Alle pendici dell’Etna un incontro di reti e associazioni promosso da Chiarìa per una Sicilia in cambiamento
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Catania - Provo a dar forma a emozioni e umori muti di voce umana. Rientrata a casa dopo un’esperienza comunitaria di tre giorni nel bosco ho voce di muschio, foglie croccanti e humus. Intuizioni vegetali mi attraversano: sento radici profondissime, intrecciate indissolubilmente con alberi, felci, licheni, funghi, compagne e compagni umani con cui ho condiviso questo viaggio.
Cosa sia successo durante questi tre giorni è difficile da spiegare: sono stupita, scossa e rigenerata come non lo ero da tanto tempo. Scorre un’energia nuova. Ancestrale e potentissima. La respiro. In attesa che affiorino pensieri e parole capaci di governarla, vi racconto chi sono i protagonisti di questa storia e come sono arrivati nel bosco di Carrinu.
Lo scorso 16 ottobre un migliaio di persone di tutte l’età e oltre 30 associazioni hanno celebrato il loro profondo legame con la Terra a Viriditas, forze Vitali in Festa, il primo e unico festival italiano sull’Ecologia Affettiva, organizzato dalla mia amata Chiarìa APS. Viriditas ha raccolto intorno a sé le forze vitali di donne e uomini folli e visionari, dando vita a una precisa visione: trasformare la Rete di associazioni e realtà che si occupano di ambiente, territorio, educazione, produzione locale, comunità, arte e cultura in una Famiglia.
Come farlo? Penso che il cambiamento che ognuno sta compiendo nella propria vita e intorno a sé possa avere una portata rivoluzionaria adottando un linguaggio e una visione comune, che ci riconosca come un unico organismo. Ciò può essere realizzato solo se come un unico organismo ci si sperimenta. In modo concreto. Ecco l’idea di una tre giorni di immersione nel Bosco in un rifugio vicino all’antico nonno Ilice di Carrinu.
Una tre giorni in cui confrontarsi e parlare di bisogni, desideri, esperienze, paure, idee, fra tecniche primitive di sopravvivenza in natura, camminate notturne nel bosco, ShinrinYoku, progettazione partecipata, pranzi e cene condivise, yoga al risveglio e sogni sognati sotto lo stesso tetto e su letti a castello, per essere più vicini alle stelle.
Eravamo in 15. Arrivati per ragioni diverse e con diverse aspettative. Ogni sovrastruttura personale si è sgretolata lentamente, come le foglie caduche degli alberi, mischiandosi al terreno dell’Altro. Il gruppo si è presto trasformato in nutrimento, dando ad ognuno ciò di cui aveva bisogno. Bisogni che, forse, neanche si sapeva di avere.
Ci siamo messi in cerchio e abbiamo parlato di noi e delle nostre associazioni per oltre sei ore di fila, accolti dal rifugio, mentre fuori pioggia e nebbia proteggevano tutto: parole, lacrime, emozioni, speranze, obiettivi comuni, progetti presenti e futuri da costruire insieme. Ciò che abbiamo vissuto e condiviso ha superato di gran lunga la visione che ci aveva portato fin lì.
Per quanto riguarda la mia personale esperienza, è stato il tempo di tre vite. Pensavo che avrei guidato il gruppo verso una più profonda conoscenza reciproca e verso la profilazione di un progetto concreto da costruire insieme. Ho presto capito che il fine ultimo non ero quello. Anche io ero lì per ragioni altre.
Sono stati tre giorni trasformanti, sia sul piano individuale che di gruppo. Abbiamo toccato livelli di profondità e di elevazione altrettanto stupefacenti. Il Bosco sa e ha compiuto la magia. Di certo ci siamo conosciuti in modi che in ambiente urbano avremmo raggiunto forse dopo anni di frequentazione. Abbiamo parlato dei progetti delle nostre realtà associative come fossero già progetti del gruppo.
Abbiamo intrecciato le nostre radici e creato un cerchio sacro di fiducia e ascolto che ha reso possibile l’affiorare di ferite antiche e spazi di guarigione profonda, che ha disintegrato paure e dubbi personali, che ci ha fatto attraversare il bosco come fossimo bambine e bambini di sei anni, alla ricerca del sentiero dorato.
L’immagine più potente che porto con me è quella dell’accensione del fuoco sacro. Era la prima sera, c’erano freddo e umidità, la legna era bagnata. Danilo ci ha mostrato come accendere il fuoco con l’archetto primitivo. Fratello Fuoco si è fatto attendere. Lo abbiamo dovuto chiamare con la nostra voce più profonda: in modo naturale si è creato un silenzio antico intorno al rituale condiviso.
La preziosa, minuscola brace che infine ci si è donata, ognuno l’ha sentita “sua”. A turno è stata alimentata quella scintilla primitiva. Ognuno ha nutrito il Sacro Fuoco con il proprio legno. Poche le parole. Tanto il calore. Forte il sentire. In un tempo senza tempo. Avremmo potuto essere ovunque e ovunque eravamo. Ognuno di noi lo sapeva anche se non sapeva dirlo.
Danilo, Salvuccio, Salvatore, Cristina, Michela, Salvo, Ilaria, Luana, Rosangela, Nino, Stefania, Valeria, Elisa, Rosanna, prendiamoci cura di questo fuoco come lui ha avuto cura di noi. Teniamo viva la sua voce e la sua bocca aperta a nuova legna, ‘che possa allargarsi questo primo nucleo caldo. È stato bellissimo sentirvi parlare del “nostro” nome. Voler costruire una narrazione e un senso intorno alla parola Famiglia. Grazie. Che questa “Famiglia di Linfa” cresca rigogliosa e ricca di biodiversità, come il saggio bosco che ci ha curato in questi giorni. Vi sento scorrere dentro. Dalle radici alla chioma.
Chiara Trifilò
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