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Crotone - Canzone manifesto e allo stesso tempo chiara fotografia di un territorio e della sua gente: è Crotone il singolo che vale a Dalen l’esordio da cantautore solista. Cantante polistrumentista, documentarista e con all’attivo numerose collaborazioni artistiche in Italia e all’estero, Dalen affida al suo primo brano il racconto di una città, Crotone, riprendendo le fila aggrovigliate dei ricordi, le storie dei suoi abitanti, di chi è sopravvissuto alla devastante alluvione dell’ottobre 1996 e la tragedia di chi ha perso qualcuno in quel fango che ciclicamente divora le strade della città calabrese, inonda le case, distrugge ogni cosa, senza che ormai quasi più nessuno ne faccia memoria.
Dichiarazione d’intenti e “canzone d’urgenza” come viene definita a più riprese dallo stesso autore, dalla prima uscita lo scorso giugno, Crotone ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti. Ha aperto a Dalen la strada verso le semifinali di due famosi contest musicali – Music For Change e Musica contro le mafie – fino a valergli il primo posto per voto popolare su oltre ottocento artisti provenienti da tutta Italia. Da lì sono nate diverse collaborazioni importanti, da quella con Alex Britti a quella con Brunori Sas, i Matia Bazar, Joe Bastianich e Raiz.
Disponibile online e in radio già dal 14 ottobre, esattamente ventisei anni dopo la più violenta delle alluvioni che ha colpito il capoluogo calabrese, Crotone è per Dalen l’inizio di un progetto artistico più ampio, imbevuto della rabbia e della rassegnazione di una città e dei suoi abitanti, che traspaiono verso dopo verso. La chiave di lettura è già nel titolo: Crotone come il nome della città in cui Dalen è nato e da cui, come spesso capita, è andato via. Crotone come l’acqua mista a fango per cui si muore. Crotone come terra dell’abbandono, in cui la vita ricomincia nonostante le cicatrici. Scopriamo dalle parole di Dalen com’è nato questo singolo d’esordio e quali ricordi l’hanno portato a scriverlo.
Dalen è il tuo nome d’arte, Crotone il tuo brano d’esordio. Ma prima di questo, raccontaci come sei arrivato alla musica.
È un nome d’arte che sta quasi diventando come un nome proprio. Diciamo che nessuno sa chi è Dalen [sorride, ndr]. Sono nato a Crotone, ma ho vissuto in tante città diverse, in Italia e all’estero, tra Europa e Stati Uniti. New York, Irlanda, Scozia, Francia, Inghilterra, Galles e una parentesi a Berlino. Ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni nell’autunno del 2020, poco dopo essere rientrato in Italia. Ma non chiedermi l’età.
D’accordo, non parliamo d’età. Non mi sorprende in un paese in cui si è considerati giovani per un tempo spropositato e poi immediatamente troppo vecchi.
Mettiamola così: sono negli anni più belli, quando non si è più tanto giovani e neppure troppo adulti [si affretta a precisare, ndr]. Qui in Italia veniamo molto spesso giudicati in base all’età e alla fine preferisco che non mi dicano nulla, né che sono troppo giovane, né che ho la testa di un cinquantenne. Il giudizio infernale sull’apparenza credo sia uno dei drammi dei nostri tempi e di questo paese.
Non voglio essere inquadrato in alcun clichés e quindi preferisco che si sappia il meno possibile su di me. Persino l’idea di intitolare il mio primo brano Crotone ha incontrato diversi giudizi contrari. Qualcuno mi ha persino scoraggiato ad aprire la mia carriera da solista con un brano intitolato così. Ma io sono nato qui e per me non c’era titolo più adatto di Crotone. E quindi, ancora una volta, ho seguito la mia testa. E Crotone è stata.
E la musica, quando è arrivata nella tua vita?
Prima di essere un musicista – autodidatta e anche abbastanza incostante – sono un affamato divoratore di cultura. Ho lavorato come documentarista, fotografo, trovando sempre spazio nella mia vita per il teatro e la poesia. Ho condotto delle ricerche di etnomusicologia in Calabria per una docente della Università Humboldt di Berlino, assecondato i miei interessi più vari e dissetato la mia curiosità. Non ho mai smesso di scrivere e suonare strumenti musicali diversi: ne ho persino costruiti di nuovi.
Da quando ho iniziato a scrivere canzoni, ho riabbracciato la chitarra, che avevo imparato a suonare molti anni prima, ma che non avevo più toccato. In tutto questo girovagare e nella varietà di professioni in cui mi sono cimentato negli anni, la musica è sempre stato il luogo in cui ho voluto abitare. La musica è mia madre.
Veniamo al tuo singolo, Crotone. Come nasce la canzone?
È nata con la stessa immediatezza della rabbia. Quel sentimento che si prova di fronte all’ingiustizia sociale. La canzone è venuta così, in un attimo. Poi ci ho lavorato a lungo. E anche poco prima che uscisse, ci sono tornato tante volte. Ma la necessità di scrivere il brano è venuta da un fulmine di rabbia.
Mi trovavo a Crotone a novembre 2020, quando c’è stata l’ultima grave alluvione che ha colpito la città. Da poco rientrato in Italia, avevo deciso di andare a vivere tra i boschi silani e a Crotone ci capitavo solo di passaggio. Era il 21 novembre 2020, una giornata d’autunno come le altre. Poi ha iniziato a piovere, ma non c’era nulla che lasciasse presagire il disastro. Eppure in poche ore l’acqua ha raggiunto le maniglie delle automobili. Ero proprio lì in mezzo e sono dovuto andar via il più in fretta possibile.
Nella canzone canti di un’alluvione: “Piove, non è acqua ma terrore”. Cosa ricordi di quel giorno?
Ho ancora impressa la scena di una donna che doveva attraversare la strada per raggiungere la porta di casa propria e l’acqua le arrivava fino alle ginocchia. In quel momento ho provato una grande rabbia. E l’impotenza che gli abitanti di Crotone provano tutte le volte che la città si allaga. Accade almeno una volta l’anno, ormai è una cosa endemica. La canzone non parla di un’alluvione specifica. Quella che si ricorda di più è sicuramente l’alluvione di ventisei anni fa, quando l’acqua ha raggiunto il primo piano delle abitazioni e sono morte sei persone.
E dell’alluvione di ventisei anni fa cosa ricordi? Chi ti ha aiutato a riprendere le fila della memoria?
Ricordo le immagini in televisione e che le linee telefoniche erano saltate, quindi non si riusciva a comunicare con la propria famiglia né con gli amici. Di quel giorno tutti ricordano la paura di non sapere come stessero i propri cari, perché era impossibile raggiungerli. E poi ho parlato con chi ha salvato i propri vicini di casa o gente per strada. Un signore mi ha raccontato di quando, bloccato sul balcone di casa, ha iniziato a lanciare degli oggetti per bloccare l’automobile che stava percorrendo la strada completamente sommersa dall’acqua. Ho conosciuto chi si è salvato e chi purtroppo in quell’alluvione ha perso qualcuno. Da qui l’urgenza di raccontare queste storie.
Perché Crotone è una canzone d’urgenza?
Volevo che il brano fosse una fotografia di tutte le alluvioni che hanno colpito e continuano a colpire la città e soprattutto i suoi abitanti. Sono loro che dopo il disastro spalano il fango dalle cantine, dalle case, dai negozi. Sono loro che buttano la merce, che aspettano invano dei risarcimenti che quasi mai arrivano. Questa è Crotone: tra le prime tre o quattro canzoni che ho sentito di scrivere come canzoni d’urgenza, appunto perché raccontano storie che se non venissero cantate resterebbero sommerse. Nessuno se ne ricorderebbe.
La canzone nasce dall’acqua, mista al fango. E dentro c’è rabbia, sfiducia, rassegnazione.
Crotone è una canzone nata nell’acqua, è figlia del liquido amniotico della città stessa, il liquido di quell’alluvione che ha causato un sacco di problemi e soprattutto il senso di impotenza in chi abita questi luoghi. In quel momento, per la rabbia [colto dall’alluvione del 2020, ndr], avrei voluto bere l’acqua che stava inondando Crotone: avere il potere di risucchiare il fango da cui eravamo circondati.
E poi certo, c’è la rassegnazione di abitare un territorio nelle mani delle cosche, abbandonato all’usura del tempo, in cui crollano gli edifici dei servizi essenziali. La rassegnazione degli abitanti è quella di chi è andato via pur essendo rimasto. È la rassegnazione verso un territorio con il più alto tasso di abbandono in Europa. L’impotente arresa di fronte all’emorragia di giovani e di quelle intelligenze che potrebbero fare qualcosa per questa terra. E invece, per tanti motivi, vanno via.
Quali cicatrici sono rimaste dopo ventisei anni?
Ce ne sono tante e non solo sulle case.Vorrei però che non si trasformassero di nuovo in ferite. Che fossero lo spunto per cambiare le cose. Bisognerebbe trasformare un anniversario commemorativo in qualcosa di più. Servizi, qualità della vita: dovremmo ripartire dai bisogni di tutti. Qui abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo, è questo ciò che dovremmo reclamare.
E dopo Crotone, ci sono altri progetti in cantiere?
Mi piacerebbe che uscissero degli altri singoli e poi magari un disco. Continuo a scrivere, ma nel momento in cui ho scritto Crotone c’erano solo la mia rabbia e il senso di impotenza buttati su un foglio di carta, con delle note. Per me la scrittura è qualcosa di molto intimo: non pensavo affatto che qualcuno avrebbe mai ascoltato questa canzone. Mi piace osservare, molto. Guardare alle cose piccole, perché è in quelle che ho sempre trovato la chiave per decifrare le più grandi. Anche le altre canzoni che ho scritto raccontano la verità – o almeno provano a farlo – senza mai girarci troppo intorno.
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