I molti volti del concetto di “guerra” sui corpi delle donne
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Cuneo - Oggi è venerdì 25 novembre: Roma e molte altre città da nord a sud di Italia si preparano ai cortei che oggi e domani avranno inizio. Dall’altra parte del mondo intanto, dopo la morte di Mahsa Amini, la rivolta delle donne iraniane sta rimettendo al centro il concetto di autodeterminazione, trasformando la protesta in una rivoluzione.
Questo venerdì si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, affinché questa ricorrenza possa tenersi non uno solo, ma tutti i giorni dell’anno. Violenza sulle donne significa tante cose: non solo violenza fisica e psicologica, ma anche femminicidio, disparità tra uomini e donne sul lavoro, sfruttamenti nel campo dell’immigrazione, leggi che minano il diritto all’aborto, disoccupazione e dipendenza economica, mancanza di una cultura diffusa.
Riportiamo la riflessione del gruppo Non Una di Meno Cuneo, che anche oggi si impegna con il suo attivismo a fare dell’autodeterminazione un terreno di lotta e informazione che resiste alla violenza e scardina i binarismi. Le attiviste, con le loro parole condivise in un post su Facebook, ci ricordano che la lotta contro la violenza patriarcale non può prescindere dall’opposizione alle guerre sui nostri corpi. Ecco quali sono per loro i molti volti del concetto di “guerra”.
GUERRA E FEMMINISMO
«È la guerra che ha come scenario il chiuso delle case e delle relazioni, ma non è una guerra privata: è l’espressione terribile e estrema della violenza strutturale contro le donne e le libere soggettività. Dall’inizio del 2022 sono stati 91 in Italia i femminicidi, lesbicidi e transcidi».
«È la guerra combattuta sul campo, aperta dall’invasione russa dell’Ucraina, una guerra che ci coinvolge e ci riguarda tutte, non solo perché mai come ora la sentiamo vicina e incombente. Violenze, lutti, stupri, distruzione segnano le vite di chi fugge e di chi resta a seconda dei ruoli imposti e cristallizzati dal binarismo di genere, riducendo le donne a terreno di conquista».
«La guerra riapre in modo strumentale e ipocrita il tema dell’accoglienza in Europa su base etnica e identitaria occultando la realtà di sfruttamento e ricatto dell’immigrazione – soprattutto femminile – e rafforzando i già inquietanti criteri di merito per la selezione all’ingresso e per l’accesso alla cittadinanza sociale».
«È la guerra che ridisegna l’economia e il welfare in funzione del riarmo e della mobilitazione bellica e che cancella le priorità imposte dalla crisi economica, sociale e climatica. Carovita, disoccupazione, povertà sono l’altra faccia della siccità, dell’avvelenamento ambientale, della crisi alimentare, della pandemia tuttora in corso: colpiscono gli strati più fragili della popolazione, ma diventano effetti collaterali accettabili e si trasformano in armi contro povere, giovani, donne, migranti».
«Si concretizza nella guerra al reddito di cittadinanza, la cui platea è a maggioranza femminile, e che è già pesantemente condizionato e familistico; con il contingentamento energetico domestico a favore delle imprese; con l’enfasi sulla natalità come dovere civile ma senza alcuna previsione di investimento sui salari e sul welfare pubblico; attraverso la sostituzione dei diritti umani, sociali e civili con il merito come meccanismo di selezione che legittima e acuisce disparità, disuguaglianze e meccanismi di oppressione».
«È la guerra dichiarata ai nostri corpi desideranti e autodeterminati, che ne fa nuovamente un campo di battaglia. Violenza patriarcale istituzionalizzata e cultura dello stupro sono il presente da ribaltare. L’affermazione elettorale della destra antiabortista, razzista e ultraconservatrice porta al Governo chi in questi anni nelle amministrazioni regionali e in Parlamento ha negato l’accesso all’aborto chirurgico e farmacologico; la possibilità di autodeterminazione di donne e persone lgbtiaq+, anche nell’ambito dei percorsi di affermazione di genere».
«Una guerra che nega la violenza omolesbobitransfobica e che si oppone all’educazione alle differenze sessuali nelle scuole agitando lo spettro di una inesistente “ideologia gender”. A questa linea programmatica dà seguito l’istituzione del Ministero per la famiglia, la natalità e le pari opportunità affidato a Eugenia Roccella».
«L’attacco all’aborto legittima la violenza patriarcale nelle case, nello spazio pubblico, nei posti di lavoro e di formazione, in rete, nei media, riaffermando come principio la subalternità delle donne e delle persone con utero, e con esse delle soggettività non binarie e fuori norma». Oggi 25 novembre i gruppi di Non Una di Meno porteranno in piazza anche la voce di chi non ha più voce. Come sostengono, per fare dell’autodeterminazione un terreno di lotta in avanti, per fare dell’autodifesa una pratica collettiva di resistenza alla violenza.
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