Fiori Florensi, il progetto di educazione in natura che valorizza talenti ed emozioni
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Cosenza - Dalle crepe nel grande muro della scuola tradizionale al cambiamento per una rivoluzione gentile. In Sila. Il grido silenzioso di una scuola pubblica italiana, per molti aspetti alla deriva, fa riflettere. Registriamo infatti pecche nel sistema educativo, nei metodi di reclutamento e di valutazione del personale docente e nella scelta della programmazione didattica. Si caricano eccessivamente gli studenti di qualsiasi ordine e grado di attività scolastiche ed extracurriculari puntando soprattutto sul sapere, sulla prestazione e sulla competizione a tutti i costi. In una società che discute di decrescita felice, occorrerebbe fare meno e meglio piuttosto che troppo senza risultati soddisfacenti.
Insegnare è una grande responsabilità. La selezione per soli titoli non è sufficiente, in certi contesti. Il docente, per vocazione, è un maestro di vita. È saggio e dotato di intelligenza emotiva. Conosce la psicologia dello sviluppo e la pedagogia. È in grado di aprire una breccia in fondo al tunnel, anche del più lungo e impraticabile. Ed è un adulto che ripone fiducia nel bambino senza pregiudizio alcuno e cerca di fare di quel bambino un uomo di successo. Ovvero, è l’insegnante che ogni minore dovrebbe incontrare. Torna in mente, a questo proposito, il docente carismatico interpretato da Robin Williams in L’attimo fuggente.
In Calabria, terra segnata da sempre da difficoltà di ogni tipo, c’è tuttavia una realtà che abbraccia il cambiamento per una scuola gentile e in natura, abitata da una comunità che si propone di essere educante. “Si può e si deve fiorire nel deserto”. È questo il motto di Fiori Florensi. Questo progetto educativo è nato a maggio del 2020 come gruppo informale di privati e, dopo più di due anni, è diventato un’associazione di promozione sociale.
Fiori Florensi si presenta inizialmente come centro estivo organizzato nei boschi della Sila. A metà settembre dello stesso anno continua la propria attività presso la scuola dell’infanzia Paritaria e Nido d’Infanzia Ernesto Benincasa, a San Giovanni in Fiore, con il progetto C’era una volta il benessere del bambino… In una scuola gentile e in natura, ogni giorno veniva rinnovato il “patto di responsabilità boschiva” tra genitori, educatrici e i minori, cioè la responsabilità di essere cittadini educanti e – per le educatrici – garanti dei tre diritti fondamentali dei bambini dai zero ai sei anni: diritto al cibo, al sonno e al gioco in natura.
Le pioniere di questa piccola rivoluzione gentile sono quattro giovani calabresi impegnate in varie discipline: la prima è Maria Costanza Barberio, esperta in educazione e natura, nonché presidente dell’associazione e fedele sostenitrice della ludopedagogia, fondata nel 1986 da quello che è il suo maestro, l’uruguayano Ariel Castelo Scelza. Poi, al suo fianco, Mariangela Mazzei, istruttrice di yoga; Rosa Maria Procopio, infermiera; Mariangela Pulice, specializzata in scienze motorie e grande sarta, oltre a diversi volontari.
La scelta del nome rimanda al genere che contraddistingue le fondatrici del gruppo, tutto al femminile. L’idea di chiamarsi Fiori Florensi si ricollega al luogo di nascita che le accomuna, San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, famoso in tutto il mondo per aver dato i natali a Gioacchino da Fiore, pensatore medioevale che esercita ancora oggi un grande fascino per il suo messaggio positivo sul futuro e per il suo pensiero profetico e utopico.
La pandemia, in qualche modo, ha permesso loro di ritrovarsi. La scelta del luogo, la Sila, è legata al desiderio comune di ritornare a casa in pianta stabile, dopo anni trascorsi in Italia e all’estero per motivi di studio e lavoro. Il loro sogno è far in modo che nessuno più lasci la loro terra, che tanti ritornino per sostare in un ambiente così difficile quanto affascinante.
Fiori Florensi è determinata a creare un suolo sociale nuovo e cittadini sensibili partendo dal benessere del minore per prevenire il disagio. A loro piace costruire relazioni. E lo fanno attraverso il gioco in natura. L’arte e la cultura si fanno all’aperto, tra il verde dei giardini delle scuole e i boschi della Sila con un approccio ludopedagogico. Un’opportunità educativa unica per adulti e minori, che permette di conoscersi e rafforzare il senso di comunità attraverso il gioco, infatti Le neuroscienze ci spiegano che, senza relazione, non può esserci apprendimento.
E il gioco crea relazione, come conferma anche la pedagogia. Giocare è il modo di vivere dei bambini, fin dalla nascita. È ciò che li accompagna e che dà forma in modo globale al loro sviluppo. Attraverso il gioco, i bambini vengono a contatto sia con le regole esterne (l’ambiente) e interne (emozioni). L’associazione propone il gioco sia strutturato che libero e ciò permette di fare osservazione e ricerca per i loro progetti e le attività laboratoriali interattive pensati per gruppi strutturati per fasce d’età.
«Vuoi insegnare le regole? Gioca! Non esiste gioco, senza regole», afferma la presidente Barberio. Bisogna lasciar giocare i bambini in natura, senza interferire con la loro crescita, accompagnandoli lungo il percorso per permettere loro uno sviluppo sano e consapevole. È importante infatti che siano lasciati liberi di esprimersi e di imparare a gestire anche le proprie emozioni negative, come la rabbia e la paura.
Il benessere del bambino è anche certificato dall’OMS, che consiglia l’outdoor education. L’educazione emozionale e all’autonomia sono alla base dell’approccio pedagogico di Fiori Florensi. I minori, al di là della loro età, sono persone come tutti gli altri e in quanto tali hanno diritti e autonomia di pensiero e di azione. In questo modo, riescono a creare delle relazioni autentiche che favoriscono l’apprendimento. Il bosco, dunque, come aula all’aperto: viene colorato e delimitato, utilizzando dei fili riconoscibili. È un modo per capire se il bambino si sta allontanando. Gli educatori lo lasciano libero, ma lo spronano all’autonomia, osservandolo e seguendolo da lontano. Il bambino è così libero di fare esperienza diretta.
Il lavoro delle educatrici è a tempo pieno, governato dalla passione, dall’impegno, dalla perseveranza e dall’aggiornamento costante attraverso corsi, congressi e convegni. Le educatrici florensi non combattono il vecchio, ma concentrano le loro energie nel costruire il nuovo. La scuola tradizionale invece è critica e giudicante e usa metodi che non favoriscono l’autonomia o la consapevolezza. Anche gli adulti florensi seguono corsi di educazione emozionale e il loro interrogativo costante è: “Abbiamo il coraggio per svolgere questo mestiere?”. Un interrogativo che dovrebbe essere posto, obbligatoriamente, in sede di valutazione dell’aspirante docente per una scuola tradizionale pubblica.
Fiori Florensi educa anche all’ascolto attraverso l’utilizzo di album illustrati e favole interattive in cui i minori e gli adulti diventando personaggi della storia, ognuno con la propria voce, le proprie emozioni, i propri pensieri. Vengono usati i libri di Helen Oxembury, la prima scrittrice e illustratrice che a livello internazionale ha posto al centro dei suoi libri per la prima infanzia (0- 3 anni) i bambini al posto degli animali umanizzati. Ai bambini piacciono le favole e le ascoltano in cerchio.
Il cerchio all’aperto è il rituale più significativo della giornata o di ogni occasione di incontro, anche festivo. È rispettato e gli viene attribuito grande valore, importanza e tempo. È il momento in cui adulti e minori si ritrovano insieme per condividere emozioni, desideri, aspettative della giornata. Tutto viene programmato partendo dalle loro esigenze, dal loro ascolto, da un coinvolgimento reciproco. Il rapporto con le famiglie è di collaborazione. Gli incontri avvengono durante le feste che coinvolgono adulti e bambini o attraverso le riunioni dove si dialoga e si lavora al benessere del minore. Loro, come educatrici, e le famiglie, come figure genitoriali.
Le soddisfazioni sono tante. Sono conquiste di intelligenza del minore ed è un grande traguardo anche per le educatrici di Fiori Florensi. Pensiamo ai bambini che, dopo qualche mese, riescono a temperare le emozioni perché le riconoscono. Ed è l’obiettivo principale dell’educazione emozionale. È il caso di una bambina di soli sei anni che, dopo un solo anno a scuola, riesce a spiegare all’amica di non preoccuparsi, perché lo sbaglio più grande può diventare qualcosa di bello. La soddisfazione è anche vedere che il naso sbagliato diventa un naso da clown e che un personaggio nato sbagliato si ritrova trasformato in un essere speciale.
E ancora, è significativo quando i bambini riescono a capire che ci sono delle regole per stare bene nel gruppo e che se ci assalgono certe emozioni possiamo controllarle. Oppure quando imparano a rallentare il tempo e a familiarizzare con esso, chiedendo loro: come ti senti? C’è un consenso da rispettare ed è quello dei minori. In questo clima di buoni propositi, il cambiamento è sempre possibile? «Facendo educazione e natura, praticando educazione emozionale, alla bellezza, all’ascolto, alla cura, non tutti abbracciano il cambiamento perché il cambiamento è anarchico e non obbliga nessuno. È un’utopia, ma l’ utopia serve a camminare», chiosa la presidente.
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