Seguici su:
Imperia - Famiglie intere in fuga alla ricerca di una vita fatta di dignità, un sindaco di destra sfiduciato, il Comune commissariato, tanta polizia, ma ben poca assistenza e supporto. La chiamano la Lampedusa del nord: parliamo di Ventimiglia, la città ligure di collegamento via terra sulla strada che porta al di fuori del territorio italiano.
Sono principalmente sudanesi, eritrei, curdi, nigeriani, che tentano di sviare i controlli per raggiungere la Francia: parte di loro ha ricevuto un verdetto di respingimento, difficile da accettare, impossibile da comprendere. Molti hanno segnate sul volto, nonostante la giovane età, tutte le difficoltà di una vita complessa, di fuga, di non rassegnazione a un destino dettato da povertà, guerre, ingiustizie.
Si vedono camminare lungo le strade che conducono al confine, lungo sentieri inerpicati in cui rischiano la vita pur di riuscire a superare il tanto desiderato quanto invisibile limite tra le due nazioni. Spesso però, se identificati, vengono rimandati indietro dalla polizia francese che controlla i punti di accesso. O fermati ancor prima dai posti di blocco di quella italiana. Uomini, donne e bambini: non ci sono distinzioni di razze ed età quando si tratta di far rispettare la legge. Qui disperazione e speranza si incontrano.
È notizia proprio di questi giorni che il flusso migratorio ha riiniziato a crescere e di conseguenza anche i controlli. Molti tentano di fuggire attraverso i mezzi pesanti, che inconsapevolmente diventano complici fornendo passaggi a persone sconosciute. “I passeur accompagnano piccoli gruppi di migranti alla barriera autostradale risalendo alcune scarpate che conducono direttamente al casello”, scrive l’Ansa.
“A quel punto aspettano che si fermi un mezzo pesante e forzano il portellone posteriore. Una volta fatti entrare gli stranieri il passeur chiude il portellone e si allontana. Il camionista è generalmente ignaro di qualsiasi movimento e spesso si accorge della loro presenza solo al momento di aprire il rimorchio”.
Un dato molto interessante, fornito da Jean Philippe Nahon, direttore della Paf, Police aux frontieres, è che in un anno il numero di passeur fermati alla frontiera franco-italiana è quasi quintuplicato, passando dai 72 del 2016 ai 349 del 2017. E si stima sia in continuo aumento, evidenziando quanto le organizzazioni criminali siano riuscite a sfruttare la situazioni di difficoltà di queste persone, facilitati da una situazione politica europea non in grado di garantire un flusso di persone sicuro.
Maurizio Marmo, responsabile della Caritas Intemelia ha dichiarato che «sono almeno 200 i migranti presenti ogni giorno a Ventimiglia, per un flusso che è cresciuto con i primi di agosto e che quasi sempre coincide con l’aumento degli arrivi nel nostro Paese. In particolare, negli ultimi due giorni la Caritas ha offerto 380 pasti, circa 190 pasti al giorno. La media delle presenze, tuttavia, è molto sottostimata, nel senso che non tutti gli stranieri di passaggio a Ventimiglia si rivolgono alla Caritas e alla fine il numero di migranti resta sempre maggiore».
Ho trovato molto interessante a tal proposito il rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) Fuori Campo, non recente ma che rende l’idea del trend in atto, frutto di un’attività di monitoraggio che ha mappato 47 insediamenti informali sorti spontaneamente in 12 regioni d’Italia, popolati in prevalenza da richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria. Diecimila persone che si trovano a vivere in condizioni di grave precarietà, all’interno di insediamenti informali in aree rurali, urbane o vicine alle frontiere in cui sono assenti i più basilari mezzi di sussistenza.
Inoltre, insieme al rapporto Fuori Campo, è stata presentata anche Mal di Frontiera, un’analisi epidemiologica a cura di Silvia Mancini, esperta di epidemiologia per Medici Senza Frontiere, che indaga la situazione di Ventimiglia, città cerniera tra l’Italia e il resto dell’Europa. Dei 287 adulti intervistati da MSF a Ventimiglia, il 23% di chi ha tentato il passaggio del confine ha dichiarato di aver subito almeno un atto di violenza da parte di uomini in uniforme, italiani o francesi.
Per questo motivo Medici Senza Frontiere ha proposto che l’iscrizione al servizio sanitario nazionale in un futuro prossimo sia legata al domicilio e non più alla residenza anagrafica, dichiarando: «Chiediamo che si superino sia la gestione emergenziale che i CAS, i Centri di Accoglienza Straordinaria. Chiediamo interventi finalizzati all’inclusione sociale».
Viene invocato anche «il superamento della logica dei campi per i lavoratori stagionali, che devono avere accesso a delle soluzioni abitative. L’abbandono della residenza anagrafica in favore del luogo di effettiva dimora per l’accesso al servizio sanitario nazionale. Serve che venga rispettata la normativa in merito ai medici di base e aumentata la presenza dei mediatori linguistico-culturali, attualmente quasi assenti».
Ma la realtà è ancora molto lontana da questa visione: a maggior ragione in periodo elettorale, le questioni che riguardano l’immigrazione divengono spunti su cui incentrare dibattiti vuoti e inconcludenti, spesso conditi con un populismo che crea solo divisioni e non favorisce alcuna soluzione.
La realtà è molto complessa e le soluzioni non possono essere semplici, ma piccoli passi possono essere fatti e fin da ora. Il sostegno e l’assistenza a queste persone non dovrebbe essere affidato esclusivamente alle iniziative di Ong o enti diocesani. Sono molti gli esempi di buona gestione sul tema dell’immigrazione, da cui le amministrazioni possono prendere spunto. Necessitiamo di idee e soluzioni nuove, che mettano in prima linea il cuore.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento