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Nella prima puntata del podcast Atupertu il nostro direttore Daniel Tarozzi ci ha condotto in un viaggio di ricerca sui possibili modi di sopravvivere alla crisi della democrazia e di creare alternative. L’ha fatto insieme ad Andrea Degl’Innocenti – giornalista esperto di modelli di governance e co-fondatore di Italia che Cambia –, Tiziana Barillà – giornalista e scrittrice, autrice di libri incentrati sulle esperienze di municipalismo e comunalismo a Riace e Spezzano – e Selva Varengo, ricercatrice indipendente e studiosa del pensiero politico contemporaneo, autrice de La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, con contributi speciali tratti dal repertorio di Giorgio Gaber.
COSA NON FUNZIONA DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA?
Negli ultimi vent’anni l’astensione dell’elettorato italiano cresce a ogni elezione; è significativo, ad esempio, il dato delle elezioni regionali in Emilia Romagna, con una affluenza del 30% di votanti. Ma non è solo l’Italia a essere in crisi. In Inghilterra il Governo non trova pace, Bolsonaro contesta l’esito delle elezioni brasiliane, così come Trump si era barricato dentro la Casa Bianca. Nel mondo occidentale la democrazia dà segni di cedimento. Come mai? Quella che conosciamo è l’unica forma di democrazia possibile? Come ricorda Gaber, dal 1945 in Italia esiste la democrazia rappresentativa, ma di fatto non sappiamo a chi deleghiamo la nostra rappresentanza.
È un modello nato nell’800 quando, con la fine di alcune monarchie, ci si interrogava sui modi migliori per gestire i neonati Stati. «Già all’epoca questa forma permetteva di mantenere il diritto di decidere della cosa pubblica all’interno di una cerchia ristretta, un’oligarchia. Poi nel tempo sono stati introdotti i partiti, i macro schieramenti storici, che hanno complicato ulteriormente le cose, cercando di lavorare su singole istanze. Un approccio riduttivo rispetto alla complessità della società che non è in grado di trovare soluzioni che tengano conto di tutti i problemi», spiega Andrea Degl’Innocenti.
C’è un connubio tra democrazia rappresentativa ed economia di mercato che regge fino a quando l’economia cresce e ci sono risorse per tutti. A un certo punto il meccanismo si inceppa – come sta accadendo adesso – e non funziona più. Gli interessi del mercato che vuole crescere non corrispondono agli interessi della popolazione e i profitti non vanno d’accordo con i diritti. Le risorse vengono indirizzate, la classe politica tende a dividersi tra movimenti populisti e governi tecnici senza riuscire a progettare il futuro. Ricorrere ai referendum può essere utile, visto che in passato hanno permesso di raggiungere importanti traguardi?
«I referendum possono davvero essere strumenti partecipativi, ma vanno preparati. Estendere il voto a un numero più esteso di persone non è sinonimo di democrazia; è importante invece il processo che c’è dietro, la reale comprensione del problema. Il voto in sé non ha tutto questo valore, lo ha se arriva alla fine di un processo. Dopo aver esplorato le varie posizioni esprimo il mio parere informato. La forza del referendum dipende dal tema su cui viene applicato», conclude Andrea.
QUALI SONO LE ALTERNATIVE? LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA
La democrazia deliberativa è un insieme di strumenti che si basano su una serie di assunti; non prevede elezioni – già di per sé causa di dinamiche poco democratiche – e ricorre a meccanismi come il sorteggio. L’assemblea deliberativa viene usata, ad esempio, dai ragazzi di Extinction Rebellion per discutere i temi della questione climatiche.
Questo modello si affida a un gruppo eterogeneo di persone scelto tramite sorteggio che, attraverso metodi decisionali e di facilitazione, cerca di comprendere la radice dei problemi. In una prima fase istruttoria si colma la lacuna di competenza invitando gli esperti a parlare; è un passaggio molto dialettico, con l’idea di cercare di esplorare più a fondo la questione. Procedimenti del genere servono a rinforzare ad esempio le tesi che sostengono i referendum: un processo che informa la popolazione a essere più consapevoli delle controindicazioni di ogni scelta.
L’ESPERIENZA DEL MUNICIPALISMO E DEL COMUNALISMO
Tiziana Barillà, scrittrice e giornalista calabrese, racconta le esperienze di due comunità della sua regione – Riace e Spezzano Albanese – come forme alternative al sistema democratico oggi in vigore. Nel primo caso la vicenda di Mimmo Lucano, un sindaco eletto per tre mandati consecutivi in una terra dimenticata e diventato un simbolo; nel secondo caso invece un’esperienza di municipalismo libertario esterno alle istituzioni che ha trovato forme di auto-organizzazione della società con la nascita dell’associazione Federazione Municipale.
«Di solito si pensa al Governo come qualcosa che necessariamente deve essere calato dall’alto. Conoscere questi esempi, capire cosa non ha funzionato per correggere anche il tiro dà la misura dell’importanza del lavoro sulla prossimità tra le persone, sull’autenticità dei rapporti, sul governo di beni comuni», spiega Tiziana.
«A Riace la persona, l’idea, il progetto e l’intero processo collettivo sono stati “ridotti”, a seguito di una battaglia mediatica, a un semplice modello di accoglienza – tra l’altro criminalizzato –, a una forma di leaderismo, mentre si tratta di un modello di municipalità libertaria, un modo di governare un territorio da un punto di vista sociale ed economico nuovo. Peccato non essere riusciti in tanti anni a rendere sostenibile questo modello al di fuori dei finanziamenti pubblici e del sistema».
Il caso di Spezzano Albanese è diverso. Nel dopoguerra il paese veniva chiamato “la piccola Russia” perché era sempre governato dal partito comunista. Ideali che hanno portato alla nascita di un Comune corrotto a cui si è contrapposto un movimento anarchico – Federazione Municipale – con una struttura totalmente orizzontale.
Un sistema collettivo di persone che non prevede la presenza di un sindaco, un segretario o un direttore e che si affida a qualcuno che conosce meglio un tema per la risoluzione dei problemi, discutendo apertamente senza logiche di profitto. Sono entrambi modelli replicabili? «Credo che in potenza esistano molte esperienze di questo genere. Bisogna sottrarre potere al potere, ma non per averne altro, ma per eliminare tutta la quantità di potere che ha inquinato la nostra società», conclude Tiziana.
L’ESPERIENZA DEL CONFEDERALISMO E IL PENSIERO DI BOOKCHIN
Secondo Selva Varengo, ricercatrice indipendente, bisogna partire dal presupposto che il mondo in cui viviamo non è l’unico possibile. Sarebbe possibile organizzarsi a livello sociale, politico ed economico in modo differente. «In questi anni abbiamo assistito a proposte di democrazia partecipativa diretta, ma non vi era quella radicalità che prevede che chiunque prende parte alle decisioni e l’assemblea abbia un pieno totale potere decisionale».
Per poter realizzare delle assemblee popolari è importante e necessario un processo e un lavoro di educazione e di autoeducazione alla consapevolezza che va acquisita nel tempo: «Un esercizio che potrebbe cominciare al livello territoriale, di quartiere. Se le comunità e le persone che ne fanno parte si rendessero conto di poter partecipare e prendere in mano la propria vita e i propri territori, si appassionerebbero. L’esempio del Kurdistan è significativo: qui da diversi anni portano avanti una pratica forte di democrazia diretta e di confederalismo», sottolinea Selva.
Grazie all’influenza del pensiero di Bookchin, nonostante un contesto di guerra e di repressione, sopravvivono pratiche di confederalismo democratico basato sulla democrazia diretta, le assemblee popolari, la questione di genere. Bookchin, di cui oggi si riconosce sempre di più il valore e la forza del suo pensiero, aveva individuato una stretta connessione tra questioni ecologiche e questioni sociali e posto l’accento sull’importanza di scardinare la logica gerarchica per creare una società diversa, una società ecologica.
«Il nostro sistema economico non potrà mai diventare un sistema ecologico perché si basa su forme di sfruttamento e di accumulazione incompatibili con l’ecosistema. Credo sia necessario una presa di consapevolezza, recuperare pratiche solidali, cooperative e di sostegno reciproco, valorizzarle e poi riporle al centro per ripensare in modo orizzontale le dinamiche sociali, personali e ad alti livelli».
«Nelle giovani generazioni ci sono una grande sensibilità e una grande consapevolezza della crisi ecologica e della crisi sociale in atto, ma la soluzione si può trovare solo attraverso una forte rottura con il presente, un lavoro di consapevolezza e un impegno sociale e collettivo perché, non dimentichiamolo, facciamo parte di un cerchio», conclude Selva.
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