16 Nov 2022

Taranto chiama, l’Italia risponde?

Scritto da: Daniel Tarozzi

Taranto è una città simbolo per noi di Italia Che Cambia. Fin dal 2012 abbiamo letteralmente lasciato il cuore e l’anima in questo luogo meraviglioso e maledetto, straziato da decenni di malesseri fisici, economici e psicologici causati dalla peggior gestione politica ed economica che il nostro Paese possa raccontare. Rosy Battaglia – a cui va tutto il nostro appoggio – ha deciso di realizzare un documentario incentrato su questo tema.

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Taranto, Puglia - “Il dolore non muore mai”. Queste cinque parole le ho incise a fondo nel cuore e nella pelle. Le ho scritte circa dieci anni fa, dopo aver visitato Taranto e aver conosciuto Alessandro Marescotti, Piero Mottolese e tante altre persone che “grazie” all’ex-Ilva si sono ammalati o hanno perso i propri cari. Qui sotto vi propongo la rappresentazione teatrale di questo testo attraverso la presenza magistrale di Fabrizio Bartolucci. Per favore guarda il video prima di andare avanti.

Quando ho scoperto che la mitica Rosy Battaglia – tra le pochissime giornaliste italiane che stimo immensamente – aveva deciso di dedicare un film alle vicende di Taranto ho esultato di gioia. Rosy infatti è una reporter genuina, una che si informa, una che approfondisce, una che pone domande, una che fa “scelte sbagliate” e viene premiata dai risultati.

Rosy, quindi, è una giornalista vera. Questo film, di cui ora vi parlerò, arriva come terzo capitolo delle sue Storie resilienti, una serie di approfondimenti che ha deciso di dedicare alle tematiche “ambientali”. I primi due docu-inchiesta sono stati  “La rivincita di Casale Monferrato” (2018) e “Io non faccio finta di niente” (2020) sulle lotte civiche di Brescia.

Si legge sulla pagina di Produzioni dal Basso che presenta il documentario:

“Che cosa è davvero sostenibile per la vita umana? E cosa significa agire per la sostenibilità ambientale tra pandemie e guerre? […] Oggi, il costo della mancata transizione ecologica italiana ha il volto delle bambine e dei bambini di Taranto. Quelli che non ci sono più e quelli affetti da tumori, leucemie e dall’ impoverimento delle capacità intellettive a causa della respirazione di polveri metalliche. Sono loro a pagare il prezzo dell’inquinamento di un insediamento produttivo, collocato irresponsabilmente accanto al centro della città dei due mari, antica capitale della Magna Grecia. Dove nei giorni di vento, i “wind days”, i minerali coprono di rosso ogni cosa e hanno persino impedito a bambini e bambine di andare a scuola e giocare all’aperto.Lo scorso 5 maggio, la Corte Europea per i Diritti Umani ha condannato lo Stato Italiano per ben quattro volte, dopo la sentenza del 24 gennaio 2019, in quanto ‘continua ancora oggi a non tutelare la salute dei cittadini dagli effetti delle emissioni nocive del siderurgico e non procede alle bonifiche di tutta la zona coinvolta dall’inquinamento’.”

“Taranto chiama” sarà il racconto di un presente e di un futuro possibile alla scoperta del vero oro della città di origine spartana.

Diamo quindi la parola a Rosy.

Cosa unisce Brescia, Casale Monferrato e Taranto?

Sono alcune delle comunità più contaminate di Italia. Qui la violazione di diritti umani e ingiustizie ambientali è più forte. Ho costruito quindi una drammatica trilogia attraverso tre comunità che ho seguito fin dalla nascita di Cittadini reattivi, ormai dieci anni fa. Sono storie che nonostante la durezza, hanno un risvolto positivo. Voglio dare spazio al futuro, alla speranza. 

taranto chiama rosy battaglia
Rosy Battaglia
Perché proprio adesso Taranto?

La sceneggiatura dei miei documentari la scrivono gli eventi. Nel 2019 ci fu la prima vittoria dei cittadini di Taranto presso la corte per i diritti umani. A gennaio 2022 l’ONU pubblica un rapporto in cui Taranto appare come una delle zone più contaminate delle terra, zona di sacrificio. Taranto chiama noi perché ha bisogno di giustizia e di uscire dall’oscurità dell’informazione italiana, ma ha anche bisogno di un futuro che la città stessa sta disegnando. Alessandro Leogrande disse che il riscatto della città poteva avvenire attraverso piccoli gruppi di persone di buona volontà, focalizzati intorno a una ricostruzione. E questo processo è in atto, ci sono tanti segnali in questo senso.

Cosa pensi possa contraddistinguere questo tuo lavoro da altri che stanno girando sullo stesso tema?

Il taglio che sto dando è diverso, la chiave del nostro lavoro è questo legame tra il nord e il sud. Un viaggio che parte da Trieste e arriva a Taranto, attraverso un gesto forte di solidarietà tra le due comunità vessate: durante la pandemia infatti venne chiusa la ferriera di Trieste e l’associazione Basta ferriera si sciolse devolvendo i suoi proventi a Peacelink e ai genitori tarantini. Fu un gesto illuminante, di una forza umana potentissima. 

Hai deciso quindi di attivare un crowdfunding…

Sì e sta andando bene! Sono abbastanza fiduciosa, la comunità sta rispondendo. Penso che il futuro della sostenibilità italiana passi dalla risoluzione di Taranto. Si parla tanto di decarbonizzazione, ma per Taranto non si fa nulla. Il documentario quindi riguarda tutti e tutte noi. Chiedersi cosa sia sostenibile per la vita umana è importante nei confronti delle mamme dei bambini lombardi che si ammalano per il troppo inquinamento, di quelle mamme di Taranto, di Gela, di Acerra, di Brescia.

Abbiamo un’Italia ancora troppo contaminata, ora vogliono far ripartire le centrali a carbone. A Taranto stanno cercando di uscire da questo modello, quello fossile, e il nostro documentario vuole raccontare sia quello che è già successo e succede ancora, sia la resilienza dei tarantini. Loro sono un esempio per tutti noi,  ecco perché penso che bisogna conoscere a fondo la loro storia. 

Per saperne di più clicca qui.

Italia che Cambia è mediapartner del documentario

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