Ricicla il tuo cellulare, la campagna internazionale portata avanti da una diciannovenne pugliese
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Lecce, Puglia - Quanti di noi sanno cosa c’è dentro un cellulare, ma soprattutto dietro al suo processo produttivo? Telefoni, tablet e smartphone sono costituiti da minerali rari di cui l’Africa è ricca, in particolare il bacino del fiume Congo, habitat anche di animali a rischio estinzione.
Il coltan in particolare ha costi ambientali elevatissimi: intere foreste vengono disboscate per accedere alle miniere, i cui spazi sono angusti e dove quindi non è possibile utilizzare macchinari, ma solo picconi e pale, motivo per il quale vengono sfruttate le mani dei bambini, anche molto piccoli. In queste aree, prima inaccessibili, è difficile sopravvivere; ecco perché si pratica il bracconaggio con conseguenti danni alla fauna locale.
Come mai il coltan è così ambito? Perché porta un notevole risparmio energetico e ottimizza la durata della batteria. Nel mondo di oggi, quindi, è estremamente prezioso. E se invece di estrarlo e averlo ex novo si riuscisse a recuperare da vecchi telefoni esausti o in disuso? Ne ho parlato con Alessandra Abruzzo, una giovane studentessa di medicina al San Raffaele a Milano che da anni è promotrice della campagna internazionale Ricicla il tuo cellulare, del Jane Goodal Institute Italia. Alessandra è anche una delle giovani changemakers GEN C, selezionate dall’Agenzia Nazionale per i Giovani e da Ashoka di cui Italia che cambia è mediapartner.
Alessandra, raccontaci questa campagna internazionale di cui sei portavoce.
Ricicla il tuo cellulare è una campagna per sensibilizzare le persone sul corretto smaltimento di telefoni che non si usano più. Ognuno di noi in casa ne ha tantissimi, anche vecchi, spenti da anni, dimenticati in un cassetto. La buona notizia è che si possono riciclare, consegnandoli nei diversi punti raccolta che l’istituto ha aperto in Italia.
Ogni punto poi spedisce ciclicamente il pacco – una volta raggiunto un quantitativo pari ad almeno una decina di chilogrammi, all’incirca un centinaio di pezzi – alla sede di Roma che, in collaborazione con un’azienda partner, si occupa della suddivisione dei materiali di cui i telefoni sono composti – vetro e acciaio per esempio – e del loro corretto smaltimento.
Proprio in questa fase avviene l’importante recupero dei minerali, soprattutto oro, stagno e coltan, la parte più critica. L’estrazione di questi minerali distrugge l’ambiente in diversi modi: dal bracconaggio, con conseguenti danni alla fauna locale, alle foreste disboscate, passando per lo sfruttamento del lavoro minorile. Lì i lavoratori non hanno diritti, sono senza sindacati.
Ecco perché riciclando il proprio cellulare – un gesto che a noi non costa niente – possiamo contribuire a ridurre l’inquinamento, perché il recupero di minerali nella produzione di nuovi dispositivi richiederà un dispendio minore di energia e, quindi, una minore quantità di gas serra emesso. La manifattura di un materiale riciclato richiede molta meno energia ed è anche minore l’energia che viene utilizzata nelle attività minerarie per il trasporto e la lavorazione delle materie prime.
E come si fa?
Per prima cosa si cerca il punto di raccolta più vicino a casa e si consegna il proprio cellulare inutilizzato. Oltre a fare un regalo all’ambiente, grazie ai proventi di questa raccolta, il Jane Goodall invia indumenti, libri e materiale scolastico ai bambini orfani dell’istituto Sanganigwa, in Tanzania – che in lingua locale significa “benvenuto” – permettendo loro di poter studiare e ricevere ciò di cui hanno bisogno.
Come sei diventata promotrice di questa iniziativa?
Tutto è nato ormai diversi anni fa, quando ero in quinta ginnasio. Una mattina venne nel nostro liceo la biologa Daniela De Donno che fece una lezione aperta, interessantissima per me. È lei la fondatrice del Jane Goodall Institute Italia, un’organizzazione di protezione ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, impegnata in Africa e in Italia in diversi progetti di conservazione incentrati sullo sviluppo delle comunità locali, per la tutela della natura e degli scimpanzé e per la promozione di un’educazione alla sostenibilità e di un’etica civile.
Quella mattina ti si è aperto un mondo…
Sì, continuavo a pensare e ripensare a quelle parole. Qualche giorno dopo l’insegnante di scienze chiese chi di noi fosse interessato a realizzare un video sull’ambiente da inviare all’istituto. Io dentro di me ero entusiasta, ma siccome nessuno alzava la mano, rimasi in silenzio. Una volta suonata la campanella mi avvicinai alla professoressa e le manifestai la mia adesione. Da lì ho iniziato pian piano il mio percorso da attivista, finché sono stata coinvolta nella campagna internazionale sui cellulari esausti.
E come ti sei mossa sul tuo territorio, che è la Puglia?
Ho contattato sia sindaci che assessori e membri del consiglio comunale, ma anche musei e attività commerciali. E tantissime scuole, dove con un’altra volontaria, abbiamo raccontato il progetto ai ragazzi.
Come hanno risposto gli studenti?
La prima reazione è stata curiosità: non se l’aspettavano che in un cellulare ci fossero tutti quei minerali, di cui non avevano nemmeno mai sentito il nome. Non è immediato rendersi conto che il telefono che hanno nello zaino o nella tasca dei jeans non proviene semplicemente da un negozio di elettronica, ma fa un lungo viaggio che parte dall’Africa prima di arrivare nelle loro mani. Abbiamo parlato, quindi, dell’inquinamento e dello sfruttamento dell’ambiente che caratterizza la catena che compone la produzione di cellulari e dispositivi elettronici.
E se chi legge volesse diventare promotore della campagna nella propria regione o nella propria città come potrebbe procedere?
Innanzitutto ogni aspirante volontario può mandare una mail all’istituto per capire come iniziare e come muoversi. Ci sono diverse attività che può portare avanti: per prima cosa può istituire un nuovo punto di raccolta, nei comuni, nelle scuole – solitamente dalla secondaria in su – o nei negozi e intraprendere così un’opera di sensibilizzazione sul tema nella propria comunità.
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