La seta cruelty-free che non uccide i bachi. Monica ci racconta la peace silk
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Genova - Vi ricordate di Monica Biamonte, la guru dell’ecoprinting a Genova? Da oltre dieci anni tinge e colora tessuti, filati e oggetti di carta in modo naturale, aiutandosi con le piante coltivate nel suo orto tintorio oppure con le erbe spontanee raccolte lungo il sentiero dietro casa o durante i suoi trekking con Dea, la sua cagnolona.
Per sfamare la sua insaziabile curiosità e voglia di fare – lei con le mani in mano proprio non sa stare – da qualche tempo si è lanciata anche nel mondo della peace silk, la cosiddetta “seta vegana”, quella cioè in cui si lasciano sfarfallare i bachi, invece che bollirli vivi. L’ho incontrata per farmi raccontare come funziona e scoprirne tutti i dettagli.
Quando hai sentito parlare per la prima volta di peace silk?
Occupandomi di tintura naturale ed ecoprinting mi sono informata spontaneamente su quante e quali fibre naturali esistano per capirne le proprietà e differenze, in modo da poterle utilizzare al meglio nelle tinture. La seta, ad esempio, è una fibra proteica meravigliosa e ha una storia antichissima che parla di collaborazione e reciproco scambio tra essere umano e natura. Quando diverso tempo fa andai nelle Marche a trovare Alessandro Maria Butta, il mio maestro di tintura dal guado, parlammo proprio del baco da seta. Essendo vegetariana gli chiesi se fosse possibile produrre seta dai bozzoli di baco sfarfallato e proprio lui mi spiegò che esiste la peace silk, la seta cruelty-free.
Quando è nata la voglia di realizzarla?
L’anno scorso, quando una cara amica mi ha regalato dei “semi di baco” – le uova – per la prima volta ho provato ad allevarne qualcuno. Mi sono innamorata subito di questi animaletti: seguire da vicino tutto il loro ciclo vitale è meraviglioso, osservare la loro trasformazione fisica, i loro comportamenti… Quando poi iniziano a fare il bozzolo sono qualcosa di stupefacente, mi ricordano una suonatrice d’arpa. Davvero fantastico. Ovviamente avendone pochi il primo anno diedi a ognuno un nomignolo: c’erano King Kong, Pisolo, Ernest Hemingway e tanti altri [sorride, ndr].
Quest’anno, oltre a tutti i semi dei bachi dell’anno scorso, il mio maestro mi ha mandato anche i semi dei suoi antichi bachi marchigiani, che creano un bozzolo giallo, e l’istituto bacologico di Padova mi ha spedito anche i semi di bachi da seta che danno vita a bozzoli colorati verdi, rosa e di altri colori. Amo questo lavoro, non ne posso più fare a meno.
Ci spieghi le varie fasi?
Allo spuntare delle prime foglie di gelso – intorno ad aprile – si tirano fuori dal frigo i semi e dopo pochi giorni nascono le larvette. La vita larvale di un baco da seta può essere suddivisa in quattro mute e cinque età. Nel complesso queste fasi portano la vita di un baco a una durata massima di circa un mese. Lo sfarfallamento avviene dopo quindici giorni dalla formazione del bozzolo, mentre la metamorfosi inizia già al quinto giorno.
In corrispondenza della quarta muta (quinta età), il corpo del baco diventa giallastro: in quel momento è pronto per avvolgersi nel suo bozzolo di seta. Prima però deve eliminare tutti i liquidi in eccesso e le feci, dando vita a ciò che gli allevatori chiamano “il momento della purga”. Successivamente, il baco smette di cibarsi delle foglie di gelso e si ritira in un luogo adatto alla filatura. La produzione del filo di seta avviene grazie a due ghiandole parallele collocate all’interno del suo minuscolo corpo.
Come funziona e soprattutto in cosa differisce da quella tradizionale?
La trattura della seta – il dipanamento simultaneo di più bozzoli, in modo che dalle loro bave riunite risulti un filo unico – avviene dopo che il baco si è rinchiuso nel bozzolo per compiere la sua trasformazione in crisalide. È a questo punto che il suo processo di vita viene interrotto e dal bozzolo creato dal baco viene estratta la seta. Per creare la seta “classica” i bozzoli vengono immersi nell’acqua bollente e poi, con un apposito strumento, si iniziano ad estrarre i fili di seta, che poi verranno torti, sgommati e avvolti in matasse.
Nel procedimento della peace silk invece, si lasciano sfarfallare, cioè uscire dal bozzolo, tutte le falene. Certo, il filo di seta purtroppo verrà inevitabilmente spezzato, ma si può comunque lavorare, anche se in diverso modo, e poi filare come tutte le altre fibre corte. Il filo che ne risulterà sarà più spesso e disomogeneo, sicuramente meno lucido, ma comunque prezioso. E senza crudeltà.
Cosa realizzi con questo filato?
I bozzoli che mi hanno regalato i miei bachi sono ancora troppo pochi per produrre un filato e di conseguenza tessere un tessuto. Per questo motivo sto cercando un gelseto in gestione o dei gelsi vicino casa, a Genova, adatti all’allevamento – quindi che non vengano trattati – così da poter aumentare il numero di bachi che alleverò la prossima primavera.
Il baco da seta infatti è una falena che si nutre principalmente delle foglie del gelso: ne è talmente ghiotto che può mangiarne quantità impressionanti senza mai fermarsi, sia di giorno che di notte. È ancora tutto in divenire, un piccolo sogno, ma passo dopo passo sono sicura che qualcosa di positivo ne uscirà. Per ora creo bijoux, scrub viso, saponi e altre cosine etiche e salutari.
Per avvicinarti a questa tecnica hai chiesto una consulenza a qualche esperto?
Sì, mi sta aiutando molto Cristina Ravara Montebello, un’archeologa appassionata di bachi da seta. Su Seta, silk, serico, la sua pagina Facebook, racconta la storia della seta e, oltre ad avermi spiegato come funzionano le cose in Italia in questo ambito, mi sta mettendo in comunicazione con diversi esperti del settore.
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