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«Sei stato tu! Ne sono sicura!» continuava a ripetere Katy, sempre più insistentemente.
«Noooo. Quante volte te lo devo dire? Non so neanche di cosa tu stia parlando» rispose esausto alzando il tono di voce Carl, forse per cercare di apparire più sicuro di sé e chiudere la discussione in fretta.
Erano diversi minuti che il confronto acceso era iniziato e non sembrava arrivare da nessuna parte.
«Se scopro che sei stato tu, giuro che….».
Katy non finì la frase, per ben due motivi più che validi. Il primo è che per quanto fosse arrabbiata con suo fratello non lo era mai davvero al punto di augurare qualcosa di brutto. Non sapeva bene se ci credesse o meno a queste cose, ma si disse che era meglio non rischiare. Il secondo era che non ne ebbe il tempo: Carl le aveva appena chiuso la porta della sua stanza in faccia, interrompendo così il litigio.
Katy avrebbe dovuto essere ancora più arrabbiata, ma in realtà tirò un sospiro di sollievo. Non sopportava discutere con Carl, anche se ciò purtroppo avveniva molto frequentemente. “Confronti accesi”, li definivano fratello e sorella uniti quando il padre faceva notare loro quanto tempo passassero a litigare. Aggiungendo anche un “solo” davanti e sbuffando con aria di chi si sente incompreso.
Katy corse in camera sua chiudendo a sua volta la porta della camera da letto alle sue spalle. Sperava con tutto il suo cuore che il suo prezioso ciondolo gliel’avesse rubato il fratello, così da avere un colpevole e delle speranze di ritrovarlo in breve tempo. Non se ne separava mai, neanche per andare a dormire o farsi il bagno. Era sempre al suo collo: troppo prezioso per lasciarlo da qualche parte incustodito e rischiare di non ritrovarlo. Eppure era successo: un attimo prima poteva giurare di percepire la sua forma rotonda di metallo sul suo petto, insieme al calore che riusciva a trattenere dentro di sé, scaldando la pelle al suo contatto. E un attimo dopo non c’era più. Insieme alla collana che lo reggeva.
«Dov’è finito?» continuava a chiedersi Katy triste e sconsolata.
Si buttò sul letto, afferrò per una zampa Tartarù, la sua amica tartaruga che da anni le faceva compagnia in maniera fedele durante il sonno, e chiuse gli occhi con un unico grande intento in testa: «Voglio scoprire chi ha portata via il mio ciondolo!»
Forse era stato rubato, forse era caduto e si era rotto da qualche parte, forse uno scherzo mal riuscito di qualcheduno che non conosceva la sua storia, che non sapeva che le era stato regalato dalla sua mamma poco prima che se ne andasse per sempre. Forse senza sapere che quella collana era una parte di Katy come un organo, un pensiero, qualcosa di talmente intimo e personale da doverlo ritrovare a ogni costo. Sbadigliò. Era tardi e lei era troppo stanca. Avrebbe iniziato la sua ricerca l’indomani mattina.
Il torrente scorreva al suo fianco e grandi alberi facevano da cornice a un posto che Katy conosceva molto bene: era il suo rifugio in mezzo al bosco, il suo luogo magico e segreto in cui si andava a nascondere ogni volta che voleva fuggire da un padre troppo arrabbiato, da un fratello troppo dispettoso o dalla sua stessa tristezza che però sembrava riuscire a trovarla sempre, anche quando correva velocissima. Avrebbe riconosciuto ovunque quel suono di acqua che scorre, accompagnata nel suo tragitto da grandi pietre. Gli alberi immensi ne facevano da cornice perfetta per renderlo isolato, seppur distante solo qualche decina di metri da casa.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso dal solito: proprio al centro del letto del torrente una grande pietra pareva spostarsi lentamente e da sola. Katy la fissava sbigottita. «Non ci posso credere! Sto sognando, tutto questo non è reale!» continuava a ripetersi per tranquillizzarsi e riuscire a mantenere sotto controllo la paura che iniziava a montare prepotentemente dentro di lei.
Brividi lungo la schiena percorsero Katy. «Entra! É solo un sogno: non ti può accadere nulla» le sussurrò una voce dentro di lei. Ma venne zittita in malo modo da una seconda più tremante e insicura: «Non ti fidare, non sai cosa può accaderti». Il vento si alzò spostando le foglie colorate a terra. Gli uccelli non avevano mai smesso di cantare da quando era lì. Prese un sospiro lungo e profondo e senza pensarci troppo superò le grandi pietre che portavano al nuovo passaggio dietro al torrente, sino a quando non si trovò davanti a una porta rossa di un materiale lucido e allo stesso poroso. Afferrò la maniglia e con grande stupore si accorse che la porta era socchiusa.
Un secondo respiro più ampio e profondo degli altri arrivò da solo. Lo trattenne nel petto e chiuse per un secondo gli occhi mentre spalancava convinta la porta. Quando li riaprì si rese conto che davanti a sé non vi era nulla se non il buio totale. Un buio di un nero impalpabile che sembrava non avere né inizio né fine. Abbassò allora lo sguardo e solo allora si accorse della scala sotto di lei. Era così lunga e ripida da non riuscire a scorgerne la fine. Si intravedeva solo una grande luce provenire dal fondo. Era di un giallo intenso e vivo.
Decise di scendere per scoprire dove portasse. Gli scalini erano corti e non vi era alcun corrimano che potesse sostenerla nel caso fosse caduta. Sarebbe bastato molto poco per perdere l’equilibrio ma stranamente Katy era sicura. Scese uno a uno i gradini con attenzione e ogni passo che faceva una serenità di origine ignota si faceva strada dentro di lei. Flussi di luci e colori attraversavano il nero infinito sopra la sua testa. Non sapeva dove si trovasse né dove era diretta ma si fidava di sé e delle proprie sensazioni. Ovunque fosse era il luogo giusto per trovare le risposte che stava cercando.
Ci mise parecchio tempo ma riuscì a raggiungere la fine della scala e solo allora si accorse di essere in un luogo ancor più particolare di quello che aveva appena lasciato oltrepassando la porta rossa del torrente. Grandi alberi dalla chioma fitta e verde affiancavano un sentiero che tagliava in due parti l’immenso bosco. Il cielo era di un blu intenso e qua e là comparivano nuvole bianche, quasi a ricordare la perfezione dell’imperfetto. A un primo sguardo tutto appariva normale, già visto, già noto per Katy.
Ma non era così e ci vollero pochi secondi. Era ferma, dietro di lei ancora la scala da cui era appena scesa, quando iniziò a sentirne le voci, a percepire i movimenti. In un primo momento erano impercettibili, poi via via sempre più animati. «Ahhah grrr armantichichi! Fruuurruuu». Tutto intorno a sé era vivo e parlante: non riusciva a comprendere cosa si stessero dicendo, ma era un continuo brusio. Ogni albero, pianta, fiore, animale era dotato in questo inaspettato mondo dai toni accesi di una brillante personalità.
«Sono rumorosi, vero?»
Katy si voltò ma non vide nessuno. Poi abbassò lo sguardo. Rimase a bocca aperta. Bassa, verde smeraldo, occhi gialli e neri e corazza marrone striata di nero. La fissò per qualche istante, poi sgranò gli occhi, li strofinò poi diverse volte con espressione sempre più esterrefatta.
«Tartarù? Sei proprio tu?»
La tartaruga annuì e per un attimo Katy fu convinta di aver intravisto un sorriso spuntare dalle sottili labbra.
«Ora non posso spiegarti tutto. Sei qui per un motivo preciso ma con il tempo capirai da sola»
«Io non so nulla Tartarù, non so neanche perché mi trovo qui»
«Come no? Non hai desiderato trovare la tua collana e sapere chi l’avesse presa?»
Katy annuì. Come faceva a saperlo?
«Hai chiesto aiuto ed eccomi. Seguimi, ho qualcosa da mostrarti».
E così dicendo si mise in viaggio, avanzando al fianco di Katy, anticipandola di pochi impercettibili passi. Camminarono in silenzio, percorsero prima una radura, poi costeggiarono una siepe che pareva essere capace di arrivare a toccare il cielo da quanto era alta. Alla fine svoltarono e solo allora Tartarù si fermò e fece segno a Katy per indicarle di proseguire.
Davanti a loro una piccola capanna di legno e di grandi foglie di palme trovava riparo in mezzo a una fitta foresta. Era composta da migliaia di alberi vivi e parlanti, che al tempo stesso apparivano come un unico grande essere vivente. Katy si avvicinò alla capanna e sollevò lentamente uno dei due lati della porta di stoffa che riparava il suo interno.
Entrò e seguendo le istruzioni di Tartarù e si sedette.
Vi era qualcuno lì: girata di spalle una bambina poco più piccola di Katy stava trafficando spostando oggetti di varie dimensioni e forme con una cura incredibile.
«Benvenuta» disse senza voltarsi.
«Grazie! Io sono Katy, la mia amica Tartarù mi ha accompagnata qui dicendomi che avrei trovato le risposte che cercavo. Io sto cercando …»
«… il tuo ciondolo blu: lo so. Non ce l’ho io. Ma so dove si trova»
«Davvero? E dove?» chiese Katy.
«Nel mondo degli oggetti distrutti»
«Cosa? In che senso…. E come ci è finito? Chi l’ha rotto?»
La bambina, ancora voltata, sollevò leggermente le spalle e con tono sempre più paziente di chi spiega cose ovvie rispose: «Nessuno Katy. La tua collana era con te per proteggerti e aiutarti a superare la partenza della tua mamma verso il suo nuovo viaggio. Ti era stata donata da lei per questo. Ma ora non serve più. Tu sei qui e sei venuta a prendermi e l’amuleto potrà trasformarsi e tornare ad avere nuova vita».
«Cosa? Ma se non ti conosco neanche, perché mai dovrei essere venuta a prendere te?»
E solo a quel punto la bambina si voltò, lasciando Katy più perplessa e confusa che mai.
Lunghi capelli castani, occhi verdi scuri e intensi, carnagione color cioccolato.
«Chi sei?» chiese spaventata Katy, guardandola negli occhi e cercando di ricordarsi che stava sognando e che nulla era davvero reale in quel mondo.
«Sono te, o meglio la parte di te che si è staccata quando la mamma è andata. Ad ogni grande trauma, sofferenza o dolore, parti dell’anima possono alcune volte fuggire, permettendo che la vita continui, meno dolorosa. Ma è pericoloso. Quando parti troppo grandi fuggono, o troppi pezzi se ne vanno, la persona rischia di perdersi, di non sapere più chi è».
Fece una pausa guardandola dritta negli occhi: «Ma tu ora sei qui. Il ciondolo è partito perché il suo compito è concluso e tu finalmente sei pronta e hai deciso di venire a prendermi per tornare a casa con te.»
Katy non rispose. Non capiva cosa stesse avvenendo. Tutto pareva semplice e al tempo stesso assurdo.
«Fidati di me» le disse prendendola per mano. Insieme uscirono dalla tenda rossa e sempre mano nella mano si avvicinarono a Tartarù che attendeva pazientemente nel punto esatto dove l’aveva vista fermarsi prima di entrare. Insieme tutte e tre camminarono nella foresta. La confusione passo dopo passo lasciò spazio a una nuova sensazione di pace.
Di colpo il buio tornò.
«Si farà di nuovo tardi! Svelti alzatevi, vi aspetto sotto per la colazione» urlava una voce famigliare. Poi aprì la porta della sua camera. Era il papà: «Katy tesoro, su! È ora di alzarsi!».
Katy aprì con fatica gli occhi. Tartarù era lì, abbracciata a lei nel suo letto. Le alzò una zampa e la lasciò cadere. Non si muoveva.
«Ah!» sospirò Katy, sollevata che tutto fosse stato solo un incredibile e assurdo sogno.
Mille pensieri e dubbi che non avevano trovato tregua per molto tempo sembravano essersi presi una pausa nella mente della bimba viaggiatrice in altri mondi, mentre Tartarù felicemente sdraiata nel letto accennava un leggero ma deciso occhiolino alla sua amica, domandandosi quanti altri viaggi alla ricerca di parti di sé li stavano attendendo.
Note: la favola prende ispirazione da una tecnica della tradizione sciamanica chiamata Caccia all’Anima
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