21 Ott 2022

L’Ancora: “Lavoriamo da 40 anni con le dipendenze per abbattere i tabù e aiutare chi non riesce a uscirne”

Scritto da: Emanuela Sabidussi

Essere tutti più consapevoli delle nostre fragilità e dipendenze potrebbe aiutare noi stessi e chi ci è accanto a superare quelle maschere imposteci nel tempo, per scoprirci più forti e indipendenti che mai. Oggi vi parliamo di dipendenze e lo facciamo partendo da una cooperativa imperiese che lavora in questo ambito da diversi decenni, per fotografare una società – la nostra – che cambia, ma alcune volte non abbastanza in profondità per scardinare tabù e credenze collettive.

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Imperia - Dipendenze: uno dei più grandi “finti non tabù” dei nostri giorni. Sembra che se ne parli, vi è quella consapevolezza apparente e superficiale in tutti noi che ci fa stare bene, fa sembrare il tutto normalizzato, normale, gestito, ma non lo è. Fra poco mi addentrerò nel raccontarvi l’incontro avuto con chi da anni lavora fianco a fianco con persone che sono cadute nella trappola delle dipendenze e lì sono rimaste impigliate, ma vorrei che riusciste ad arrivarci mettendo per un attimo da parte quel senso di giudizio e superiorità che, seppur non consapevole, è presente in noi tutti e ci fa credere che il problema delle dipendenze non debba riguardarci.

Ma come mi ha spiegato molto bene Marco Boeri, la maggior parte di tutti e tutte noi ha dipendenze; alcune semplicemente possono provocare più danni, altre sono più evidenti e colorite. Vi invito a fermarvi un solo attimo per pensare in modo sincero e lucido a qual è quella sostanza che ogni giorno vi tiene compagnia e senza la quale non riuscireste a immaginarvi.

Ora cercate di tornare con la mente a quella sensazione di quando ne sentite la necessità, alle emozioni che provate, alle sensazioni di allarme che il corpo innesta. Non importa che sia una dipendenza da caffeina, zuccheri, alimenti, tabacco, droghe leggere o pesanti, cellulare o da una persona, da una dinamica sociale o dall’attività fisica. Si tratta sempre e comunque di una via di fuga da un qualcosa che almeno una volta ci ha aiutato e per questo non vogliamo più lasciare andare. Un’ancora di salvataggio di cui abbiamo bisogno per sentirci bene.

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La sfortuna vuole che in alcuni casi quest’ancora sia qualcosa da cui non ci si riesce più a liberare. I motivi sono molti: contesto sociale complesso, personalità fragili, traumi subiti e non superati, difficoltà economiche. Tante possibili motivazioni e un unico punto di approdo: lo smarrimento. Il confondere sé stessi con ciò che si fa e da cui si dipende in quel momento della vita, che in alcuni casi è una condizione perdurante.

La storia di oggi parla di una cooperativa attiva nella provincia di Imperia che agli inizi degli anni ‘80 ha creato un centro con l’intento di sostituire quell’ancora che le dipendenze rappresentavano per alcuni attraverso un lavoro profondo e consapevole su sé stessi, divenendo la salvezza, il proprio punto di approdo, senza demandare a qualcuno o qualcosa di esterno tale compito.

GLI ALBORI

«Era il 1983 — mi racconta Marco Boeri, presidente della coop. L’Ancora – e a Imperia stavano arrivando le prime ondate delle dipendenze che nelle città più grandi erano già presenti da qualche anno. La preoccupazione era diffusa, ma non c’erano ancora servizi specifici a cui rivolgersi: chi si trovava a dover gestire le conseguenze di una dipendenza personale o di persone care si rivolgeva all’ASL o al prete, chi addirittura al vescovo.

La confusione e la paura crescevano e così un gruppo di persone di estrazioni e professioni diverse ha messo insieme idee e risorse che potessero essere di aiuto, andando a conoscere da vicino e studiare le strutture che all’epoca a livello nazionale stavano offrendo un supporto concreto.

Quelle delle dipendenze rimane uno dei grandi tabù di oggi: se ne parla, ma senza mai andare in profondità

Si valuta alla fine di seguire il modello del Progetto Uomo, per la metodologia utilizzata e il tutoraggio e formazione che proponevano. Apre così le porte una prima struttura di accoglienza con, inizialmente, solo operatori volontari, che via via sono stati formati in maniera professionale.

PASSATO VS PRESENTE

La metodologia di supporto utilizzata era difficile per tutti, in quanto prevedeva fin da subito una terapia di gruppo alla pari, quindi con persone presenti che condividevano gli stessi problemi (preferita alla terapia singola usata nella maggior parte dei casi in quel momento) e orari precisi da rispettare, con tanto di richiami e sanzioni per chi non li rispettave.

«La droga in quegli anni veniva era criminalizzata, oggi invece è gestita più come una malattia. Nei primi anni molti dei protagonisti delle situazioni che arrivavano in struttura si erano trovati a dover scegliere tra il carcere e la clinica, quindi la motivazione con cui si oltrepassava la soglia di ingresso non era consapevole e mossa da una volontà e spinta personale».

Marco mi spiega però come una metodologia rigida e di impatto tendeva a ridurre l’atteggiamento violento e poco disponibile a un cambiamento che avevano i ragazzi e ragazze che accoglievano. L’obiettivo era togliere la maschera che si erano costruiti con il tempo e supportarli nel riscoprire o ricostruire una personalità reale per poi accompagnarli in un nuovo reinserimento nella società.

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Presentazione di Coop. L’Ancora

Tutto ciò avveniva in opposizione forte a una corrente psichiatrica che vedeva queste persone come malate e “non recuperabili”: accettava la condizione di fragilità e cercava di arginare i potenziali danni. Ma nella struttura di Ancora le cose si distinguono sin da subito: «Pensavamo (Marco entra infatti tra i primi operatori volontari) che la dipendenza fosse un sintomo di qualcosa di più ampio e in un qualche modo anche il problema più semplice da gestire in quanto più evidente e conosciuto. La terapia era quindi incentrata sullo sviluppare la loro capacità di gestire i problemi».

I RICHIEDENTI

Ci sono delle costanti nel tempo nel chi fa uso di sostanze che creano dipendenze, secondo le esperienze dirette della cooperativa imperiese: all’epoca come oggi la maggioranza delle persone è di genere maschile – tra il 70 e l’80% in media in questi 40 anni. L’altro elemento che è rimasto invariato è che le disponibilità economiche delle famiglie di origine sono ininfluenti: negli anni ‘80 come oggi a cadere nella morsa delle dipendenze sono persone provenienti dalle più differenti e trasversali situazioni economiche.

Ciò che invece è cambiata – e di molto – è l’età media dei richiedenti aiuto, che se nei primi anni della struttura era in media nel post adolescenza, dai 20 ai 26 anni, oggi è molto più alta e spesso le persone arrivano dopo un lungo e sofferto percorso. All’epoca, come oggi, era previsto un coinvolgimento delle famiglie, che attualmente però sono sempre più frammentate, anziane, separate e lontane e non sono così nelle condizioni di poter offrire supporto durante le terapie e a fine percorso.

CAMBIANO LE SOSTANZE, MA LA DIPENDENZA RESTA

In questi anni le sostanze che creano dipendenze in maniera più diffusa sono cambiate molto: «Negli anni ‘80 e ’90 la protagonista delle droghe era soprattutto l’eroina, che veniva poi assunta anche con alcolici e droghe leggere. L’eroina provoca molte conseguenze per come veniva presa e la microcriminalità che generava – per riuscire a procurarsela spesso le persone compivano furti o scippi –, ma i danni erano più limitati sul corpo e sulla mente. La cocaina era già presente ma in quantità ridotte, mentre oggi riveste un ruolo più rilevante».

Oggi ci troviamo davanti a uno scenario vasto di droghe sintetiche, molte derivate dall’MDMA, che continuano a cambiare per limitare le possibilità di essere riconosciute come droghe in caso di controlli. E così il registro delle sostanze stupefacenti continua a crescere. Ed esse sono sempre più facilmente intercettabili: mentre eroina e soprattutto cocaina avevano un costo importante che quindi rendeva più complesso procurarsele, oggi le pastiglie costano 20 euro e sono ovunque.

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Ciò che è cambiato in maniera profonda è il significato che le persone dipendenti danno alla droga: «Prima era un elemento di lotta, di ricerca di una libertà che non riusciva a trovare altra via di uscita. Oggi viene invece assunta come lubrificante per non essere travolti dal sistema odierno, sempre più capitalistico, schiacciante e performante».

I TABÙ NON TABÙ

Quelle delle dipendenze rimane, secondo Marco Boero, uno dei grandi tabù di oggi: se ne parla di più rispetto ad altri tabù odierni, si può pronunciare, ma senza mai andare in profondità. L’allarme e la preoccupazione iniziale degli anni ‘80 hanno lasciato un vuoto, riempito da un dato di fatto, dalla certezza che il problema è di chi da lì non si muove, di chi sta lottando per uscirne. E non solo credo che la società intera rivesta un ruolo determinante in tutto ciò, ma sono anche convinta che la motivazione che ci spinge a non pensare sia anche un problema nostro: la paura.

Paura di scoprire che in fondo in fondo siamo un po’ tutti esseri fragili, alla ricerca di conferme e sostegni esterni. Anche quando essi non arrivano come vorremmo, troviamo il modo di crearceli noi e ognuno lo fa con le modalità a sua disposizione. Vi invito ora a tornare a pensare alla vostra dipendenza e provate a guardarla con più consapevolezza e amore: vi ha aiutato, ma ora serve ancora? E se foste cresciuti in un contesto diverso, con famiglia e disponibilità diverse, cosa sarebbe avvenuto? Con cosa avreste saziato quel vuoto?

Le dipendenze cambiano, ma le fragilità rimangono. E se provassimo tutti, ogni giorno, a prenderci più cura delle nostre fragilità e di quelle delle persone accanto a noi, che mondo migliore potremmo creare? Domanda di una multi dipendente pentita e un po’ più consapevole.

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