23 Nov 2022

Si è conclusa la COP27: l’analisi e le considerazioni di chi c’era

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Ogni anno le speranze di concludere finalmente accordi e avviare azioni capaci di risolvere, o quantomeno mitigare, la crisi climatica si infrangono contro il muro di inerzia e colpevole negligenza dei potenti della Terra. Secondo chi ha partecipato ai lavori di COP27, questo è ciò che si è verificato anche quest'anno. Ma dall'Egitto arrivano anche importanti indicazioni per il futuro dell'attivismo ambientale.

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«Ancora una volta non c’è stato alcun impegno a tagliare le emissioni che stanno accelerando la crisi, senza le quali questo accordo non è altro che un anticipo sul disastro. Nessun osservatore esperto ritiene che il mondo sia oggi più vicino ad affrontare seriamente l’emergenza climatica. Anzi, la vera eredità della COP27 potrebbe essere quella di smascherare il vertice sul clima per quello che è diventato, un gonfio circo itinerante che si allestisce una volta all’anno e dal quale emergono solo parole».

Sono queste le crude osservazioni con cui il professore emerito di geofisica e clima alla Harvard University Bill McGuire ha commentato la conclusione della COP27, il vertice sul clima delle Nazioni Unite. Alcuni nostri corrispondenti erano a Sharm el-Sheikh, dove si è svolto l’evento, e ci hanno mandato delle osservazioni sull’esito tutt’altro che incoraggiante dei negoziati e sul clima politico egiziano, al centro di numerose polemiche sia prima che durante la COP.

LA SITUAZIONE IN EGITTO

«Essere in un paese come l’Egitto, dove gli attivisti per il clima vengono incarcerati, non è stato facile. Essere a COP27, dentro i padiglioni, è stato come vivere in una bolla», ci racconta Roberta Bonacossa, Presidente e Co-Fondatrice Change For Planet. «C’è stato spazio per piccole proteste sui temi della giustizia climatica e della decarbonizzazione, ma con poche centinaia di persone. Non è stato come vivere l’energia travolgente e la voce rivoluzionaria dei 200.000 partecipanti alla manifestazione di Glasgow durante COP26. È mancata quella condivisione che unisce le persone in una lotta comune, ma è proprio questa che fa paura».

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“Siamo stati sorvegliati?”, si chiede Roberta. «Forse. C’era personale di “supporto tecnico” ovunque, anche informale all’interno dei padiglioni, avevamo una SIM egiziana per poter comunicare facilmente e avere accesso a internet. Si percepiva di non essere in Europa, in un contesto di libertà di espressione. Noi eravamo a COP27 per seguire i negoziati, non abbiamo fatto gli attivisti e non avremmo potuto farlo. Penso che dovremmo essere consapevoli del privilegio che abbiamo quando possiamo scendere in strada a manifestare, ma soprattutto a ricordarci che non per tutti è così».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Roberto Barbiero – climatologo dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente – e Paulo Lima, Presidente dell’Associazione Viração&Jangada: «“Non c’è giustizia climatica senza i diritti umani”: questo è il forte richiamo della Dichiarazione dei popoli alla COP27 sottoscritta dalle principali organizzazioni non governative ammesse come osservatori della COP27», osservano . «Loro hanno sottoscritto il documento per lanciare un forte richiamo al rispetto dei diritti umani e lo ha fatto rivolgendosi ad un Paese, l’Egitto, che mantiene in carcere molti attivisti, politici ed esponenti della società civile reprimendo la libertà di espressione».

L’ESITO DEI NEGOZIATI: LOSS AND DAMAGE

Entrando nel merito degli output prodotti dai lavori di COP27, i toni non possono certo essere più ottimistici. Roberto Barbiero e Paulo Lima ci aiutano a esaminare ciò che è accaduto: «Dopo due settimane di lavoro le conclusioni della Conferenza sono riassunte da una serie di decisioni adottate e presentate in una sessantina di documenti, tra i quali spicca il Sharm el-Sheikh Implementation Plan che ne rappresenta il quadro di riferimento. La portata complessiva di queste decisioni richiede del tempo per essere analizzata in dettaglio ma è già possibile fornire una prima valutazione soffermandoci in particolare sull’Implementation Plan».

Secondo loro, il risultato più importante, che potrebbe essere definito storico, è la creazione di un Fondo sulle Perdite e Danni, cioè per gli impatti prodotti dai cambiamenti climatici nei paesi in via di sviluppo e più vulnerabili. Si tratta di un grande successo frutto della spinta della coalizione dei Paesi emergenti del Gruppo G77 e di un importante lavoro dietro le quinte della Cina. Si prevede che il fondo possa diventare operativo entro la COP29 e serviranno altre tornate negoziali per definire il meccanismo di finanziamento e di distribuzione delle risorse.

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Meno positiva è la lettura fornita da Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia: «L’accordo sul Loss&Damage, cioè sulle perdite delle persone e i danni alle cose provocati dagli impatti della crisi climatica, è un passo positivo, ma rischia di diventare un “fondo per la fine del mondo” se i Paesi non si muoveranno velocemente per ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5°C. Non riuscendo a inserire nessun riferimento nelle decisioni finali della COP27, i leader hanno perso l’occasione di accelerare l’eliminazione dei combustibili fossili: così continueremo ad andare dritti contro il muro delle conseguenze più catastrofiche della crisi climatica».

MITIGAZIONE DELLE EMISSIONI

Anche Barbiero e Lima puntano il dito contro l’inazione sul fronte della mitigazione, cioè degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas serra: «Si è mantenuto vivo, cosa non scontata fino all’ultimo, l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature globali entro +1,5°C rispetto all’era pre-industriale (siamo già a +1,1°C) e si riconosce la necessità di una riduzione delle emissioni del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019».

Eppure la COP27 doveva essere la COP dell’implementazione «con l’impegno preso a Glasgow lo scorso anno di rivedere gli impegni nazionali volontari di riduzione delle emissioni di gas serra (NDCs) perché fossero in linea o quantomeno con una traiettoria compatibile con lo scenario +1,5°C. Pochi Paesi hanno tuttavia rinnovato i propri impegni e tutto è rimandato al 2023. Nessun riferimento nel testo al picco emissivo globale da raggiungere entro il 2025, come suggerito dall’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), e nessun passo avanti sull’uscita definitiva dai combustibili fossili (“phase out”) mentre rimane un timido phase down, uscita graduale, dal carbone».

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La manifestazione di Glasgow durante la COP26

«Senza tagli rapidi e profondi alle emissioni non potremo limitare l’entità delle perdite e dei danni, che deve essere il nostro primo obiettivo. Non possiamo permetterci un altro vertice sul clima come questo. È inaccettabile che i Governi non si muovano e che i negoziatori non siano riusciti a raggiungere un accordo più ambizioso di quello concordato a Glasgow lo scorso anno. Le future presidenze della COP non possono ancora sprecare questa opportunità. Ora i governi devono raddoppiare gli sforzi per ridurre le emissioni e intraprendere la necessaria azione di trasformazione per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5°C. Il vertice COP28 del prossimo anno deve essere la COP della credibilità climatica», aggiunge Mariagrazia Midulla rincarando la dose.

CONCLUSIONI

Da un’esperienza del genere non possono che scaturire indicazioni importanti, in termini sia negativi che positivi. Roberta, delegata ed observer di Change For Planet per portare la voce dei giovani sulle tematiche ambientali, considera una sfida fondamentale coinvolgere le nuove generazioni nell’azione climatica: «Nell’accordo finale si sostiene la creazione di un “dialogo dei giovani sul clima” e si sottolinea l’importanza di un loro coinvolgimento nei negoziati, rilanciando però alle delegazioni nazionali per la creazione di processi più inclusivi».

«La COP resta un’occasione importante per prendere gli spazi che ci appartengono. Confrontarsi con personalità politiche per avanzare richieste. Il ruolo dei giovani all’interno dei processi partecipativi sarà sempre più fondamentale, ora bisogna continuare ad agire e chiedere ai Governi nazionali azioni concrete per il clima e per le future generazioni».

È inaccettabile che i Governi non si muovano e che i negoziatori non siano riusciti a raggiungere un accordo più ambizioso di quello concordato a Glasgow

«Nonostante l’esito di questo vertice dovremmo tutti trarre ispirazione dai potenti messaggi e dalla determinazione dimostrata dagli attivisti, dalle popolazioni indigene, dalla società civile e dai giovani che hanno fatto sentire la loro voce nonostante le condizioni difficili, rendendo ancor più evidente l’inadeguatezza dell’azione dei Governi», conclude Mariagrazia Midulla del WWF. «La crisi climatica colpirà persone e luoghi diversi in modo disomogeneo e quindi è probabile che porti a ulteriori disuguaglianze e ingiustizie all’interno e tra le nazioni. Ogni azione per il clima deve andare di pari passo con il miglioramento dei diritti umani e dell’equità».

Secondo Francesco Barbiero e Paulo Lima rimangono aperte diverse problematiche come ad esempio la questione dei diritti – umani, dei lavoratori, delle donne, delle popolazioni indigene –, tematiche trasversali e fondamentali che rendono inutile qualunque politica per il clima se non tenute in debita considerazione. «Molta strada c’è ancora da fare, il tempo disponibile è sempre meno e i prossimi mesi, non più anni, saranno cruciali per scelte che si fanno urgenti. Come ha sottolineato António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, nel suo discorso di apertura della COP27: “L’umanità ha una scelta: cooperare o morire. Si tratta di un Patto di Solidarietà Climatica o di un Patto di Suicidio Collettivo”».

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