a Cristina De Ambrosis a fine 2019 ha deciso di creare un’alternativa ai modelli di ristorazione fino a quel momento conosciuti da vicino e sperimentati. Entrambi infatti arrivano da esperienze lavorative nel settore della ristorazione e hotellerie più rinomati, ma dopo circa dieci anni di lavoro intenso decidono che questo non interessava più: «Ci siamo confrontati e l’idea di aprire qualcosa di nostro, dove poter provare a mettere in pratica la nostra visione di ristorazione».
LE ORIGINI
Cosimo mi racconta non aver sognato di essere cuoco da bambino, come spesso accade a chi poi fa carriera in questo ambito. Ha studiato prima al liceo scientifico per poi laurearsi in filosofia. La scelta è maturata infatti solo iniziando a lavorare in questo ambito. «La mia percezione di cucina è sempre stata solo casalinga: sono infatti cresciuto in campagna e per me era normale mangiare gli ortaggi che l’orto di famiglia produceva. Mentre il mondo della spettacolarizzazione della TV avvicinava molti al mondo della ristorazione, io non riuscivo ad esserne attratto».
Ma sperimentandosi come cuoco, scopre la passione per il cucinare per altre persone e assapora per la prima volta la soddisfazione che ne consegue, e la relativa gratificazione. Anche Cristina non ha un percorso da istituto alberghiero classico alle spalle. Decide di seguire un corso di pasticceria, dopo aver intrapreso altre strade, scoprendo un mondo affascinante che la cattura subito. Cosimo e Cristina si sono conosciuti in un albergo in Valle d’Aosta, dove a quel tempo entrambi lavoravano.
Cosimo mi racconta fra le righe lati poco conosciuti esternamente di questo mondo: «Abbiamo riflettuto molto sul come riuscire a non replicare ciò che avevamo vissuto: le ore di lavoro erano molte, gli stipendi non commisurati rispetto a quanto svolto. Inoltre si parla spesso di cucina ricercata, che però non prevede quasi mai la selezione di scelte etiche e sostenibili».
Ed è così che, facendo qualche esempio pratico, mi spiega di come la maggior parte delle ostriche proposte in ristoranti di tutto il mondo provengano tutte dalle stesse aree del mondo o delle lunghe distanze che moltissime materie prime utilizzate devono compiere prima di arrivare nelle cucine di ristoranti anche pluri-stellati e premiati.
A ciò si unisce l’esigenza di presentare sempre molte proposte diverse, avendo come conseguenza moltissime monoporzioni dei piatti più differenti che vengono messi sotto vuoto o congelati, con una perdita della freschezza naturale delle materie prime scelte, oltre a un uso sconsiderato di imballaggi di plastica usa e getta per contenere tali preparazioni.
FARE LA DIFFERENZA È POSSIBILE
«Abbiamo così deciso di aprire una cucina più ricercata, ma con materie prime che fossero il più possibile del territorio e di dare un diverso punto di vista della sostenibilità nel nostro settore. Si parla molto, ad esempio, di basso impatto ambientale, ma credo che si confonda il biologico con il sostenibile». Se infatti il primo considera solo il “come” l’alimento viene prodotto, nel secondo caso si include anche come viene trasportato e le fasi successive di lavorazione e conservazione.
E così Cosimo e Cristina decidono di optare per adottare un’etica verso i dipendenti per orari e contratti proposti, ma anche verso i clienti, proponendo solo piatti preparati con materie prime locali, partendo proprio da un piccolo orto di proprietà, al quale si aggiungono contadini locali, allevatori etici e pescatori del posto. «Abbiamo scelto di avere solo pesce a km0, quindi principalmente pesce azzurro, limitando quello che potrebbe essere un menù più variegato, ma prediligendo la bontà e l’ambiente. Inoltre la carne che proponiamo arriva da allevamenti a basso impatto, non estensivi e che non usano gabbie».
Cosimo e Cristina hanno capito che parte degli sprechi alimentari che creavano era legata al menù alla carta, che hanno quindi deciso da poco di togliere, per favorire una scelta che cambia di giorno in giorno in base agli ingredienti a loro disposizione. Ma hanno anche deciso di tagliare lo spreco energetico, oltre quello delle materie prime, scegliendo per eliminare tutte le preparazioni che prevedrebbero diverse ore, per poi essere congelate per non deteriorarsi. Hanno invece optato per piatti lavorati solo con prodotti freschi, eliminando anche così elementi superflui che vanno ad incidere sul costo finale del piatto.
LA CULTURA È IMPORTANTE
I due ristoratori sono convinti che instaurare un rapporto con il cliente sia fondamentale per diffondere cultura sul tema dell’alimentazione e della sostenibilità e far capire cosa c’è dietro alle scelte da loro fatte. «Alle persone più aperte e sensibili raccontiamo la nostra visione e la nostra esperienza spiegando cosa si nasconde dietro al mondo del cibo, ma anche cosa avviene negli allevamenti intensivi».
«Pensiamo che parlare dei problemi raccontando però che è possibile fare scelte diverse sia importante, anche per apprezzare molto di più ciò che si mangia», concludono. Ossi di Seppia sta anche aprendo un dialogo con altri ristoratori. Mi confida Cosimo: «Ci piacerebbe che l’idea di cucina sostenibile diventasse qualcosa di più ampio e avvicinasse nuove aziende per lavorare insieme con questa filosofia».
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