Una catena di migliaia di persone circonda il Parlamento britannico per sostenere Julian Assange
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«Julian Assange sta soffrendo e uno degli obiettivi di questa catena umana era mostrare che ciò che sta avvenendo qua non fa parte di un processo legale né legittimo. È piuttosto un tentativo di strumentalizzazione della legge con il solo scopo di perseguitare una persona, un giornalista, per tenerlo imprigionato indefinitamente».
Con queste parole Stella, moglie di Julian Assange, ha commentato la grande manifestazione che ha riunito migliaia di persone – fra le 5000 e 7000, si stima – sabato scorso davanti al parlamento britannico, a Londra. «Julian è un prigioniero politico», ha aggiunto Stella. «È oggetto di una persecuzione politica. Questa catena umana intorno al Parlamento sta mandando un messaggio a coloro che sono dentro, che sono lì solo per servire chi sta fuori. E chi sta fuori sostiene Julian Assange. Sono migliaia qui, oggi, e milioni in tutto il mondo».
John Rees è il coordinatore del comitato Don’t Extradite Assange e l’organizzatore della riuscitissima catena umana per Julian Assange che ha circondato il Parlamento britannico l’8 ottobre scorso. Per parlare delle motivazioni che hanno portato a questo evento e, in generale, alla mobilitazione internazionale a sostegno del fondatore di WikiLeaks, l’attivista di Free Assange Italia Lorena Corrias lo ha intervistato.
Chi ha avuto l’idea geniale di una catena umana intorno al Parlamento?
Beh, a dire la verità, mi sembra che all’origine l’idea sia stata suggerita da un attivista della Nuova Zelanda. Ha proposto di farla intorno alla prigione di Belmarsh [dove Julian viene detenuto in isolamento da tre anni, ndr]. Solo che non era possibile farlo a Belmarsh per motivi di sicurezza. Perciò noi [del comitato Don’t Extradite Assange, ndr] abbiamo deciso di farla qui, intorno al Parlamento, dove ha sede il potere politico che tiene imprigionato Julian. Una volta determinato il luogo poi, ci siamo messi a lavorare ed eccoci.
L’afflusso di partecipanti oggi corrisponde alla vostre aspettative?
Sì, l’afflusso è stato molto buono, riteniamo che siano venute circa cinquemila persone e così abbiamo effettivamente ultimato l’accerchiamento completo del Parlamento: davanti all’edificio che ospita il Parlamento stesso, attraverso il ponte di Londra, lungo il Tamigi sulla sponda opposta e infine di ritorno, attraversando il ponte di Lambeth. Ritengo che sia stata una forma di protesta molto innovativa e molto efficace. Quindi sì, siamo rimasti contenti.
Sabato prossimo, il 15 di ottobre, l’agenzia di stampa Pressenza insieme a noi di Free Assange Italia e altri, terrà una maratona di 24 ore per Julian, con collegamenti in diretta da oltre cinquanta città nel mondo. Potreste voi di Don’t Extradite Assange essere dei nostri e dire, in diretta da Londra, qualche parola sul caso Assange?
Sì, certamente.
Bene, benissimo. Ultima domanda: se lei potesse parlare con Julian nella sua cella, cosa gli direbbe?
Prima della pandemia Covid ho effettivamente fatto visita a Julian a Belmarsh, diverse volte. Mi è sembrato un uomo straordinariamente ottimista, viste tutte le cose [nefandezze, ndr] che gli sono state inflitte. Ma, come egli dice sempre, dobbiamo preoccuparci non di lui ma piuttosto di tutti noi, delle nostre libertà e dei nostri diritti che rischiano di esserci tolti se gli Stati Uniti riescono nel loro intento di farlo condannare. Perciò, a pensarci bene, ciò che direi a Julian è “tieni duro e continua a lottare” e noi faremo uguale.
La realizzazione dell’articolo è stata curata da Peacelink e Pressenza.
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