Lofoio e la sfida di Beppe, che parla di economia circolare attraverso il teatro e l’artigianato
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Prato, Toscana - «Cerchiamo di rendere sciarpe, guanti e scaldacollo degli accessori invernali più divertenti e meno tristi del solito». È questo l’obiettivo che Beppe e Sara, gemelli di 27 anni e artigiani della maglieria a Prato, si sono imposti fin dalla nascita di Lofoio, il brand da loro creato. «Abbiamo dato allo stile classicheggiante un tocco di vitalità giocando molto con i colori e i filati».
Ma andiamo con ordine. Beppe e Sara Allocca hanno iniziato a fare questo mestiere dopo aver rilevato l’impresa della zia, da decenni nel settore tessile pratese. Lofoio è una bottega artigianale che possiede un suo laboratorio e un punto vendita situato nel cuore del centro storico di Prato, a due passi dalla cattedrale del Duomo. Nata qualche anno fa, segue tutte le fasi della filiera, dalla prima rocca all’oggetto finito.
«Prato è un distretto tessile molto prolifico – ci racconta Beppe – e la mia famiglia dagli anni ‘70 produceva accessori invernali in conto terzi per importanti firme della moda. La zia aveva un modello di business molto diverso da quello che abbiamo al giorno d’oggi. L’idea era quella di produrre sempre a diritto, indipendentemente dagli ordini. Per cui c’erano grandi quantità di merci già pronte per essere vendute a clienti, grossisti o mercatari, tutte stipate nel magazzino».
«Io ho iniziato a lavorare da mia zia nelle estati della scuola superiore e sono rimasto subito stupito dalla grande quantità di oggetti non venduti che venivano buttati via; così, grazie al permesso della zia, ho iniziato a venderli io. Per mostrare la merce giravo per vari mercati, quelli veri, quelli accanto all’ortofrutticolo. La faccenda aveva iniziato a girare bene, però avevo bisogno di un marchio per farmi conoscere. Grazie anche all’aiuto di mio cugino è nato il brand Lofoio e il passaparola è stato veloce».
Così Beppe, con il suo Lofoio, inizia piano piano a farsi conoscere. Quando la zia decide di chiudere l’impresa, si convince a dare al nipote la possibilità di prendere tutti i suoi macchinari, lasciandoglieli in dono. Ora Beppe, la sorella e la madre hanno un piccolo magazzino di loro proprietà dove vengono realizzati più o meno gli stessi oggetti che prendevano vita prima.
Lofoio ha cercato di rinnovarsi e di proporre anche qualcosa di nuovo, accessori invernali più divertenti e meno tristi. È questo il caso del Ganzo e dello Sciarpello. Il primo è uno scaldacollo che all’occorrenza si trasforma in cappello, il secondo invece è una sciarpa che diventa cappello o, come lo definisce Beppe, «la sciarpa che non è una sciarpa».
Una delle caratteristiche principali di Lofoio è l’uso di filati esclusivamente riciclati. Inizialmente il motivo di questa scelta era legato al quattrino, per cercare di risparmiare sulla materia prima. È stato questo il motivo che ha portato alla stretta collaborazione con i cenciaioli pratesi. I cenciaioli sono quei personaggi quasi mitologici che riciclano scarti tessili e indumenti usati – i “cenci” appunto – sin dal 1850 a Prato.
«Noi non siamo produttori di filato – riprende Beppe – noi trasformiamo il filato». Nelle botteghe artigianali, la presenza di parti riciclate nei filati veniva nascosta o per lo meno non raccontata. Per Lofoio rappresenta invece un prezioso valore aggiunto: una tradizione antica che serve al mondo di oggi.
Beppe racconta come nonostante l’era di internet e delle vendite online che stiamo vivendo in questo periodo storico, Lofoio sia una realtà ancorata anche ai vecchi canali di vendita, come i mercati e le fiere. Per questo motivo diventa essenziale farsi conoscere da paese a paese e cercare di diventare dei buoni “imbonitori” capaci di invogliare il pubblico a comprare il proprio prodotto, in questo modo il mestiere dell’artigiano si trasforma in un vero e proprio spettacolo.
«Se stai vendendo un capello di cachemire a 50 euro – spiega Beppe – devi renderti conto che se di fronte a te si trova una persona che ha effettivamente bisogno di un cappello, ci sono molte opzioni più economiche che può considerare. Però se dietro al tuo cappello di cachemire si cela una grande e bella storia da raccontare, allora le probabilità che venga comprato aumentano. Questo è teatro, di fronte a te il pubblico, un pubblico che oltre al tuo spettacolo ne ha ascoltati molti altri, un pubblico che, possiamo dire, paga il biglietto soltanto se lo spettacolo gli è piaciuto. Io mi definisco un artigiano teatrante e le fiere sono il mio palcoscenico».
«Sono monologhista, racconto storie sul palco. Momentaneamente ho due spettacoli pronti che stanno girando per l’Italia e adesso sto scrivendo il terzo, tutti di stampo comico. Non essendo molto conosciuto non posso ambire a bei teatri dove poter mettere in scena i miei monologhi, mi devo adattare e dar luogo alle mie rappresentazioni dove riesco a trovare un posto, nei non teatri come giardini, festival, fiere, pub e locali».
Il primo monologo messo in scena da Beppe, Genesi del Rigenero, con oltre trenta repliche, si concentrava sui cenciaioli e sulla loro storia. Uno spettacolo in cui la sostenibilità e il riciclo sono gli argomenti principali, ma risulta essere tutto tranne che il classico discorso che affronta temi di questo tipo. L’obiettivo è l’informazione attraverso lo spettacolo, l’intrattenimento e soprattutto la risata, un modo per unire entrambe le grandi passioni di Beppe, teatro e artigianato, facendo di queste ultime il proprio mestiere.
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