24 Ott 2022

CelestinOvie: “Abbiamo riscoperto la transumanza delle api alla ricerca di luoghi incontaminati”

Scritto da: Valentina D'Amora

Le api di Celestino volano in val Borbera, valle Spinti e anche nelle Alpi piemontesi e valdostane, portando avanti l'antica tradizione del nomadismo. A farlo è CelestinOvie, un'azienda apistica che durante l'anno trasferisce le api in zone di montagna ricche di fiori e di vegetazione. Una delle sorelle che ha fondato questa realtà ci ha raccontato la sua storia.

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Alessandria - Lasciandosi alle spalle l’abitato di Arquata Scrivia, la provinciale fa un paio di curve, quindi le visuale si apre sulla meravigliosa chiesa dell’Assunta che preannuncia l’abitato di Grondona. Al margine della strada, vicino a un cancello, un dettaglio cattura di colpo la mia attenzione: una statua lignea a forma di matita gigantesca verniciata di giallo e nero rimanda immediatamente l’immagine delle api. C’è scritto CelestinOvie ed è un’azienda apistica.

Ho avuto occasione di fare due chiacchiere con Simona Pratolongo, la titolare di CelestinOvie, che mi ha raccontato il suo lavoro e ho scoperto che le sue api sono delle vere giramondo: la sua azienda infatti ha scelto la pratica del nomadismo, seguendo il filo conduttore del benessere animale. Non tutti sanno che le api possono volare fino a tre chilometri di distanza dal proprio apiario per accumulare il “bottino” di nettare e polline. Se l’habitat in cui si trovano però è povero di fonti di nettare, esse rischiano soffrire la fame. Ecco perché in estate le api di Celestino partono per le Alpi.

Simona, raccontaci: com’è nata l’idea di aprire un’azienda votata al miele?

La miccia l’ha accesa mia sorella, che si è appassionata all’apicoltura una ventina d’anni fa, dando il via al progetto. Un tempo nei paesi le famiglie avevano un po’ di tutto, dai terreni con gli orti e i vigneti alle arnie, quindi sia io che lei avevamo già i rudimenti e le nozioni di base di questo mestiere. Ancora oggi ho vivido in mente il ricordo di mio nonno Celestino – da cui ha preso il nome l’azienda – che seguiva le api.

celestinOvie ape
Il nome in effetti è curioso: ce lo spieghi?

In famiglia a occuparsi delle api era nostro nonno Celeste, detto Celestin in dialetto. Io e mia sorella abbiamo pensato di chiamare l’azienda agricola CelestinOvie, che significa “le api di Celestino” nel dialetto di Grondona, creando una sorta di genitivo sassone dialettale.

Anche se non eravate neofite, com’è stato l’esordio nel mondo dell’apicoltura?

Abbiamo iniziato con due alveari, utilizzando tutte le attrezzature che avevamo già, per esempio lo smielatore manuale del nonno. E col tempo ci siamo appassionate: le arnie sono aumentate e s’è creata la nostra piccola realtà. Certo, il territorio lo permette: in questa valle non è possibile nemmeno pensare di produrre seguendo una logica intensiva. Tutti i nostri mieli infatti vengono prodotti in quantità limitata. Poi la passione piano piano è diventata lavoro: abbiamo da subito optato per muoverci in direzione del biologico, quindi abbiamo richiesto la certificazione e non abbiamo faticato ad ottenerla, perché lavoravamo già così.

Ora a tirare le fila di CelestinOvie ci siete solo tu e tua sorella o vi aiuta qualcuno?

In realtà mia sorella ha mantenuto il suo impiego e io ho un lavoro part-time. È il mio compagno a occuparsi a tempo pieno delle nostre api. Un tempo gli anziani dicevano che soprattutto d’inverno le arnie richiedevano poco lavoro: non è vero, le api vanno controllate a vista! [sorride, ndr] L’azienda è comunque a conduzione familiare, per cui quando c’è bisogno ci siamo tutti. Certo, sarebbe bellissimo fare un salto nel vuoto e mollare tutto, ma come piccole aziende a livello fiscale siamo tassati tantissimo, quindi per me è ancora difficile poter cambiare vita.

In questa valle non è possibile nemmeno pensare di produrre seguendo una logica intensiva

Parliamo del nomadismo: perché lo praticate?

Il miele che produciamo deriva dal nettare dei fiori spontanei di questa valle. Alla fine delle fioriture, trasferiamo le nostre api in montagna, a Rhemes Notre-Dame, in val d’Aosta, e in val Varaita, nel cuneese: lì nasce il nostro miele millefiori di alta montagna e di rododendro. Abbiamo scelto di seguire una tradizione antica che è la transumanza degli alveari, spostando le nostre api in ambienti incontaminati ed è per questo che i nostri prodotti sono presidio Slow Food.

Con chi siete entrati in rete?

Sul piano delle relazioni, cerchiamo sempre di non tirarci indietro, di partecipare ed essere attivi. Ora per esempio stiamo collaborando con BikeSquare, un noleggio bici elettriche di Cabella Ligure. Chi affitta un’e-bike in questo negozio può accedere a un’App che permette di seguire diversi percorsi cicloturistici, lungo i quali ci sono aziende agricole, cantine e B&B che offrono servizi per chi pedala. E noi, con CelestinOvie, facciamo parte di una di queste tappe e proponiamo ai cicloturisti una degustazione di miele, abbinato ai prodotti del territorio provenienti da altre realtà locali. 

celestin

Sul piano commerciale invece si fa un po’ fatica perché il miele non fa parte della nostra alimentazione: c’è l’amatore che prova diversi mieli, fa abbinamenti, si diverte a sperimentare in cucina, ma in generale qui il miele viene impiegato per lo più come sollievo per la gola, anche se ci sarebbero tantissime opzioni e modalità di utilizzo. A mancare proprio culturalmente è la sua applicazione come ingrediente nelle ricette. Siamo felici però di alcune collaborazioni con forni e pasticcerie locali, come Parodi a Ronco Scrivia, che prepara il torrone con il nostro miele, e l’azienda vitivinicola Poggio.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Recuperare un antico abégo nel castagneto vicino alla nostra azienda. Come fattoria didattica, oltre all’esperienza in apiario, alle famiglie e alle scuole proponiamo un’escursione nel bosco a visitare gli antichi essiccatoi, gli abéghi appunto. L’intento è di tramandare ai più giovani un po’ di storia e di tradizioni del nostro territorio che fanno parte della cultura contadina locale.

Qui si viveva principalmente di castagne, i nonni andavano nel bosco a “castagnare” e tutto quello che so mi fa piacere condividerlo con le nuove generazioni. Ci vorrà un po’ di tempo, perché il bosco è vivo, quindi ha costantemente bisogno di manutenzione: l’idea è di sistemare le piante e riqualificare l’essiccatoio, affinché diventi un piccolo polo didattico visitabile, e metterlo in uso.

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