Trasforma mascherine usate in lampade di design: il progetto di un giovane designer piemontese
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Alessandria - Paolo Conte è un designer di 28 anni reduce da una recentissima esposizione dei suoi lavori ad Acqui Terme, la sua “piccola” città. Il suo fiore all’occhiello? Due prototipi di lampade realizzate a partire da mascherine chirurgiche usate, le rising lamps. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui per farci raccontare com’è riuscito a cambiare volto al simbolo della pandemia, facendolo diventare un oggetto di design.
Com’è andata la tua mostra e perché l’hai chiamata Acqui Creativa?
È andata molto bene. Si è tenuta dal 9 all’11 dicembre e anche se è stata breve questi tre giorni hanno trasformato la sala di via Carducci 29 in un punto d’incontro dove oltre alle mie creazioni c’era anche un contorno di altre cose… e pure la Playstation! [sorride, ndr]. L’esposizione non era a scopo di lucro, voleva essere un punto di partenza per iniziative future sul territorio e ho raccolto l’interesse di diversi artisti. L’idea ora è dar vita a una sorta di festival del design.
C’erano vari oggetti in esposizione, ma soprattutto due lampade a basso consumo realizzate con delle mascherine chirurgiche.
In effetti queste due lampade hanno suscitato particolare interesse. Si tratta delle rising lamps che hanno colpito l’attenzione già a partire dalla prima esposizione a giugno al Salone del Mobile di Milano, nella sezione riservata agli under 35, e a giugno alla Dutch Design Week a Eindhoven.
Com’è nata l’idea?
Molto semplicemente camminando per strada e guardando per terra. Le mascherine sono state uno dei rifiuti più diffusi già a metà della prima ondata di pandemia. E osservandole sul marciapiede mi sono chiesto: perché invece di andare avanti andiamo indietro? Già in quel periodo avevo il pallino di fare sensibilizzazione sul tema, poi sono venuto a conoscenza del fatto che il politecnico di Torino, nei laboratori di chimica di Alessandria, stava portando avanti una ricerca su come integrare il riciclo di mascherine nella produzione di nuovi materiali.
Nel 2021 mi sono messo in contatto con i ricercatori, perché la mia intenzione era capire il loro output finale. L’idea di partenza era creare un filo per la stampa 3D, anche se, a meno di aggiornamenti recenti, purtroppo non è stato possibile realizzarlo. Ho faticato un po’, ma sono riuscito a imbastire una collaborazione con l’università che ho voluto amplificare, per rendere il mio progetto più pieno.
Cioè?
Oltre a concretizzare l’idea della trasformazione del materiale delle mascherine, ho pensato di raccoglierle anche fisicamente. Insieme alla protezione civile di Acqui, ho posizionato diversi scatoloni in giro per la città dentro al quale le persone potevano gettare le proprie mascherine usate. I volontari periodicamente le svuotavano, le sanificavano con l’ozono e me le consegnavano.
Alla soglia delle 500 mascherine le ho selezionate, tenendo da parte solo quelle non macchiate, per esempio di caffè o cioccolato, ho rimosso lo stringinaso e gli elastici, le ho separate per colore e ne ho fatto coriandoli. Dopodiché ho consegnato tutto il materiale al politecnico, il quale me lo ha restituito trasformato in placche quadrate di 17×17 centimetri.
Spiegaci: qual è il processo di trasformazione?
Innanzitutto bisogna sapere di che materiale è fatta la mascherina: si tratta di tessuto non tessuto, polipropilene o poliestere, che subisce un processo di compressione all’interno di uno stampo quadrato. La parte in polipropilene può essere disinfettata tramite ozono e tritata, tornando a uno stato granulare simile a quello di origine. Il materiale può essere, quindi, riutilizzato o combinato con altri materiali per modificarne le caratteristiche e le prestazioni, prodotto in stampa 3D.
In poche parole: si inserisce il materiale in macchina, che nei fatti è una pressa, e dopo 2/3 minuti si tira fuori la placchetta quadrata con cui viene realizzato il corpo della mia lampada. Il processo è molto semplice, perché il materiale non subisce additivo o cambio di stato. E poi con la compressione non si fonde e non crea inquinamento.
Così hai realizzato le lampade…
Volevo giocare con la luce per impreziosire il materiale, che è brutto ed è il simbolo di un periodo non positivo da cui però siamo usciti. L’idea era quella di trasformare metaforicamente anche la percezione collettiva e far capire l’evoluzione di questo materiale, che da mascherina può trasformarsi in una lampada e oggetto d’arredo.
I prototipi che ho creato sono due, una blu e una bianca, e l’effetto della luce rimanda molto al marmo. Per realizzare l’equivalente con un effetto simile si può usare la resina, ma ce ne vogliono chili e chili, con la differenza che la sua produzione ha un processo altamente inquinante. Io invece ho voluto utilizzare qualcosa che già era in circolazione, riciclando cinquanta mascherine per ogni lampada. Ci tengo a precisare che il mio progetto non ha alcuno scopo di lucro, mi interessa solo portare in giro l’idea per dimostrare come possa cambiare forma un materiale.
Se si attivasse un processo di produzione di lampade o altri oggetti simili, si andrebbe a riciclare un materiale già in circolo, abbattendo i costi della materia prima, che è nulla, a cui si aggiungerebbe solo il costo dell’energia elettrica per pressare le mascherine. Se pensiamo che solo nel primo anno di pandemia abbiamo usato 129 miliardi di mascherine al mese, ci si rende conto di quanta materia prima avremmo a disposizione!
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