2 Nov 2022

Dal Guatemala agli Stati Uniti, il sogno impossibile di Wilson nelle mani di un coyote

Scritto da: Guglielmo Rapino

Un giovane appena maggiorenne, una piccola comunità nel cuore del Guatemala, un traguardo lontano e difficile da raggiungere e un traghettatore senza scrupoli. Guglielmo Rapino, cooperante di AMKA Onlus a Nuevo Horizonte, ci racconta la storia di Wilson, che è quella di centinaia, migliaia, di giovani guatemaltechi che inseguono un sogno spesso impossibile da afferrare.

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La prima volta che ci ha raccontato del suo viaggio da clandestino verso gli Stati Uniti era steso su un’amaca di stoffa bianca nel nostro salone di casa e si lasciava dondolare con un ritmo lento, scandendo ogni sillaba con un fare disinvolto e piano, come se stesse snocciolando il racconto di una qualche vacanza esotica.

Wilson è uno dei diciannovenni più vispi della comunità di Nuevo Horizonte. Pupille strette e fronte larga, spesso corrugata da un sorriso pieno di vita. Sin dal nome porta con sé il lemma di una tensione famigliare verso il paese nordamericano. Wilson come la marca di articoli sportivi, Wilson come chissà quale attore apparso sulla copertina di una rivista di gossip sfogliata dalla mamma durante la gravidanza. All’età di diciassette anni, nel pieno di una pandemia che stava immobilizzando mezzo globo, viene affidato a un coyote di mezza età, a dire dei vicini di casa affidabile e puntuale.

Wilson a Nuevo Horizonte 2
Wilson a Nuevo Horizonte

I coyote sono figure a metà strada tra crimine e salvezza, che nel grigiume di una storia antica di migrazione illegale si occupano di garantire che la traversata dell’intero Messico e dei due confini che separano il Guatemala dagli Stati Uniti avvenga in maniera sicura. Possono arrivare a richiedere fino a trentamila dollari per il servizio. Le famiglie contraggono debiti insostenibili con parenti e strozzini per pagarlo.

Una volta raggiunto il paese, il migrante ha il compito di saldare il debito con il proprio salario da muratore o lavapiatti. Il pagamento è anticipato. Ci sono coyote che garantiscono fino a tre tentativi di viaggio, altri che si fermano a uno. Se per qualche motivo chi viaggia viene deportato di nuovo in Guatemala perde tutto e resta schiacciato da un debito che termineranno di pagare i propri figli.

Wilson è stato bravo. In quindici giorni riesce a raggiungere il confine con gli Stati Uniti, attraversando l’intero Messico in bus di fortuna notturni e camminate interminabili ai bordi di strade secondarie, illuminato dal fascio debole di una luna calante. Arrivato al confine con il Texas aspetta quattro giorni chiuso in uno stanzino con altre quaranta persone provenienti da vari paesi del Centro America. Al segnale del coyote, attraversa finalmente il confine davanti allo sguardo accondiscendente di un doganiere corrotto e s’incammina alla volta di Dallas per raggiungere il fratello emigrato due anni prima.

La principale fonte di PIL del Guatemala è costituita dalle rimesse dei famigliari che si sono trasferiti in maniera illegale negli Stati Uniti

Arriva a cinque ore di macchina dalla sua casa, con la sensazione di aver finalmente raggiunto un orizzonte atteso per mesi. Lì, una coppia di ranger incuriositi dalla t-shirt annerita dai troppi chilometri lo ferma e comincia a chiedergli dove sia diretto. Wilson tenta di srotolare una delle risposte suggerite dal coyote durante il corso d’inglese d’emergenza tenuto nei quattro giorni chiusi nello stanzino in Messico. La pronuncia, le pupille così giovani, i vestiti sgualciti dal viaggio non lasciano spazio a grandi dubbi.

Lo portano in un centro d’identificazione e dopo una settimana chiuso in un albergucolo di fortuna con altre decine di minori stranieri viene messo su un aereo e spedito senza troppi complimenti a Città del Guatemala. «Mi ricordo ogni istante di quel volo. Ho pianto tanto. Ero a sole cinque ore da mio fratello. Ci pensi, cinque ore?! Chissà dove sarei adesso. E poi il coyote si è tenuto tutti i soldi del viaggio e i miei stanno ancora pagando il debito. Appena metto due spicci da parte ci riprovo a partire».

La principale fonte di PIL del Guatemala è costituita dalle rimesse dei famigliari che si sono trasferiti in maniera illegale negli Stati Uniti. Soprattutto nelle comunità rurali, la linea di confine tra chi ha un parente nel paese nordamericano e chi no è evidente a prima vista: i primi hanno case di cemento con tv satellitare, i secondi capanne in legno senza servizi igienici.

Nella storia di Wilson è tratteggiata con nitida crudezza la storia di un paese intero, sospeso nell’attesa dell’unico sviluppo possibile lontano da casa. Sin dall’infanzia, l’idea di partire un giorno come migrante per lavorare in una qualsiasi città degli Stati Uniti è un mantra da custodire e rendere realtà. L’adolescenza diventa il periodo in cui ci si prepara al viaggio. Finita la scuola si racimolano i soldi e via a cercare fortuna.

AMKA lavora da anni per creare un’alternativa di vita efficace all’interno delle comunità guatemalteche. Attraverso i progetti di sostegno alle attività economiche e la distribuzione di piante fruttali, mira a rinvigorire un tessuto economico non ancora dissolto e fornire gli strumenti di crescita basilari per dare ai più giovani quantomeno la possibilità di scegliere dove radicare il proprio domani.

Vivaio AMKA Petatan

Al termine del racconto chiedo a Wilson se è sicuro di voler partire di nuovo, se non intravede una possibilità diversa lì, tra le strade della sua terra. Con il gruppo di volontarie da poco arrivate a Nuevo Horizonte abbiamo avviato un corso di formazione sui principi economici di base e gli strumenti aziendali necessari per avviare una propria attività. Wilson è uno dei partecipanti più coinvolti. «Sarebbe bello poter restare. Qui ho la famiglia, gli amici e anche la mia ragazza. Magari ci penso, potrei utilizzare i soldi che sto mettendo da parte per aprire qualcosa di mio. Non so bene ancora cosa ma chissà, potrebbe funzionare».

Lascia cadere queste ultime parole con un tono leggermente più basso del normale, a cavalcioni sull’amaca ferma. Poi si ristende e torna a dondolarsi come a voler cullare quell’idea tanto stramba. Un paio di mesi più tardi Wilson non si è visto più. Dopo qualche giorno di silenzio, gli amici della squadra di calcio mi hanno confessato che è partito verso il nord per raggiungere il fratello. Ancora.

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