Siccità, il futuro distopico immaginato da Paolo Virzì che potrebbe essere una realtà molto vicina
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Roma, Lazio - Il pianeta Terra si sta ribellando. La siccità sta diventato ormai un problema globale. Siano reduci da un’estate senza precedenti per temperature e scarsezza d’acqua. Il fiume Po ha segnato livelli di allarme idrico insoliti. L’acqua, un bene che è sempre stato dato per scontato, ora acquista un valore inestimabile da preservare.
Un gruppo di esperti riuniti in un’audizione della Commissione Ambiente (ENVI) del Parlamento Europeo ha dichiarato che entro il 2050 la siccità che sta attraversando l’Europa potrebbe diventare la norma, salvo attuare efficaci azioni di miglioramento. Il cambiamento climatico sta modificando diversi equilibri. Pensiamo a quanto accaduto di recente nelle Marche. In Italia, l’urgenza di garantire anche la sicurezza energetica è minata da una burocrazia farraginosa, che ha bloccato centinaia di progetti per energie rinnovabili. Quali soluzioni sta adottando la politica italiana, a parte fiumi di promesse e buoni propositi? Dove sono le pianificazioni e gli interventi a lungo termine?
Non bisogna però concentrarsi solo sull’Europa. È necessaria una cooperazione a più ampio raggio. È il caso, ad esempio, della crisi ambientale in Florida a causa dell’uragano Ian. In Cina, la prolungata siccità continua a prosciugare bacini e fiumi con pesanti effetti sulla distribuzione energetica e sulla produzione nelle fabbriche, costrette a fermare l’attività. In passato, il rischio della presenza di siccità e di ondate di caldo è stato sottovalutato. Le conseguenze sono tante, sia sui sistemi agroalimentari che sulle infrastrutture. Migliaia di ettari di foresta sono stati bruciati la scorsa estate negli Stati membri.
Piuttosto che stanziare fondi, ormai al limite, per rimediare a disastri già avvenuti, non sarebbe preferibile concentrarsi solo su investimenti mirati a evitare scenari economici e ambientali insostenibili? Dobbiamo anche fare i conti con la scienza. Ha perso di credibilità. Fin dai primi mesi della pandemia, tecnici ed esperti sono stati i protagonisti di una passerella televisiva, ognuno impegnato ad imporre la propria verità.
La percezione di una mancanza di autorevolezza e di una verità assoluta li ha messi quasi al pari dell’incalzante popolo degli influencer del web, spesso senza alcun titolo o qualifica. L’uscita dall’emergenza sanitaria ha pertanto comportato non poche conseguenze. L’uomo non si sente a proprio agio con l’imprevedibile perché sfugge al suo controllo. Quanto accaduto in questi ultimi due anni ne è la prova evidente. Le conseguenze psicologiche sono state devastanti e spesso invisibili. E continuano ad esserlo.
Siccità di Paolo Virzì è il primo film italiano che affronta l’emergenza climatica e la rappresenta come un fenomeno quotidiano, motivo per cui è destinato ad alimentare il dibattito sui temi dell’ecologia. La criticità ambientale si intreccia con il dramma sociale seguendo lo stile della commedia all’italiana, una sorta di mood dolceamaro. È un lungometraggio da proiettare nelle scuole. I giovani devono conoscere ciò che sta accadendo e le conseguenze di una noncuranza a livello politico e operativo. Sono loro il futuro.
Veicolare alcune realtà e messaggi attraverso il cinema è una valida e potente azione di educazione alla consapevolezza. Occorre però far germogliare in loro i semi degli ideali, della passione e della fiducia nella vita e nel domani. Sono figli di adulti stanchi, scoraggiati e demotivati e di una società che sembra confonderli e deviarli verso atteggiamenti nichilistici. Il film, prodotto da Wildside, è stato scritto in pieno lockdown da Paolo Virzì insieme a Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Giordano e onorato da un cast d’eccellenza tutto italiano. Molto gradita in particolare l’interpretazione di Valerio Mastandrea e Max Tortora. Non da meno quelle di Silvio Orlando e Claudia Pandolfi.
Siccità è stata presentata fuori concorso alla 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e ha ricevuto un’edizione speciale del premio Green Drop Award dedicato all’ecologia. Gli sceneggiatori ipotizzano una crisi climatica immaginaria che, alla luce dei fatti recenti, non è poi tanto lontana dalla realtà. Raccontano dunque la drammaticità di un futuro in bilico, un’aridità ambientale che finisce per rendere grette anche le coscienze di alcuni dei protagonisti, senza però mai perdere la speranza.
Siamo in una Roma dove la siccità, una nuova forma di epidemia e la disperazione sociale si intrecciano con le storie di personaggi a tratti bizzarri e complessi nella loro normalità, ma dannatamente umani nelle loro contraddizioni e mancanze. In balia di desideri, tristezze e speranze. Tutti esseri fragili, sofferenti, pieni di paure. Alcuni anche in preda alle allucinazioni. Uomini e donne che hanno difficoltà ad amare, a volersi bene, a essere sinceri con loro stessi e con gli altri. Incapaci di comunicare. Tutti alla ricerca di una redenzione.
Le piante, gli alberi, gli esseri umani si sono inariditi. Lo spettatore, fin dalle prime immagini, assorbe gli umori dei protagonisti, le tensioni di una città alla deriva e i disagi di una siccità prolungata. E poi spunta la figura del Papa, che prega affinché piova. Una sequenza che rievoca un avvenimento realmente accaduto. Il ricordo della sua preghiera, in piena pandemia, in una piazza San Pietro piovosa e completamente vuota. Nel frattempo tutti attendono che arrivi la pioggia, metafora della salvezza umana per tornare a respirare, a vivere, a sognare.
La siccità stravolge regole, abitudini, prospettive. Costringe i personaggi ad andare alla disperata ricerca di una goccia d’acqua sfidando le regole sociali. Induce le autorità a chiudere i rubinetti e varare nuove norme per il razionamento delle scorte. Al supermercato è vietato acquistare più di una confezione d acqua, non si possono innaffiare piante e chi decide di lavare l’auto rischia l’arresto. Le blatte che pullulano un po’ ovunque simboleggiano bene l’emergenza che la città sta attraversando.
Le macchina da presa punta l’obiettivo su piazze, appartamenti dei borghesi, case popolari, carceri, ospedali, studi televisivi. E lo fa con riprese fotografiche dal colore giallo seppia per rievocare una città brulla e polverosa. Una scelta vincente. La siccità, l’aridità, la sofferenza e l’inquietudine arrivano senza filtri al pubblico in sala e inquietano, angosciano, scuotono la sua tranquillità.
Anche le storie dei personaggi si susseguono, si alternano senza impedimenti mostrando la decadenza di una Capitale in balia di sé stessa. In un ambiente sociale sterile e desolante anche la lotta politica si spegne. L’ideologia muore di sete e lascia il posto a una battaglia antisistema che ricorda le proteste di chi , fino a qualche tempo fa, gridava no al vaccino e al green pass.
E poi ci sono passaggi che accennano agli influencer, ai nuovi media, agli esperti che diventano personaggi televisivi, alla questione delle migranti come il rifugiato africano che insegna agli italiani come risparmiare acqua. Non passa inosservata l’immagine di un Tevere prosciugato e attraversato da Giuseppe, Maria e l’asinello che ci rimanda alle origini. Una sorta di anno zero da cui ripartire con uomini consapevoli carichi di una coscienza nuova. Diversamente, si rischia di regredire in un punto di non ritorno. Stiamo assistendo all’involuzione di un progresso insostenibile.
Non possiamo permetterci di perdere altro tempo perché il nostro avvenire è in pericolo. Sa di presente. E il presente va ripensato diversamente. Ci sono tante realtà, gruppi, associazioni, privati, che si stanno già muovendo in questa direzione. Italia che cambia, come testata giornalistica e promotrice di cambiamento, lo testimonia con entusiasmo, ogni giorno.
La sfida globale più grande è che tutti, pubblico e privato, possano davvero operare concretamente in nome del bene collettivo. Che ognuno faccia la sua parte. Il finale del film lascia ben sperare. Un’improvvisa pioggia spazza via tutto e apre le porte alla possibilità di poter ritornare a vivere, a credere nell’avvenire. Non ci è dato sapere come vanno a finire le storie dei protagonisti. L’importante è che l’ottimismo ritorni ad aleggiare nuovamente nell’aria.
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