Federico, il liutaio: “Ho aperto la mia bottega per contribuire a rilanciare il centro storico di Genova”
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Genova - Ho conosciuto Federico Cartasegna in una mite mattinata di metà ottobre, passeggiando per il centro storico. Già altre volte, passando da via Prè, mi ero fermata a contemplare la vetrina della sua bottega osservando i tanti strumenti musicali appesi uno accanto all’altro e a scrutare l’intenso lavorio al suo interno.
Mi colpiva così tanto vedere questo ragazzo concentratissimo, chino sul suo tavolo da lavoro, che mi è sempre dispiaciuto entrare e far scoppiare questa bolla di silenzio. Una mattina però decido di oltrepassare la soglia della sua bottega. Federico sulle prime è timido ma il suo sguardo è accogliente, così in poco tempo ci mettiamo a parlare di tante cose. E chiacchierando, mi racconta la sua storia.
Federico, com’è nata l’idea di diventare un liutaio?
Anni fa frequentavo il conservatorio, poi ho mosso i miei primi passi nell’ambito della liuteria nella bottega del maestro genovese Gianmaria Assandri, dopodiché ho lavorato per un periodo a Firenze insieme a Fabio Chiari. Siccome non sapevo ancora cosa fare nella vita – avevo le idee un po’ confuse – quando due anni e mezzo fa è uscito il primo Bonus Carruggi, un bando del Comune che ha l’intento di rilanciare alcune tra le strade più antiche di Genova, ho partecipato. Grazie al mio progetto ho vinto e ora mi trovo in via Prè, una zona del centro storico ancora sottovalutata, ma con un bel carico di storia sulle spalle.
Qui cosa fai di preciso?
Oltre alla realizzazione, riparazione e restauro di strumenti, l’obiettivo del mio lavoro è levare quella patina “artistica” da questo mestiere, puntando invece di più sull’artigianale.
E ti sta riuscendo?
In qualche modo sì. Va detto, però, che siamo tanti liutai a Genova, quindi devo trovare il modo di differenziarmi. Il mio sogno? Specializzarmi col tempo in strumenti medievali e liuti antichi.
Come ti stai trovando in questo contesto?
Il sestiere di Prè è diverso dagli altri sestieri del centro storico e anche geograficamente è più distanziato: abbandonato dai genovesi dagli anni ’90, ora è di fatto un’area di passaggio un po’ più mordi e fuggi rispetto ad altre zone. Sono dell’idea che per dare una svecchiata a questa via ci voglia un piano di riqualificazione ad hoc.
Quando la sera abbasso la mia serranda e mi guardo intorno mi chiedo: “Come fanno le persone a integrarsi se vivono in questo degrado?”. Purtroppo ne risente tutto il tessuto sociale, dagli abitanti ai commercianti storici, che subiscono in qualche modo uno stigma di generalizzazione. Non è un caso infatti che io lavori più grazie al passaparola che alla clientela di passaggio.
Parliamo del tuo lavoro: com’è essere un liutaio?
Il bello di una liuteria è che non potrà mai essere sconfitta dal lavoro industriale. La liuteria ha sempre una componente artistica, ma soprattutto artigianale; oggi, però, anche in ambito musicale l’aspetto estetico e il marketing hanno scavalcato l’importanza della qualità del suono che, invece, dovrebbe essere il primo criterio di scelta. Questo è un lavoro che ti mette a contatto con una pratica manuale di seicento anni fa e proprio lavorando ti rendi conto di quanta manualità abbiamo perso negli anni. In questo senso mi sento un po’ un “archeologo sperimentale”.
L’artigianato è un mestiere meraviglioso ma costellato da incognite: come ti trovi a indossare i panni dell’artigiano?
A volte passo giornate intere a migliorare, a creare un nuovo approccio o a inventarmi un attrezzo per ottimizzare una procedura. Non sempre le mie idee vanno in porto, certo, ma è senza dubbio un lavoro che ti dà la possibilità di aprirti gli occhi. Perché per fare il liutaio serve l’approccio con la realtà, per rendersi conto di cosa si perde e cosa si guadagna con l’industrializzazione.
Dalla mia parte ho l’entusiasmo: sono sempre stato molto curioso di tutto ciò che è pratico, mi ha sempre affascinato approfondire l’arte dell’uomo in tutti i campi, svelare l’arcano di ogni cosa e provare a replicare quello che avevo scoperto. Ed è proprio questo mio aspetto caratteriale ad avermi trascinato in questa avventura. Ecco perché, nonostante tutte le difficoltà e le incognite, vedere lo strumento che pian piano prende forma resta, per me, la cosa più bella del mondo.
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