L’arte nel mondo: ecco come la creatività rende liberi
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La teologia postmoderna di Matthew Fox è una teologia della liberazione, che recupera l’elemento mistico del cristianesimo come forza positiva e rinnovatrice. Pone la cosmologia come chiave dell’incontro tra scienza, misticismo e arte basata sul sentire, sull’esperienza del bello. Per comprendere questo, è necessario abbracciare una prospettiva estetica e aprirsi a una mente poetica.
Parlare di spiritualità quindi significa parlare della nostra esperienza olistica del tutto: la mente poetica è una mente ampliata e la visione estetica è una visione naturale, finalizzata alla libertà, che passa attraverso l’intensificazione delle sensazioni ed emozioni del corpo. Si tratta di una esperienza pura di ciò che è, così come è: un sì alla vita, senza i filtri delle categorie concettuali della mente. Tutta l’energia e tutta la bellezza divengono immagine, sogno, imago animae, proiezione e puro affidarsi.
Si apre così una finestra sull’infinito: l’arte è una esperienza di soglia e l’artista uno sciamano, un mistico. Risvegliare la creatività è una possibilità potente di riappropriazione, anche senza mezzi, della nostra libertà naturale per diritto di nascita! L’arte è una forma di meditazione, “un modo di vedere il mondo e di lasciarsi vedere dal mondo”. (Fox, 2015, pag.59). Perciò “recuperare la nostra fede nella creatività e nell’artista che è dentro ognuno di noi, e negli artisti professionisti che vivono attorno a noi, non è cosa da poco. Ha a che fare, infatti, col riaccendere la scintilla di speranza e visionarietà, di avventura e di benedizione che è necessaria ad una civiltà stanca”. (Fox, 2011, pag.226).
Il mio scrittore preferito, l’irriverente Tom Robbins, descrive altrettanto bene nella sua raccolta Le anatre selvatiche volano al contrario. Racconti e scritti vari che “sotto sotto, è probabile che tutti noi sappiamo che il nostro vero scopo è una specie di evoluzione mistica, una fusione con la divinità e nell’amore”, tuttavia ammetterlo è dover riconoscere falsi miti, dogmi religiosi, ambizioni sociali, machiavellici castelli di carte e giochi finanziari di una società strutturata essenzialmente per organizzare, dirigere e gratificare gli impulsi di massa, verso prodotti specifici di consumo.
Cosa esiste che possa essere di nutrimento alle zone silenziose dell’uomo, in quanto individuo? Forse proprio spinta da questi limiti, mi piace conservare un entusiasmo allegro e fiducioso e trasmetterlo anche agli altri nel fare esperienza “di noi stessi”: un universo affascinante e sconosciuto tranne che per qualche sprazzo di vera e sferzante lucidità! Credo che la domanda fondamentale sul senso ultimo della nostra vita, sia il rumore di fondo che ci spinge a intraprendere dei percorsi di ricerca personale.
Questa domanda, quasi fosse un mantra, risuona nel mio cuore; occorre riappropriarsi della sacralità di qualsiasi momento vissuto, felice o doloroso che sia, o almeno ampliare l’anima, liberare lo spirito e accendere la mente. Possiamo fare esperienze, goderci il viaggio ed evolvere con consapevolezza e volontariamente verso una condizione esistenziale più saggia e luminosa. Mi riconosco anche io goffamente in tutte le contraddizioni dell’animo umano e in questi maldestri tentativi di elevarmi, per fare un piccolo volo di gallina e poi precipitare nel fango dell’aia in mezzo ad altri pennuti poco esperti, come il pollo del messaggio di Anthony De Mello, che era un’aquila ma non lo sapeva…
L’alternativa altrimenti, per una come me, ispirata da La vita comune di Dietricht Bonhoffer e simpatizzante per Dioniso, è scegliere dei buoni amici e godere della compagnia degli altri nella comunione del cibo: davanti a una spaghettata abbondante di sugo e a un bicchiere di vino senza solfiti, si può praticare il più antico dei riti di fratellanza.
Oppure la wilderness: scegliere di immergersi nei boschi, come insegnava David Maria Thoreau in Walden o lo Shinrin Yoku giapponese, oggi di moda; la più alta spinta alla libertà e all’innocenza, la fragilità e la gioia irrefrenabile e sacra della somma vitalità possibile, alla ricerca dell’equilibrio e del vero Io, riconoscendosi parte della Natura. Il paradosso ormai non mi crea più imbarazzo e non mi sconcerta: lo vivo e ci respiro dentro.
Per questo comprendo come sia difficile “essere consapevoli” e fare scelte consapevoli e azioni consapevoli. L’essere umano è per lo più un essere conflittuale e contraddittorio, che anela alla semplificazione, alla serenità e alla pace, alla difficile sintesi degli opposti. Per questo arduo compito, l’umorismo è espressione di intelligenza e aiuta a camminare nel mondo più leggeri. Voglio credere fortemente nella “poesia” della vita, nella bellezza e nel mistero. E il resto, poco importa! La vita così com’è! Il mondo così com’è! L’illuminazione è premio a se stessa.
E l’arte? L’arte è la sintesi perfetta di tutto questo: ci pungola a essere svegli e concentrati sulla meraviglia che è dentro di noi e nel mondo che ci circonda e non ha regole, come l’amore. Rende la percezione fresca e vitale. Solo un artista libero, ribelle alle istanze sociali e che si fa medium delle forze archetipiche, può realmente trasmettere qualcosa di significativo. Lo fa proprio perché non ha scopo, se non quello di coinvolgere i sensi: il sussulto emancipatore dell’inutilità, mossa da ispirazione, cura l’artista stesso e un po’ questo mondo e l’anima collettiva.
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