Nasce il distretto laniero siciliano per trasformare la lana in concime liquido
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Agrigento - Durante un viaggio infinito per raggiungere da Catania il cuore della Sicilia, una fermata mancata del treno mi trasforma in una trottola impazzita tra vari paesi dell’entroterra prima di arrivare alla mia destinazione finale con circa quattro ore di ritardo: Cammarata. Nel cuore dei Monti Sicani e in piena notte scopro per caso dell’esistenza di un distretto laniero siciliano messo in piedi da Tonino Rizzico e Sebastiano Tosto per cercare di salvaguardare l’attività di un intero comparto in crisi.
Conoscevo le esperienze sarde di Daniela Ducato e, curiosa e felice che qualcosa del genere abbia potuto prendere piede anche in Sicilia, decido di approfondire l’argomento. Così, qualche mese dopo quel primo incontro fortuito, mi ritrovo a chiacchierare con Sebastiano Tosto, legale rappresentante del distretto.
«Circa dieci anni fa, insieme a una quarantina di produttori del comparto ovicaprino ci siamo incontrati per costituire una rete di imprese, e tutelare le nostre produzioni. È nata la rete ovinicoltori siciliani, che opera nell’entroterra collinare siciliano delle provincie di Agrigento, Palermo e una parte di Caltanissetta. I costi di gestione sempre più esosi e la voglia di mantenere alta la qualità dei nostri prodotti ci hanno costretto a vendere oltre i confini regionali il nostro latte».
«La carne dei nostri animali ha ricevuto il marchio di qualità sicura della Regione Sicilia, riuscendo così a tutelare anche questo aspetto della produzione. Restava da risolvere il problema dello smaltimento della lana, è nata così l’idea di un distretto laniero», racconta il dottor Tosto.
Da diversi anni la lana prodotta dagli ovini dei produttori siciliani non è più richiesta dal mercato, ha una fibra grossolana e non è di pregio. In genere si utilizzava per realizzare materassi e tappeti. Con l’avvento di prodotti di sintesi, come i derivati del nylon, la lana è passata in secondo piano. Quella che prima era un fonte di rendita si è trasformata in un “rifiuto”, con costi elevati da gestire. La tosatura è tra l’altro un’operazione essenziale per il benessere degli ovini. In passato si era soliti eseguirla anche due volte all’anno, adesso ci si limita a una sola volta perché i costi di smaltimento sono molto alti.
«Abbiamo riesumato una tradizione tipica di questi luoghi. Più di cento imprese che costituivano la vecchia filiera sono state riconosciute dall’assessorato delle attività produttive della regione Sicilia come distretto produttivo laniero. Abbiamo presentato un progetto per la valorizzazione delle nostre lane che è stato approvato ed è in corso di realizzazione», continua Tosto.
L’idea è trasformare la lana in concime liquido attraverso un processo di idrolisi, grazie a un progetto già testato a livello nazionale ed europeo. L’idrolizzato di lana infatti è tra gli ausili depositati presso il Ministero dell’agricoltura. Gli scarti di lana, tramite un processo di “idrolisi verde’’ che impiega acqua surriscaldata, sono riciclati in ammendante-fertilizzante organico azotato.
Esiste una letteratura scientifica esaustiva sull’uso della lana come fertilizzante, che è un ammendante con risultati eccellenti, poiché il carbonio (50%), l’azoto (16-17%) e lo zolfo (3-4%) rivestono un ruolo essenziale per la nutrizione delle piante. Mentre si sconsiglia il suo utilizzo allo stato grezzo, la biodegradazione è un processo molto lento che può essere causa di infezioni.
La legislazione europea inoltre prevede che venga sterilizzata a temperature superiori a 130° C. Per questo motivo i processi di pulizia della lana sucida degli ovini sono ormai ritenuti troppo energivori e richiedono eccessive quantità di acqua, per non parlare dei relativi problemi di depurazione delle acque di lavaggio.
«La lana è un prodotto vivo, sta un anno addosso all’animale impregnandosi di tutta una serie di sostanze che sono presenti nel pascolo. Il progetto Life+Green Wolf, sposato dal distretto, è stato molto apprezzato anche perché agisce in circolarità, dall’animale verso l’agricoltura per poi ritornare all’animale attraverso il pascolo. La facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino insieme al Cnr di Biella hanno testato il metodo con successo».
Durante i due anni di pandemia, la rete ha avuto modo di confrontarsi con realtà simili nate anche in altre regioni, ad esempio in Sardegna e nelle valli bergamasche della Lombardia. «Abbiamo studiato, approfondito e preso contatto con il mondo accademico. Questo progetto ci è sembrato quello più adatto a risolvere in tempi brevi una grossa difficoltà per noi ovinicoltori. Nel frattempo stiamo collaborando con l’Università di Palermo per un nuovo processo di sperimentazione per ottenere altri prodotti di trasformazione della lana».
Ad esempio, la possibilità di creare un carbone vegetale, ma anche manufatti lanieri attraverso un ritorno alle piccole produzioni di un tempo per riesumare la tradizione del territorio. Al momento la lana, risorsa dalle grandi potenzialità, è considerata un rifiuto e raccoglierla senza una finalità concreta ha poco senso, oltre ad aver bisogno di molte autorizzazioni. Non appena verrà costruito lo stabilimento – si spera in tempi brevi – inizieranno i progetti di raccolta.
«Stiamo cercando di costruire dei modelli da duplicare su tutto il territorio regionale: in Sicilia abbiamo 600.000 capi allevati, il 10% del patrimonio ovino italiano, il 50% insieme alla Sardegna. Abbiamo l’urgenza e la necessità di trovare risposte, siamo aperti a collaborazioni, idee e progettualità che possano essere messe in campo dall’intero comparto nazionale di produttori che hanno le nostre stesse esigenze. Le risorse le abbiamo, aspettiamo solo che venga realizzato l’impianto», conclude Tosto.
La speranza è che tutto avvenga nei tempi più brevi possibile, anche perché l’aumento della materie prime e la crisi in atto stanno mettendo in seria difficoltà interi comparti dell’economia nazionale e regionale, con la paura di veder morire moltissime aziende virtuose che lavorano nel rispetto dell’ambiente e della persona.
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