OZ-Officine Zero, la multifactory che porta rigenerazione e innovazione nel cuore di Roma – Io Faccio Così #367
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Roma, Lazio - Ho conosciuto Alessandro Splendori in occasione di un incontro organizzato da r84 negli spazi della multifactory di Mantova. Non un luogo casuale di incontro perché OZ-Officine Zero, di cui Alessandro fa parte, si ispira proprio a questo modello. Quella di OZ è una storia che viene da lontano e si intreccia con le vicende di un ex sito industriale all’interno della città di Roma, nel quartiere di Portonaccio Casal Bertone, vicino alla stazione Tiburtina, destinato ad attività di riparazione e aggiustaggio dei vagoni dei treni notte.
Come ci racconta più dettagliatamente Alessandro nel video che trovate qui sotto, è dall’incontro tra gli ex operai occupanti di questi spazi – oltre 20000 metri quadri di officine immerse in un parco di alberi ad alto fusto – e nuove persone provenienti da reti sociali presenti nella zona, che nasce nel 2013 la nuova Officine Zero.
È il modello emergente delle multifactory a dare forma a questa nuova esperienza, insieme all’ispirazione data dal sito stesso – non una linea di produzione che andava dal materiale al prodotto finale, ma un luogo in cui ognuno lavorava per conto proprio, in modo autonomo, già uno spazio artigianale, in qualche modo.
Che cosa è quindi oggi OZ-Officine Zero? Per scoprirlo, insieme ad Andrea Degl’Innocenti, sono andata a visitare le officine nello spazio nella zona Montesacro-Conca d’Oro, in cui dal 2019 questa esperienza si è spostata dopo l’acquisizione dell’area di Portonaccio da parte del gruppo Bnl-Paribas.
La nuova OZ è uno spazio ordinato: laboratori di lavorazione del legno, metalli e componenti elettroniche, tappezzeria e spazi di co-working si affacciano su ampia area comune. Qui si trovano tavoli in cui condividere momenti di pausa e progettazione accanto a spazi di riposo, convivialità e accoglienza realizzati con grande cura da mani artigiane e oggetti realizzati da chi abita questi spazi.
«Officine Zero oggi è un multi laboratorio, uno spazio multifunzionale dentro il quale abbiamo cercato di mettere il maggior numero di laboratori possibile e spazi di co-working per i lavori cosiddetti intellettuali. Ma il nostro focus sono le attività laboratoriali, la parte di progettazione e realizzazione. La specifica di questo posto è che quando uno entra ha in mente una cosa e più o meno sa che qui la può fare», ci spiega Alessandro.
Di fatto è una multifactory che accoglie lavoratori autonomi che hanno un loro percorso nell’artigianato, nella comunicazione, nel design, nell’informatica ma che decidono anche di collaborare sui temi come economia circolare, formazione dal basso, rigenerazione urbana. Un luogo di riflessione concreta sul ruolo del lavoro all’interno della città in cui si cerca di «rivalorizzare e tutelare il lavoro autonomo artigianale ma non solo», perché Alessandro ci invita anche a riflettere su cosa intendiamo con questo concetto, che oggi si può estendere anche a nuovi lavori, digitali ed informatici.
OZ è prima di tutto un luogo autogestito di lavoro, in cui ogni singolo laboratorio è condiviso nell’operatività e nella cura, in cui si dividono i costi e soprattutto si scambiano competenze, saper fare e progettualità. «Si entra a Officine Zero con qualcosa di concreto da fare per vivere e ci si rimane collaborando con gli altri per dare più valore a ciò che si sa fare, per imparare cose nuove e per trasferire qualcosa di nostro al prossimo».
Formalmente OZ è sia una cooperativa – per la gestione della sede e dei principali rapporti istituzionali ed economici – che un’associazione per la vita collettiva e la creazione dei progetti comuni. Permette quindi anche ai non professionisti di accedere in maniera spontanea od organizzata – come nel caso di accordi con realtà educative e formative – o ancora grazie a workshop ed eventi, contribuendo al diffondersi di competenze, ad ampliare la riflessione sul valore del lavoro artigianale e a dare nuova vita agli oggetti «togliendo dalle fauci delle discariche tutto ciò che può essere rimesso in produzione».
Una realtà che cerca «di tenere insieme una dimensione lavorativa realmente umana con l’attenzione per l’ambiente e la partecipazione attiva alla vita della città». Un modello e un esempio di come rendere ancora economicamente possibile la realizzazione di progetti lavorativi artigianali all’interno della città e fare cultura.
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