#8plus AGRICOLTURA – Biologico e filiera corta come alternativa al cibo industriale
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Ancona, Marche - Delle storie incontrate durante il viaggio del 2012 che abbiamo scelto di riproporvi durante il nostro decennale c’è anche quella di Bruno Sebastianelli, che nel 1980 ha dato vita alla cooperativa agricola biologica La Terra e il Cielo. La diretta prevista il 16 settembre da Arcevia, nelle Marche, è saltata a causa di un violento nubifragio che ha causato la morte di 12 persone e ingenti danni all’economia agricola locale. Anche la Terra e il Cielo ne ha risentito. A distanza di quasi due mesi Daniel Tarozzi, Andrea Degl’Innocenti e Bruno Sebastianelli si sono ritrovati “virtualmente” per approfondire tematiche cruciali e immaginare un nuovo mondo.
Tanti i temi affrontati, a partire dal cambiamento climatico che sempre più spesso si manifesta con fenomeni considerati ancora straordinari, ma ahimè ormai ordinari. Nell’agricoltura, nel modo in cui l’uomo ha sfruttato la terra per produrre il cibo che dovrebbe nutrirci e non indebolirci si trovano molte ragioni di questa involuzione. Lo sa bene Bruno Sebastianelli che, in tempi non sospetti, ha intrapreso uno stile di vita ispirato all’antroposofia, a Steiner, alla tutela dell’ambiente, del suolo e dell’uomo.
«La bomba d’acqua di settembre non esiste negli annali della storia delle Marche, un terreno fertile riuscirebbe a trattenere queste grandi quantità per poi rilasciarle piano piano. Noi abbiamo sempre cercato di presidiare al meglio il territorio, rispettando e tutelando la grande biodiversità. Dal 1980 facciamo agricoltura biologica, trasformiamo e commercializziamo i prodotti della nostra filiera, che è controllata e tracciata sul mercato. Il cibo industriale, che io definisco “convenzionalizzato”, manca di valori nutrizionali, di vitamine, di ferro e di tutto ciò che dovrebbe nutrirci. Un sistema di questo tipo non solo produce cibo spazzatura, ma affossa le piccole aziende agricole».
Da anni la cooperativa La Terra e il Cielo cerca di trovare alternative valide a un sistema economico che favorisce la grande distribuzione. L’avvento del biologico industriale, molto distante per ideali e qualità dai prodotti realizzati dalla cooperativa, ha comportato un grande danno. Già nel 2014 è nata la Rete Humus, una rete nazionale che cerca di mantenere e sostenere il biologico “vero” attraverso i gruppi di acquisto solidale sparsi sul territorio. La rete ha monitorato i terreni degli associati che conservano un tenore di sostanza organica pari al 2,8%, mentre la media nazionale si attesta a poco più dell’1%.
«È fondamentale fare “cultura del cibo”. Se andiamo al supermercato a comprare un pollo da 3 euro pensiamo di aver risparmiato, ma non è così. Mangiamo una bomba chimica, oltre a nutrirci della sofferenza dell’animale, senza considerare i costi ambientali, sociali e sanitari altissimi. Per fortuna i consuma-attori sono sempre più numerosi. Il biologico che troviamo nella grande distribuzione è industriale e convenzionale. Bisogna eliminare la burocrazia: il tecnico deve controllare ciò che fa l’azienda e non solo le carte».
Bruno e i soci della cooperativa infatti stanno cominciando a valutare nuovi modelli di garanzia certificata, soprattutto per il mercato locale. I consumatori sono chiamati a visitare le aziende produttrici per toccare con mano come si lavora, quali sono le condizioni dei lavoratori e le materie prime utilizzate. Durante gli anni ‘90 era essenziale la figura del distributore unico che potesse fornire i negozi sparsi nel territorio. Oggi con la crisi che incombe e i costi sempre più alti è necessario accorciare la filiera, servire direttamente il consumatore se si vuole mantenere la qualità e permettere a tutti di nutrirsi di cibo buono.
«La piccola azienda è più elastica, sopporta meglio le crisi, ma non si può accettare di speculare sul cibo, è un crimine all’umanità», osserva Bruno. «Si parla di sovranità alimentare, ma un paese come l’Italia non potrà mai essere completamente indipendente perché ha una superficie agricola molto ridotta a seguito di una cementificazione selvaggia. Dobbiamo prestare attenzione anche all’informazione quotidiana: a giugno i media dicevano che mancava il grano, e quindi la pasta, a causa della guerra in Ucraina, ma il grano duro, quello che serve per produrre la pasta, arriva dal Canada».
Secondo Bruno stiamo attraversando una tempesta perfetta che favorisce le grandi multinazionali e demolisce le piccole medie imprese, ma come dimostra la storia ogni crisi è anche un’opportunità di rinascita e rinnovamento: «Grazie alla pandemia e alla crisi siamo a un passaggio epocale, sta cambiando il mondo nel giro di pochi mesi. Stiamo assistendo al crollo della globalizzazione ed è giusto così perché un mondo fondato sulle guerre e sulle speculazioni non può generare qualcosa di nuovo».
Effettivamente le food coop sono sempre più numerose, così come le CSA e i DES. Si sperimentano nuove forme e nuovi modelli che tutelano i territori e i piccoli produttori anche attraverso la creazione di reti. Bruno ha contribuito a creare il Patto adesso Pasta, a cui hanno fatto seguito anche il Patto adesso Grana, grazie all’azienda caseificio Tommasoni, il Patto adesso la pummarola napoletana, con la Buona Terra, e sta per nascere anche quello con le arance e l’olio di Rosarno. Un esempio di economia solidale che permette di dare sostegno e forza ai produttori e ai consumatori, ormai sempre più responsabili e attenti anche ad un prezzo trasparente che “racconta” la filiera e la storia del prodotto.
«Il consumatore deve sapere che la nostra pasta ha una essiccatura lenta di 24 ore mentre le altre paste biologiche in commercio di appena qualche ora. Da decenni la grande industria ha aumentato la produzione abbattendo i tempi e i costi e distribuendo un prodotto privo di proprietà nutritive. Abbiamo riscoperto le vecchie varietà di grani antichi. Grazie anche al lavoro di Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, due grandi genetisti, sono stati miscelati grani di tanti paesi. La pasta prodotta con questi grani è eccezionale anche dal punto di vista nutrizionale e può mangiarla anche chi ha intolleranze. Il nostro sogno nel cassetto è abbandonare i grani moderni», continua Bruno.
«Mi auguro che tra dieci anni possiamo raccontare un mondo di pace, un’economia solidale che ha dato risposta al cambiamento climatico e un risveglio spirituale di cui abbiamo tanto bisogno. Dobbiamo dare spazio ad altri valori e non solo al denaro. Resto comunque fiducioso e sono certo che qualcosa di buono verrà fuori», conclude Bruno Sebastianelli. Non resta che darci appuntamento tra dieci anni con Daniel, Andrea e Bruno. Noi ci saremo e voi?
Clicca qui per leggere l’articolo sulla puntata di Un viaggio lungo dieci anni dedicata all’agricoltura biologica.
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