Maria Venditti e la sua battaglia politica e culturale per ridefinire l’approccio alla disabilità
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Benevento, Campania - A Telese Terme il Presidente del consiglio comunale è per la prima volta nella storia di questa graziosa località termale una donna con disabilità motoria, nonché la più giovane fra gli amministratori e le amministratrici locali. Il suo nome è Maria Venditti: trentenne, ha studiato sociologia ed è da sempre impegnata sul fronte sociale e politico. Ciò che mi incuriosisce della nostra chiacchierata è il modo in cui descrive sé stessa, la sua vita e il suo quotidiano. Sembra essere lontana da qualsiasi forma di vittimismo o autocommiserazione.
Ha un atteggiamento gentile e risoluto e un aspetto molto curato, tanto che la sua disabilità si dissolve tra le grinfie di una personalità forte e raffinata. Di sé stessa dice: «Sono una ragazza vitale, entusiasta con delle passioni ben precise che mi permettono di entrare in relazione con molte persone, in ambienti differenti. E in ognuno di questi mi impegno a lasciare il mio contributo. Questo spesso mi permette di segnare dei traguardi e dei cambiamenti personali ma condivisi».
«Fino agli otto anni camminavo con i tutori – mi confida –, poi mi sono seduta sulla sedia e non ho più camminato. Per molto tempo ho vissuto dimentica della mia condizione fisica che era intrecciata con la normalità delle cose. Non sono mai stata identificata come “la bambina disabile”; ero semplicemente io che non riuscivo a fare tutto da sola. Ecco perché il mio sguardo è sereno e risoluto. Per molto tempo ho vissuto gli ostacoli e i problemi come chiunque altro e questo approccio “anarchico” me lo sono portato appresso per molto tempo. Sicuramente l’amore, senza pregiudizio alcuno di chi mi circondava, mi ha aiutata a essere ciò che sono oggi».
Il termine “disabile” non è una parola che utilizzi per rappresentarti. Come mai?
Attingo a termini diversi in base al contesto in cui mi trovo. Addirittura, nella mia esperienza di studi scientifici e sociologici, ho azzardato una diversa definizione di me stessa – “cyborg” piuttosto che disabile – poiché la mia condizione mi porta all’utilizzo di una sedia elettronica molto complessa e di vari strumenti tecnologici. Con questa definizione voglio anche rievocare teorie femministe sulla soggettività molto importanti.
Alcuni termini utilizzati in passato, come “handicappato”, e altri più recenti come “diversamente abile” sono entrati nell’uso comune senza un orizzonte di significato. I riferimenti culturali sul tema invece ci indicano la terminologia più idonea, quella di “persona con disabilità”, in modo da sottolineare che l’elemento della disabilità non deve assorbire tutta l’identità della persona.
Vista la tua formazione sociologica e il tuo impegno in campo politico e sociale, come valuti e gestisci la tua nuova carica da Presidente del consiglio comunale?
La carica politica che ricopro attualmente la gestisco perfettamente perché è una funzione di cerniera, di imparzialità. È stata fondamentale la percezione che la gente ha avuto di me come di una persona, al di là della mia disabilità, in grado di occuparsi di tematiche molto specifiche e di comprendere e agire un certo rinnovamento, nell’ottica di uno sviluppo di tutto il paese con quello spirito di servizio che dovrebbe animare le istituzioni.
Come viene declinato il tema della disabilità nella scena politica?
Io non mi interesso di questioni legate alla disabilità solo perché ne sono portatrice in prima persona. Ho cominciato occupandomi di politiche per le pari opportunità. Attraverso la mia formazione, i miei studi sociologici, mi sono ritagliata un focus specifico sul tema disabilità. Ho sentito fosse necessario occuparmi di questioni che riguardano la disabilità attraverso una formazione più estesa e strutturata. Un approccio scientifico, politico e non filantropico, in grado di fornire un contributo significativo in termini di emancipazione e sviluppo sociale.
È stata molto interessante la presenza, non marginale, in Campania di candidati con disabilità che si sono proposti alle ultime tornate elettorali e anche di quelli che sono passati. Questo è un dato molto significativo e va attenzionato anche in ragione della possibilità di portare all’interno dell’agenda politica determinate tematiche che esistono da un punto di vista legislativo ma che sono ancora inapplicate.
Questa rappresentanza anche nei piccoli Comuni è un fatto che si sta aggregando, nel senso che sta nascendo come dato – e non come esperienza eccezionale – che diventerà molto importante per i nostri territori. Si spera di uscire quanto prima da una situazione di segregazione, discriminazione e mancanza di diritti di base, per avere la possibilità di vivere pienamente la propria vita per chi ha una disabilità. Bisogna spingere verso un coinvolgimento più netto del mondo sociale e politico.
A che punto è la gestione delle politiche dirette e dei servizi in tema di disabilità?
L’entrata in scena di politiche dirette e della proliferazione di servizi in tema di disabilità è piuttosto recente: penso ai progetti di vita indipendenti che hanno rappresentato la conquista maggiore sia da un punto di vista della legge – anche se non è ancora attuata in molti contesti – che di politiche dirette. Se infatti fino a un dato momento la soluzione sociale al problema della disabilità era costruire dei centri e buttarci tutti dentro, oggi questo non è più accettabile.
Bisogna parlare in termini di possibilità di autodeterminarsi: se io ho una casa di proprietà e una invalidità che richiede assistenza continua non è detto che io debba lasciare la mia casa e venire segregata. Devo avere la possibilità di stare nel mio luogo di vita, famiglia, vicinato, con le mie abitudini e di avere un aiuto economico per pagare anche l’assistenza.
Rispetto a questo approccio, che ruolo ha avuto la tua esperienza personale?
Ho trent’anni e già partendo dalla mia biografia personale, al netto di disparità territoriali, molto è cambiato. C’è la possibilità di essere consapevoli dei propri diritti e di poterli rivendicare. Si tratta di una situazione molto diversa dal passato. Già questo è un ottimo punto di partenza ma c’è ancora tanto da fare. Si continua ad avere l’errata percezione che i temi riguardanti la disabilità siano circoscritti a una cerchia ristretta di persone e non all’intera collettività.
Tutti sappiamo che avere un marciapiede accessibile fa bene non solo a chi si muove in carrozzina, ma anche a una mamma che porta in giro i figli con il passeggino o a chi è anziano e cammina in un modo diverso e non è in sicurezza perché trova un gradone o marciapiedi sconnessi. Da questo punto di vista si potrebbe insistere sulla concretezza degli interventi per migliorare la qualità della vita di chi vive una disabilità oggi o chi la vivrà in futuro, a vantaggio di tutta la comunità.
Che ruolo giocano i social media sul versante della comunicazione, della semantica e della percezione di massa intorno a termini e concetti come disabile e disabilità?
Concretamente sono stati fatti dei grandi passi avanti anche in termini di comunicazione e di auto narrazione con l’avvento dei social media. Una sorta di vetrina sul mondo della disabilità raccontata con verità, che ha segnato la differenza nel mondo della comunicazione. Intendo quello social, degli influencer, delle persone che in maniera autonoma comunicano sé stesse e lo fanno con i propri linguaggi attraverso il blog, facebook, instagram, twitter, tik tok e altri spazi virtuali.
In questo modo contribuiscono notevolmente all’emancipazione e a far emergere la verità di alcune storie di vita raccontate senza filtri, portandole a conoscenza del grande pubblico della rete. Quindi ritengo che i social siano stati una vera rivoluzione nel mondo della disabilità perché hanno dato vita a una forma di narrazione artigianale. Soprattutto hanno permesso e favorito la possibilità di creare community, connettendo esperienze e diffondendo cultura su esperienze e diritti negati, ma anche importanti diritti acquisiti
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