22 Dic 2022

Gli ex spazi industriali rigenerati possono diventare i nuovi generatori di comunità?

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti

I luoghi urbani rigenerati, spesso ex spazi industriali, fabbriche o edifici abbandonati, stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nei grandi centri cittadini, ma non solo. Possono diventare nuovi attrattori culturali, luoghi di incontro e ibridazione, persino spazi in cui ricostruire la comunità? La rete Lo Stato Dei Luoghi è il "luogo" giusto dove porsi queste domande. Il 16 e 17 dicembre si è ritrovata a Roma per la sua seconda assemblea. Noi c'eravamo e vi raccontiamo cosa è successo.

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Roma, Lazio - È l’assenza di socialità che annichilisce gli spazi collettivi nelle città o l’assenza di spazi che mortifica la socialità? Un interrogativo forse un po’ troppo “marzulliano” per essere l’incipit di un articolo, ma centrale per comprendere lo stato dei luoghi, oggi. Lo Stato dei Luoghi, con le maiuscole, è anche il nome di una rete che unisce gli spazi rigenerati a vocazione culturale italiani, frutto del recupero di spazi industriali o di altra natura.

Il 16 e 17 dicembre a Industrie Fluviali – un magnifico spazio rigenerato, ex lanificio, a pochi passi dal Tevere, nel quartiere Ostiense di Roma – si è svolta l’assemblea annuale della rete, chiamata “Abitare lo stato dei luoghi”: una riunione atipica e creativa, che nella sua prima parte è stata aperta al pubblico e ai giornalisti, mentre nella seconda – quella riservata ai soci – ha ospitato workshop e momenti co-generativi. Ci siamo stati per cercare di capire qual è lo stato dei luoghi oggi, in particolare di questi spazi rigenerati, e quale ruolo possono avere nel rigenerare la società nel suo complesso.

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Foto di Eliana Giaccheri
LA RETE

Le nostre città sono cambiate profondamente e continuano a farlo a ritmo crescente. Molti spazi industriali che un tempo ospitavano il tessuto produttivo cittadino sono stati abbandonati negli anni, quando le industrie si sono spostate in periferia o più spesso in altri Paesi dove il costo del lavoro è minore. Alcuni di questi luoghi abbandonati, enormi, ricchi di storia e architettonicamente molto belli hanno trovato una nuova vita, spesso votata alla collettività, diventando per l’appunto “spazi rigenerati”.

Molti di essi ospitano eventi, festival, arti performative e visive, musica, ma anche coworking, incontri, laboratori, multifactory. Ma che ruolo hanno questi spazi industriali rigenerati? Possono essere stimolo per la rinascita della socialità cittadina o persino di un senso di comunità spesso che si è perso nelle labirintiche metropoli contemporanee? Sono domande, e riflessioni, che necessitano dell’intelligenza collettiva per trovare anche solo dei principi di risposta.

“La Rete Lo Stato dei Luoghi – si legge sul sito – è composta da organizzazioni e persone che agiscono sull’attivazione di luoghi, gestione di spazi oppure sono coinvolte in esperienze di rigenerazione a base culturale nel nostro Paese. Lo Stato dei Luoghi dà priorità all’impatto complesso sulle comunità, risultato sinergico di offerte culturali, sociali, di aggregazione, artistiche, di solidarietà, imprenditoriali ed economiche. La Rete intende diffondere la conoscenza e promuovere l’avanzamento della discussione pubblica sui temi della rigenerazione urbana a base culturale”.

La rete, come ha illustrato in apertura la Presidente di Lo Stato dei Luoghi Roberta Franceschinelli, raccoglie 89 soci, di cui 65 sono realtà collettive, mentre i restanti sono soci individuali. Questi spazi rigenerati si concentrano per lo più nel Nord Italia, forse per via del tessuto industriale più diffuso che ha caratterizzato quell’area geografica negli anni passati. Quasi tutti beneficiano di contributi economici esterni – quasi tre su quattro –, che spesso sono fondi pubblici e ospitano complessivamente – e questo forse il dato più impressionante – quasi 2 milioni di persone l’anno

L’INCONTRO

«Sono state due giornate importanti, ricche di apprendimenti e stimoli non solo per le socie e i soci della rete, ma speriamo anche per i progettisti, le organizzazioni e le istituzioni romane presenti», ha commentato a Italia che Cambia Roberta Franceschinelli. «In questo momento culturale, sociale ed economico, abbiamo sentito prepotente l’esigenza di riunirci e confrontarci, attivando forme di intelligenza e saggezza collettiva per riflettere su quali possano essere il ruolo della cultura e dei luoghi che abitiamo, quali le fragilità di cui prenderci cura, quali i processi di rigenerazione e radicamento sui territori che accolgono e generano inclusione». 

E in effetti, almeno a giudicare dall’incontro molto partecipato e dai contenuti emersi dai due panel, il confronto e l’intelligenza collettiva si sono quantomai accesi, offrendo spunti di riflessione sul presente e il futuro non solo degli spazi rigenerati, ma delle nostre città e persino società.

La sfida adesso, per gli spazi rigenerati ma non solo, è quella di trasformare queste bolle in un sistema più articolato, in grado di modificare la società nel suo complesso

Giovanni Caudo, docente di Urbanistica all’Università Roma3, ha sottolineato ad esempio, come questi spazi rigenerati debbano «dialogare con il contesto in cui si trovano», per fuggire al rischio di diventare isole felici in quartieri degradati. Sabina De Luca del Forum diseguaglianze e diversità ha mostrato come gli spazi, spesso enormi, riqualificati possono diventare luoghi dove esprime forme d’arte accessibili anche a – o ancor meglio, pensate per – persone con disabilità. 

IL RUOLO DEL PUBBLICO

Un peso specifico importante all’interno dell’assemblea è stato dato al settore pubblico. Dei dieci relatori che hanno preso parte ai due panel iniziali, quattro erano in rappresentanza di qualche ente pubblico – dal Comune di Roma alla Regione Puglia, all’Anci, al Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane. Il motivo è presto detto: questi spazi svolgono una funzione pubblica, hanno bisogno di una legittimazione pubblica e spesso di un’assegnazione pubblica e in diversi casi usufruiscono di finanziamenti pubblici. 

Insomma, il settore pubblico ha una grande responsabilità nel facilitare la nascita e la sopravvivenza di questi spazi. Tuttavia, il suo ruolo è costantemente in via di ridefinizione. Come ci ha spiegato Daniela Patti, relatrice all’incontro e co-fondatrice di Eutropian a Roma e Vienna – organizzazione che supporta la collaborazione fra pubbliche amministrazioni e cittadinanza –, oltre ai finanziamenti il pubblico potrebbe fornire formazione sulla sostenibilità: «C’è un forte tema di sostenibilità economica: questi spazi spesso non hanno una sostenibilità economica propria e in questo il settore pubblico potrebbe aiutare erogando corsi di formazione». 

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Foto di Eliana Giaccheri

Inoltre, il meccanismo stesso dei finanziamenti tramite bandi comporta alcuni rischi, come quello di favorire dinamiche competitive a discapito della necessaria collaborazione fra le realtà simili dello stesso territorio: «Spesso, anche a causa dei meccanismi di finanziamento pubblico, c’è più competizione che collaborazione. Al contrario si potrebbe partecipare a bandi collettivamente ed erogare servizi in partenariato. Il pubblico potrebbe fare la sua parte con i bandi, richiedendo clausole di collaborazione». 

In questo presente così sfuggente e mutevole ci siamo abituati a pensare che tutta la società sia caratterizzata da una cultura individualista e competitiva, plasmata da un’economia neoliberale in cui ogni singola relazione deve essere determinata dal libero flusso di denaro. Eppure a ben guardare siamo circondati da bolle in cui le cose sembrano funzionare in maniera – almeno parzialmente – diversa. La sfida adesso, per gli spazi rigenerati ma non solo, è quella di trasformare queste bolle in un sistema più articolato, in grado di modificare la società nel suo complesso.

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