Allerte meteo, cambiamenti climatici e possibili soluzioni: parola a Cristiano Bottone
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Imperia - Mesi e mesi di siccità e poi all’improvviso eccoli arrivare: temporali, grandine, nubifragi, trombe marine. Ogni volta scatta l’allerta meteo in via preventiva, ma nessuno saprà quali e quanti danni verranno arrecati. É un tiro a sorte: si incrociano le dita e si spera che questa volta non sia il proprio turno, che non sia la propria abitazione a riportare i danni o la propria attività commerciale o il proprio paese.
Sono anni che il clima sta cambiando e i fenomeni sono sempre più intensi. E se ciò vale per tutte le regioni italiane – e non solo –, vi sono alcune di esse che spesso finiscono sulle prime pagine dei quotidiani per allagamenti delle strade, strutture danneggiate, scuole chiuse e così via. E la Liguria è tra queste.
Tutto sembra peggiorare, ma in questo scenario è molto raro sentir parlare di prevenzione, di come riuscire ad anticipare tutto ciò, evitando le conseguenze o perlomeno limitandole. L’immobilismo è trasversale e riguarda amministrazioni pubbliche, media locali e nazionali, commercianti, esperti meteorologi.
Per riuscire a capire cosa sta avvenendo al nostro clima e come attivarci per far fronte a questi cambiamenti repentini ho rivolto quindi qualche domanda a Cristiano Bottone, co-fondatore di Transition Italia, oltre che trainer, ricercatore, consulente nel contesto internazionale del Movimento di Transizione.
I cambiamenti climatici sono sempre più forti: ci puoi spiegare in sintesi cosa sta avvenendo?
Il tema è molto ampio, ma anche semplice. Sta aumentando sempre più la quantità di energia nell’atmosfera e gli eventi di conseguenza crescono esponenzialmente di intensità. In passato tutti noi avevamo assistito ad esempio a una grandinata, ma mai con chicchi di grandine così grandi: tutti i fenomeni che si verificano oggigiorno sono in scala superiore in quanto l’attività elettrica è dieci o venti volte maggiore.
Credo sia fondamentale fornire un’adeguata formazione e informazione per una prevenzione di base, che ad oggi non viene purtroppo usata e il motivo è semplice: la popolazione non è stata preparata a tutto ciò. Quando le persone si trovano davanti a questi fenomeni non hanno reazioni adeguate e ciò si va a sommare agli eventi accaduti creando esponenzialmente danni ancora maggiori. Nel mio territorio invece, dove la preparazione per i cittadini e le amministrazioni avviene da diversi anni, le persone sanno come comportarsi in questi momenti e i risultati sono evidenti.
Come possiamo reagire a tutto ciò a livello personale e come comunità?
Credo sia fondamentale fornire un’adeguata formazione ed informazione per una prevenzione di base, che ad oggi non viene purtroppo usata e il motivo è semplice: la popolazione non è stata preparata a tutto ciò. Quando si trovano, quindi, davanti a questi fenomeni non hanno reazioni adeguate e ciò si va a sommare agli eventi accaduti creando esponenzialmente danni ancora maggiori. Nel mio territorio, invece, dove la preparazione, sia per i cittadini che per le amministrazioni, avviene da tempo le persone sanno come comportarsi in questi momenti e i risultati sono evidenti.
Cosa dovremmo iniziare a cambiare?
Il primo grande problema è la nostra incapacità di abbandonare la routine quotidiana. Ci siamo abituati al fatto che le persone con ogni condizione climatica possono continuare a fare tutto, ma purtroppo non è più così: le cose sono cambiate. Ed è un lavoro culturale oltre che fisico.
Se, ad esempio, si possiedono attrezzature o mezzi, ci si deve organizzare per proteggerli e non è neanche detto che ci sia modo di farlo. Nessuno di noi, sino ad oggi, si è mai dovuto organizzare per poter far fronte a venti di 120/130 nodi. Se si gestiscono quindi spiagge con ombrelloni e lettini, con previsioni così bisogna attrezzarsi per chiudere tutto in tempo prima che la perturbazione arrivi.
In quest’ottica diventa quindi la normalità controllare il radar meteo per verificare l’intensità del fenomeno meteorologico in arrivo. Un’altra azione che possiamo compiere tutti è controllare gli alberi vicini a noi: non importa se hanno 200 anni, in tutto questo tempo non hanno mai dovuto sopravvivere al tipo di condizioni meteo di questi ultimi anni ed è possibile che non sia sufficientemente stabili per poterlo affrontare.
Anche il tema dell’acqua sia in mancanza che in eccedenza è un problema…
Esatto. Se in poche ore in questi ultimi anni è scesa una quantità di acqua che in passato vedevamo in sette mesi, è ovvio che le strutture di drenaggio devono essere adattate, perché sicuramente non riusciranno a far fronte all’intero quantitativo di acqua in così poco tempo. Le persone muoiono ancora nei sottopassaggi stradali e negli scantinati di casa: serve una formazione a più livelli che insegni a tutti come comportarsi in questi casi, tra cui, ad esempio, cercare sempre un luogo più in alto possibile dove ripararsi.
I fenomeni climatici continuano a intensificarsi, ma dall’altra parte in pochi ne parlano davvero. Tutto sembra essere un vero problema solo nel momento d’emergenza, per poi tornare subito dopo a tacere. Perché secondo te? Non dovrebbe essere la priorità per noi tutti?
Le motivazioni credo che siano molteplici. Nel momento stesso del fenomeno le persone non riescono a reagire non essendo preparate e ciò fa parte della negazione generale del problema. Non ci interessa cambiare, prepararci e prendere in mano la situazione, perché siamo tutti molto legati alla nostra comfort zone, la quale è talmente compressa che pur di rimanervi dentro faremmo qualsiasi cosa. Non siamo stati allenati all’imprevisto, al cambiamento.
Inoltre quando il fenomeno arriva piano il cambiamento è lento, seppur con episodi sempre più intensi, ed è quindi più complesso rendersi conto dell’effettiva situazione. E ciò fa comodo. Siamo un po’ come il signore a cui sta bruciando casa e lui è seduto al tavolo a valutare il colore dei piatti del caffè. La nostra mente non riesce, per come è fatta, a cogliere e comprendere situazioni quando le cause e le conseguenze non sono strettamente riconducibili l’una all’altra.
Siamo primati che non vivono in contatto con la realtà oggettiva, ma con la nostra interpretazione di essa. A causa della nostra neocorteccia non siamo interessati a ciò che succede, bensì alla narrazione che stiamo seguendo. Almeno finché non veniamo colpiti dalle conseguenze.
In passato era tutto più semplice: prima dell’industrializzazione ognuno aveva un proprio orto. Le conseguenze degli effetti dei cambiamenti climatici sulla nostra vita erano comprensibili perché immediati. Oggi invece entriamo in un supermercato ed è sempre tutto disponibile: non capiamo bene da dove arrivino le cose. La narrazione a cui assistiamo è che è bello consumare sempre più, crescere sempre più, che conquisteremo Marte, che siamo indistruttibili come umanità, superiori a tutto e tutti. Viviamo in una società che non sa, non capisce come funziona il mondo e ciò porta con sé conseguenze difficili da gestire.
Il gas diventa un problema solo se Putin chiude i rubinetti, senza pensare che lo era già molto prima e non ci siamo mossi per creare delle alternative. Alla mancanza di strategie energetiche credibili si aggiungono i sistemi di governance che non sono in grado di tutelare il bene comune, in quanto hanno anch’esse grandi problematiche. E i danni sono sempre più impattati e irreparabili: stiamo perdendo risorse, biodiversità, abbandonando popolazioni alla fame, ma tutto ciò non si può dire direttamente, altrimenti si viene accusati di intristire le persone.
In che senso? Ci puoi spiegare meglio?
Viviamo in una società con un’enorme debolezza emotiva. Siamo stati educati a guardare molto il nostro io, ma mai al gruppo e i social media sono andati ad espandere molto questo disinteresse verso la socialità. Ogni problema che si pone davanti a noi viene vissuto come insormontabile. La mia generazione è vissuta in un’epoca talmente agevolata, che è cresciuta come un bambino viziato che avendo tutto a sua disposizione subito, la prima volta che si trova davanti a un ostacolo ha difficoltà, non sa reagire e piange.
I problemi che abbiamo dovuto affrontare erano semplici, così come di conseguenza lo erano le soluzioni da trovare. Oggi ci troviamo davanti a qualcosa di sempre più grande e complesso e le persone non sanno come reagire. Le ultime generazioni sono più angosciate, meno viziate e consapevoli di ciò che si potrebbe prospettare loro e proprio per questo più arrabbiate.
Tendiamo a essere deboli, isolati e incredibilmente egocentrici. La nostra capacità a lavorare insieme non è stata allenata e l’unico modo che conosciamo per risolvere i problemi è acquistando oggetti per lo più inutili. Vi consiglio di leggere La ferità dell’altro. Economia e relazioni umane di Luigino Bruni, che secondo me inquadra molto bene la nostra attuale debolezza emotiva.
Con altri colleghi e collaboratori abbiamo messo a punto una serie di strumenti da fornire. Abbiamo capito che fino a che il problema dei cambiamenti climatici non arriverà a essere lampante, sufficientemente dannoso, la maggior parte delle persone non reagirà. Ciò che possiamo fare quindi è prepararci per essere pronti a fornire strumenti collaudati quando quel momento arriverà.
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