Il fotovoltaico a terra è la nuova frontiera della produzione di energia?
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Fotovoltaico a terra: è questa una delle opzioni per renderci il più possibile carbon free? Certo, se da una parte in questa situazione climatica tutte le soluzioni di produzione di energia rinnovabile sembrano oasi nel deserto, dall’altra emerge con forza il tema paesaggistico. In effetti, viene subito da chiedersi se sia realmente necessario. Passeggiando in città basta guardarsi intorno: abbiamo milioni di tetti, centinaia e centinaia di capannoni inutilizzati e spazi abbandonati, perché occupare terreni agricoli con degli impianti fotovoltaici? Un risposta potrebbe essere l’enorme quantità di energia di cui necessitiamo. Prima di addentrarci nel dibattito in atto, vediamo più da vicino di che si tratta.
COME FUNZIONA
Il primo punto è capire che cosa occorre per realizzare un impianto agrivoltaico. Partiamo innanzitutto dalla necessità di base: un’area non ombreggiata. Non si tratta però di aree boschive da diradare appositamente per la causa, ma dell’installazione di impianti poggianti su terreni agricoli. Ho scelto, non a caso, il verbo “poggiare” perché i pannelli di questo tipo di impianti si reggono su picchetti infissi a terra, che li elevano da terra almeno tre metri; questo significa che il terreno sotto l’impianto può essere coltivato e accumula comunque carbonio sottratto all’atmosfera.
Altro punto: a differenza di quanto accade nei piazzali cementificati delle periferie commerciali delle nostre città, questi terreni ospitano insetti, lombrichi e api che lavorano indisturbate. I campi fotovoltaici combinati con la produzione agricola sfruttano particolari pannelli e le caratteristiche di alcune piante: è a partire da questo assunto che diventa quindi chiaro che il fotovoltaico a terra non va a consumare suolo, bensì lo occupa.
Ecco perché la pastorizia, ad esempio, pare essere compatibile con questo genere di impianto. Un esempio è il gestore energetico del Colorado, Guzman Energy che ha creato un enorme campo fotovoltaico su terreni agricoli incolti, chiamato Garnet Mesa Solar, trasformato in progetto agrivoltaico, grazie alla presenza di mille pecore: i pannelli fungono da ombreggiante e da riparo per gli animali, i quali a loro volta mantengono l’erba pulita.
IL DIBATTITO
C’è chi è fortemente contrario e chi sta vagliando i pro e i contro. «Sulla scorta di una serie di esperienze concrete che ci sono state in questi anni viene fuori che i campi fotovoltaici a terra sono in grado di offrire migliori servizi ecosistemici rispetto a campi coltivati in maniera intensiva tradizionale», spiega Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, ricercatore di Fisica Tecnica Ambientale presso l’Università dell’Insubria e vicepresidente della cooperativa ènostra.
Lasciando crescere l’erba e le infiorescenze spontanee nell’area sottostante i pannelli si tutela la biodiversità vegetale; inoltre è stato rilevato che gli insetti impollinatori si trovano a proprio agio molto più in questi contesti rispetto a un campo agricolo intensivo, con diserbanti e prodotti chimici. La chiave di volta per l’energia del futuro potrebbe essere quindi l’integrazione tra coltivazione e impianti, il cosiddetto agrifotovoltaico?
«Sia in un caso che nell’altro ci sono degli enormi “dipende” – prosegue Ruggieri – perché, per esempio, se durante le operazioni di manutenzione, il pannello viene lavato con sostanze chimiche c’è il rischio che queste vadano a inquinare il terreno, allora lì si vanifica il beneficio; oppure se si sbaglia pianta e si sceglie una coltivazione che avrebbe magari bisogno di più luce, che con l’impianto viene oscurata, il binomio allora non funziona». Per valutare tutti questi aspetti ci sono ricerche consolidate su esperienze concrete, «in ogni caso, se vogliamo avviarci verso la decarbonizzazione escludendo il nucleare, le coperture non bastano e nemmeno i terreni già antropizzati», conclude.
Anche Sergio Ferraris, direttore di QualEnergia, sembra andare in questa direzione: «Il fotovoltaico a terra serve, non ci si può opporre a questo. Oggi si possono realizzare impianti utility scale con un impatto decisamente minore rispetto a quelli delle annate 2007-2011, anche in termini di logistica. La maturità del fotovoltaico e delle nuove tecnologie ha fatto sì che in Italia in media si riesca a produrre a 6 centesimi per kWh, in altri Paesi come Cile e Messico si arriva anche a 2 centesimi kWh, il prezzo più basso del mondo».
Qual è il punto? «Con i pannelli installati sui tetti non riesce a scendere sotto i 12 centesimi a kWh, perché la logistica dell’impianto è decisamente più costosa. Certo, per un condominio va bene comunque a 12/13 centesimi kWh rispetto al prezzo pre-crisi che si aggirava intorno ai 21/22, quindi il costo è comunque inferiore di un 40%. Non va bene però per il mercato».
Secondo Ferraris è estremamente importante rendersi conto dell’enorme quantità di rinnovabili di cui abbiamo bisogno oggi e di cui avremo bisogno a breve termine: «Soprattutto se puntiamo a convertire all’elettrico sia l’abitativo, con piastre a induzione e pompe di calore, e la mobilità, con auto elettriche, serviranno grandi impianti e di questo è importante esserne consapevoli».
«Nello scenario di decarbonizzazione il fotovoltaico ha un ruolo importantissimo, anche distribuito, anche small», sottolinea Luca Marchisio, responsabile della strategia di sistema di Terna. «Parlando di numeri, sui tetti ne faremo anche 300.000 all’anno invece di 100.000 come adesso, ma arriveremmo forse a 15.000 MW nell 2030, gli altri 70.000 MW li devi fare in qualche altro modo». Dopo un esercizio di mesi, Terna ha localizzato tutte le richieste di connessione, provando a stimare quelli che potrebbero essere i criteri per la definizione delle aree idonee.
«Siamo giunti alla conclusione che da un punto di vista tecnico la disponibilità del suolo non è un problema, perché se consideriamo che in Italia dall’ultimo censimento Istat la superficie agricola non utilizzata per alcuno scopo è pari a 1,2 milioni di ettari, convertendo l’intera superficie agricola non utilizzata oggi in Italia si potrebbe decarbonizzare l’Europa. Se anche assumessimo solo un 10% della superficie agricola non utilizzata, l’Italia raggiungerebbe facilmente i target del 2050», spiega Marchisio.
Ed è notizia recente che FAI – Fondo Ambiente Italiano, Legambiente e WWF abbiano pubblicato un report che evidenzia il fatto che pannelli fotovoltaici e pale eoliche possano “anzi debbano convivere con il paesaggio italiano”. La questione è più che mai aperta – pochi giorni fa abbiamo pubblicato una riflessione sul tema – e verte su un documento dal titolo Paesaggi rinnovabili, 12 passi per una giusta transizione energetica, che spiega come cambiare strategia energetica, abbandonando le fonti fossili e abbracciando le rinnovabili, con un occhio di riguardo alla pianificazione paesaggistica.
Sul documento si legge: “Per sua natura il paesaggio viene modellato nel tempo, dalle attività umane e dai fenomeni naturali“. Secondo le tre associazioni, il paesaggio è decisamente “ferito” dalla crisi climatica: ecco perché, per “rinnovarlo” in modo sostenibile dal punto di vita culturale, sociale e ambientale servono regole condivise, competenze aggiornate, procedure e strumenti efficaci. Sarà questo, quindi, il paesaggio italiano del prossimo futuro?
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